giovedì 24 novembre 2011

Questa non è una pipa

 Una Genod con bocchino in corno "popolare". Più che una pipa, uno strumento di tortura.

Il buon Tarek mi ha rifornito in passato di molte meraviglie. Ma tra le esperienze eccezionali che gli devo c'è anche (non certo per colpa sua) la pipa peggiore tra quelle che abbia mai posseduto e fumato. E' una pipa francese che scelsi attirato dal suo bocchino in corno popolare, sia nel taglio a sezione molto spessa e rotonda che nel materiale: normale corno di un normale animale da lavoro, senza nessuna di quelle proprietà straordinarie che rendono possibili le opere d'arte di Gilli.  E' un corno privo di qualunque nobiltà esotica che, con la sua normalità, rende necessario il tipo di sezione spessa e poco confortevole che molti fumatori odiano, ma che era esattamente quello che cercavo io. Volevo una pipa ruvida, di quelle che si possono immaginare nelle mani grosse di un contadino francese, dunque non me la sono presa a male quando, una volta estratta dalla sua scatola, ho scoperto nella testa tutta una gamma di piccole imperfezioni dovute alla ratica per una volta non extra-extra, ma comune, e dunque con le sue inclusioni e i piccoli buchi. Imperfezioni che nulla toglievano alla funzionalità e che nessuno aveva pensato di nascondere con lo stucco. Bene così. Sul bordo superiore del fornello c'era anche un piccolo segno di utensile probabilmente dovuto alla morsa che aveva tenuto la testa ferma nel tornio. Nulla di cui preoccuparsi, anzi un tocco in più che avrebbe regalato alla mia pipa popolare un tocco di verità in più. Volevo una pipa di quelle fatte per uomini da una sola pipa e un solo tabacco (uno di quelli neri e per me infernali). Ma comunque una buona compagna, tutta sostanza contadina. Però non sono riuscito a farla mia. Non mi aspettavo un approccio facile, ma nemmeno la sorda e scorbutica resistenza che questa Genod ha opposto ad ogni tentativo di rodarla. Ha reso amari i miei Virginia, aspre le mie English Mixtures, mi ha legato la bocca, lasciato incollati sulla lingua saporacci insopportabili. Non una, non dieci, ma tutte le volte che ho provato a fumarla prima di riporla in un vaso a perenne ricordo di cosa differenzi una buona pipa, levigata e dolce, da una amara pipa dozzinale (una differenza di cui ho parlato in questo post).
Ultimamente dopo un lungo periodo di mezzadria coi toscani, sono tornato alle mie pipe deciso a non tradirle più.  Ritrovata nelle mie passeggiate l'avventura quotidiana del fumare la pipa, ho provato a sperimentare nel fornello il toscano sbriciolato, delizia per grandi come Peppe Ramazzotti, che però io non ero mai riuscito ad apprezzare. Per tentare questa strada e inebriato dal piacere del rischio, ho scelto dal vaso proprio questa Genod, sperando che il più scorbutico dei tabacchi potesse forse curare con le maniere forti la più scorbutica delle mie pipe. E' stata, effettivamente, la meno sgradevole delle fumate che questa pipa avesse mai regalato e da allora mi sono incaponito a rifumarla, sperando che prima o poi questa testarda Genod voglia ridursi alla ragione. Ci fumo Forte e Comune, trinciati di Kentucky italiano e per lei ho anche inventato miscele in gran parte nostrane, dove i Virginia o le mixtures al latakia sono solo un componente minore che dovrebbe offrire qualche reminescenza, però su una base robustamente rurale, come forse questa pipa pretende. Per un po' la Genod è sembrata piegarsi e ho cominciato a sperare che la testardaggine e la cura di tabacco nostrale potesse finalmente sopraffare questa ostica creatura dello Jura. La perseveranza ha dato qualche risultato e con l'ispessimento della crosta mi è parso che il sapore migliorasse. Quindi ho deciso di premiare la mia pipa ribelle con una caricata mattutina di Trinciato Italia, che al Kentucky italiano aggiunge anche del Virginia e del tabacco di tipo turco (ma pur sempre coltivati in Italia). E' stata una fumata, se non piacevole, quantomeno priva di asperità. Ma poche ore dopo, tornando a casa, la Genod mi ha tradito un'altra volta e la stessa carica di trinciato italiano mi ha dato boccate amare come il veleno, che mi hanno fatto capire che la Genod, come uno di quei muli che ti scaraventano nel burrone quando meno te lo aspetti, non è una bestia dalla quale potrò mai aspettarmi nessuna vera amicizia.
Ho pensato a quegli uomini rudi di una sola pipa e di un solo tabacco, che io non riuscirei mai a fumare. E ho pensato a quanto dura e aspra doveva essere una vita in cui persino fumate del genere rappresentavano un piacere così amato da investirci il poco denaro che non serviva a mangiare, bere e a coltivare il proprio campo. O forse, chissà, a forza di fumarle e violentarle con trinciati impossibili, giorno dopo giorno, senza mai un riposo, quelle terribili pipe cominciavano a regalare piacere dove una radica più raffinata avrebbe alzato bandiera bianca, rovinandosi irrimediabilmente. Può essere che sià così. O più probabilmente era l'uomo a prendere forma giorno dopo giorno, adattandosi alla sofferenza e imparando persino a considerarla un dono.


La stampigliatura della mia Genod

martedì 22 novembre 2011

Going out of my way

Una Charatan's Free Hand Relief realizzata prima del 1965. A dispetto della dimensione ragguardavele e della forma libera, la pipa è in proporzione leggerissima: pesa solo 28 grammi

Non sono un charatanista ma ho sempre guardato con rispetto, anche se da lontano, alla produzione di questa eccentrica casa inglese che, sia per forme (grandi e libere) che per lavorazione (radica curata ad aria, invece che a olio) ha sempre voluto andare  controcorrente rispetto a un paese dove già si guida contromano. Come risultato Charatan's è per un italiano un marchio molto meno esotico che per un inglese. E la sua produzione di freehand è secondo me la vera capostipite della pipa artigianale italiana, cresciuta dagli anni '60 in poi. In effetti è difficile non cogliere la parentela tra una pipa come questa e la linea delle Great Line Castello, la cui gloria era ancora di là da venire al tempo in cui a Londra questa pipa veniva tagliata a mano.

Caratteristica essenziale delle Charatan's è, si dice, essere pipe dal sapore chiaro che fumano incredibilmente bene. Sfortunatamente, l'unica Charatan's della mia collezione che io abbia mai fumato non mi ha dato grandi soddisfazioni da questo punto di vista. Ed ecco perché, avendo ultimamente scelto di tornare sul mio proposito di non allargare ulteriormente il mio parco-pipe, ho sentito il desiderio di fare un altro tentativo che colmasse la lacuna. Ho scelto una pipa eccentrica rispetto al resto dei miei possedimenti pipari (o quantomeno rispetto alla parte che amo di più). Eccentrica come in fin dei conti una Charatan's deve essere. E altrettanto fascinosa. Una pipa che finalmente fuma anche come una Charatan's deve fumare.



La nomenclatura "CHARATAN'S MAKE LONDON, ENGLAND" su due righe e la "L" la colloca come una Charatan's "Lane Era" Pre-1965

Gloriosa sabbiatura "Ring Grain"ovvero l'effetto che si ottiene sabbiando (bene) sulla fiammatura. 
Contrariamente a quanto avevo sempre pensato, non basta sabbiare sul fiammato ed evidenziare i cerchi orizzontali per entrare nella categoria del "Ring Grain". Occorre che i salsicciotti orizzontali siano più pronunciati e non ci siano  le venature verticali. Difficile da spiegare, ma facile da capire se avete mai avuto in mano una pipa così (mio padre ne aveva una). Ringrazio il commentatore che me l'ha fatto notare.

domenica 20 novembre 2011

Salvate il soldato Mc Clelland


Una lattina di McClelland 2010, depositata in cantina più di dieci anni fa è stata attaccata dall'umidità. Tempo di correre ai ripari!

Molti anni fa ho capito che mettere da parte un po' del tabacco che consumo sarebbe stata una buona cosa. I flake di Virginia, in particolare, invecchiano come il buon vino, diventando più complessi, più profondi, più maturi. Come molte cantine, anche la mia è molto umida e dieci anni fa non ho pensato di sigillare in un sacchetto di plastica le lattine in cui The Bufflehead Tobacco Shop usa(va) sigillare il tabacco sfuso (intelligentemente separato dal contenitore grazie a uno spesso e robusto sacchetto di plastica). Fortunatamente, invece, l'ho fatto con tutte le scatolette di tabacco che, dopo molti anni, continuano a essere in stato pressoché perfetto.



Ho aperto la scatola con un certo patema d'animo, fiducioso nell'opera del mio tabaccaio, ma non del tutto certo che la ruggine fiorita all'esterno non avesse attaccato il tabacco, rovinandolo irrimediabilmente.


Lo stato interno della lattina era danneggiato, ma non ancora completamente drammatico. Comunque la ruggine aveva cominciato a passare.


Il fatto che il tabacco fosse isolato nel suo plastico contenitore di spesso nylon è stata la chiave della sua salvezza. Ad ogni modo sono passato all'esame olfattivo, non essendo un avido fumatore di ossido di ferro.



Assolutamente perfetto. Nessun sentore rugginoso. Il mio 2010 (uno spettacolare flake di Virginia della Virginia e della Caroline, che è in pratica la versione sfusa e all'origine meno matura del McClelland #22), protetto dal nylon, esibisce adesso un aroma meno acetico di quando lo comprai, sviluppando tutta la complessità di datteri e fichi secchi che ci si aspetta da un grande virginia ormai perfettamente maturo. L'intervento di emergenza mi ha permesso di rivederlo e di riannusarlo dopo più di dieci anni, intensificando il desiderio di infilarlo quanto prima in una delle mie pipe.



Per ora, comunque, riposerà ancora un po' nel tipo di contenitore che ho sperimentato essere la migliora caspsula del tempo nell'ambiente della mia cantina: il vaso quattro stagioni Bormioli. Semmai dovessi notare un principio di arrugginimento del tappo, sarà un attimo sostituirlo. Ora manca solo l'etichettatura e la sigillitura in un sacchetto di plastica da freezer, che proteggerà il tappo. E il mio 2010 potrà affrontare qualche altro decennio di maturazione. Pronto, quando sarà il momento, a tornare quanto prima in casa per essere caricato e, finalmente, goduto come ormai ampiamente merita.

sabato 19 novembre 2011

Una Dunhill dell'età del Jazz

Dunhill Patent 196/S, Billiard, 1927.1936


(un errore di datazione, che mi viene fatto notare da un lettore con un commento spietato, inficia un po' tutta la cornice letteraria della mia descrizione. Per ora, in attesa di un'ispirazione adeguata sull'era dello swing, che è quella propria di questa splendida pipa, la lascio comunque. A dimostrazione della fallibilità umana e a mio maggiore scorno. )

Eravamo nei pieno dei "roaring twenties" quando nella fabbrica Dunhill di Londra venne tagliata questa pipa, di dimensioni piuttosto robuste per la media dell'epoca. Oggi appare come una pipa mediogrande, di un robusto gruppo 4. Allora era ai limiti del pipone, ed era quasi certamente destinata al mercato americano. La finitura era l'innovativa "Shell", introdotta da Dunhill solo dieci anni prima. A quel tempo Dunhill non considerava la sabbiatura una finitura di prezzo inferiore (come è diventata in seguito, per la sua capacità di occultare in modo pregevole e funzionale difetti di coloritura del legno) ma gli riservava una particolare qualità di radica, importata dall'Algeria, e che nella sua sofficità permetteva una sabbiatura più profonda e dettagliata. Agli inizi, inebriato dalla sua scoperta, Dunhill sabbiava le sue pipe con tale entusiasmo che spesso la forma ne risultava alterata. Per questo molte pipe dei primi anni non riportano il numero identificativo della forma-base. Questa invece fu sabbiata con mano, per l'epoca, abbastanza leggera e infatti riporta il numero 196 stampigliato sotto il fornello. Oggi quasi tutte le pipe sono fatte di buona radica almeno un po' stagionata e, se la lavorazione artigianale è una rarità, quella industriale produce comunque oggetti più che decorosi. Ma pur viziati da una qualità molto più diffusa di un tempo, prendere in mano e fumare oggi una pipa come questa è ancora un'esperienza. La lavorazione del bocchino è di una precisione impressionante: il foro di uscita del fumo si allarga a ventaglio all'interno del bocchino ed è rifinito ovale, seguendo la forma esterna stretta e relativamente spessa, tipica delle Dunhill "Patent" (una forma che Dunhill aveva battezzato "confy" ed è stata molti decenni dopo sostituita dal piatto e largo "fishtail"). Una lavorazione degna di un clarinetto, più che di uno strumento da fumo. Nessuna pipa al mondo era rifinita in questo modo allora, né sarebbe pensabile che lo fosse oggi.

E' una pipa fatta per un mondo dove il lusso sfrenato di un prodotto come questo era occultato sotto un aspetto sobrio, che non strillava. Al massimo, col suo puntino bianco, avrebbe potuto parlare all'interno della ristrettissima elite in grado di capire cosa fosse o anche solo di conoscerne l'esistenza. Ma la differenza di qualità tra la radica scelta e curata a olio, finita a poro aperto, sabbiata, rifinita con cura da gioielleria, e le grezze amare pipe popolari dell'epoca (molto peggiori di quelle di oggi) era la stessa differenza che correva tra le strade sudate, rumorose e fumose e il mondo di visoni, camicie di seta e grandi automobili lanciate da Scott Fitzgerald nei suoi romanzi.

Quel mondo di cristallo e diamanti si sarebbe in parte sbriciolato da lì a poco, nel crollo di Wall Street e nella Grande Depressione. Sono rimaste le sue storie. E sono rimaste pipe come questa, che evidentemente avevano più sostanza del mondo per il quale erano state concepite.

Il numero 16, stampigliato dopo il numero di brevetto, data la pipa al 1927 1936

Per dare risalto alla sabbiatura, Dunhill usava radica algerina (mentre le bruyere erano prodotte con radica dura, corsa o italiana)

venerdì 18 novembre 2011

La Bulldog sbagliata

Cavicchi CCC: un grading già molto rispettabile per questa bulldog con gli steroidi, classica nelle proporzioni, ma non nelle dimensioni. Al peso, denuncia 46 grammi.

La Bulldog è una delle più deliziosamente fuorimoda tra le forme inglesi. Non ha nulla di slanciato, elegante, fatto per accompagnarsi alla vita urbana. Al contrario è una pipa da nebbie e da caccia, o (per chi vive vite meno avventurose e ricche di svaghi), quantomeno da tenere tra i denti nel tragitto tra casa e ufficio. Dunhill ne ha dato un'interpretazione definitiva. I danesi ne hanno tratto forme più ispirate ai viaggi spaziali che alla tradizione, forse non molto pratiche e spesso nemmeno molto aggraziate, ma certamente innovative. Claudio Cavicchi, pipemaker di sostanza, l'uomo che produce alcune tra le pipe che fumano meglio al mondo, ha scelto una via diversa: trasformare la piccola bulldog in una pipa grande, ma lasciandola così com'era. Quando l'ho vista sul banco non sono riuscito a resistere a questa interpretazione di cui è difficile cogliere in foto la particolarità e l'ho comprata. Col senno di poi, devo dire che questa idea non è una delle migliori che Cavicchi abbia avuto. Una bulldog grande è una pipa che pesa in bocca in maniera irragionevole. La dimensione che la rende interessante, alla fine, la priva anche del suo vero fascino, quello di essere una pipa minuscola ma con un forte carattere. La bulldog, lontana dalle brughiere e costretta alla poltrona, non è più lei. Insomma, questa pipa grande è stata un tentativo interessante ma non è riuscita una grandissima pipa, benché la qualità della radica sia ottima non meno della qualità della manifattura. Però fuma in modo meraviglioso i suoi sei grammi di Virginia flake (li ho pesati per la prima volta stasera). E questo è il marchio di fabbrica di una Cavicchi, molto più delle sue stampigliature.

 
La nomenclatura
Una bella testa in splendida radica, compatta e sottile. In questo caso con un disegno anche abbastanza dritto.

La Tanshell di Mauro Gilli

 La square panel sabbiata, color Tanshell, che comprai da Mauro Gilli

Non discuto la bellezza e la bontà delle pipe artigianali italiane. Ma io, insieme al latte materno, ho cominciato ad assorbire il fumo paterno dei tabacchi inglesi e l'amore per le forme classiche in cui la bellezza nasce da variazioni minime intorno a proporzioni che si potrebbero definire auree.  Alfred Dunhill ne era il Giotto, Achille Savinelli ne era un interprete modernista e affascinante. Ma interessante proprio per la sua capacità di forzare la forma classica senza abbandonarla, diciamo un Modigliani. Col tempo ho fatto le mie incursioni nel cubismo, nel surrealismo, ma in fondo al cuore è sempre rimasto l'amore per la classicità nella sua purezza. Le pipe di Mauro Gilli sono le pipe di un grande artigiano contemporaneo che ha scelto proprio il ritorno a quella purissima classicità quasi matematica. In mezzo ad autori che colpiscono, che stupiscono, che esibiscono talvolta con un certo compiacimento la propria personalità, una pipa di Gilli può sembrare poco stuzzicante, finché si trova su uno scaffale o su una pagina web. Ma provate a riempirla, ad accenderla e a passeggiarci con le mani in tasca. E' allora, mentre svolge la funzione per cui è nata, che attirerà l'occhio di chi capisce le pipe. Come una calamita. E, se vi capita di fumarla davanti a una vetrina in cui sono esposte intricate creazioni artistiche, potrebbe succedere che un altro appassionato volti le spalle a quella teca carica di capolavori rarissimi e costosissimi per chiedervi informazioni su un leggero pezzetto, perfettamente disegnato e tagliato, di radica, che costa una frazione della meno pretenziosa di quelle artistiche creazioni. A me è successo, proprio mentre fumavo questa square panel. Non certo la più appariscente della mia piccola raccolta di variazioni intorno ad una forma che amo. Ma certamente una delle più perfette.


Le pipe di Gilli rifuggono dall'esibizionismo: sono sobrie e minimali anche nella nomenclatura.



martedì 15 novembre 2011

Seven


Trinciato comune e trinciato forte. Dopo trent'anni passati con la pipa in bocca, li fumerò per la prima volta.

La giornata in cui l'interesse sui BTP sfonda il tetto fine-del-mondo del 7% e la borsa crolla per l'ennesima volta mi sembra quella ideale per accostarmi al tabacco dell'Italia povera e rurale, quella che siamo stati e, chissà, potremmo presto tornare ad essere. Non è stato facile trovarli, ma alla fine ce l'ho fatta. Per il momento mi sono fatto solo una pipata di Forte, passeggiando in un gelo finalmente invernale. Nella busta l'ho trovato morbido, umido al punto giusto, e con una nota gentile al naso che mi fa sospettare un po' di topping dolce. Accendendolo, per ora, l'ho trovato... forte. Però non troppo, tutto sommato ancora fumabile. Vedremo. Nei prossimi giorni aggiungerò a questo post qualche impressione più articolata.

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Aggiornamento più di un anno dopo 01/10/2012

Come questo post monco e privo di qualunque contenuto sia diventato uno dei più letti del mio blog è qualcosa che mi sfugge completamente. Misteri del web... Ad ogni modo avevo promesso un aggiornamento che non ho mai dato, e quindi eccoci.

Il Forte è quello che mi è piaciuto di più, ma sono comunque rimasto a una busta sola. Benché il Kentucky in pipa cominci a contaminare le mie fumate, ancora non sono abbastanza appassionato da aggiungere alla mia dispensa un tabacco che secondo me non è molto agevolmente miscelabile. Ho poi fatto scorta di Semois, che sto pian piano consumando senza eccessivi entusiasmi ma che prende comunque il posto delle fumate robuste e rustiche che il Forte potrebbe assicurare. La sera in cui l'ho gustato di più è stato dopo una scorpacciata di lesso, in una Savinelli Giubileo pre-1970, bella capiente. Non so se sia stata la pipa, il tabacco o il lesso. Ma è stata una fumata di bontà rara.

Col Comune ho fatto il bis, salvo poi annoiarmi del suo grigiore. Devo poi dire che, pur senza essere un talebano della "naturalità", non riesco a trovare positiva l'idea che nel Comune ci sia una visibile presenza di tabacco ricostituito, aka "recon", ovvero una specie di cartone pressato fatto con gli scarti di lavorazione del tabacco. Al posto del Comune, ogni tanto sbriciolo un Toscano Garibaldi, che è molto più buono e si combina bene in dosi per ora di 50/50 con tutti i Virginia. Ottima miscela, robusta e non stucchevole, che riposa le papille e che sto usando anche per correggere pipe usate con odori strani. Il Kentucky non lascia un odore piacevolissimo, ma insieme col Virginia si smorza un po'. Unica avvertenza: non lasciare spegnere e freddare se non si vuole fumare una bella zaffata di ammoniaca alla riaccensione. Il Kentucky, in questo, non perdona.

domenica 13 novembre 2011

Caccia al tabacco. Capitolo 2. Nel caveau.

Dopo aver scoperto negli anfratti di casa mia circa il doppio del tabacco che mi aspettavo di avere, e poi averne trovato ancora e poi ancora (l'ultimo ritrovamento di questa mattina è un vaso ermetico pieno di ropes di Samuel Gawith, la cui potenza mi aveva sopraffatto al punto da nasconderli fuori dalla portata di bimbi e potenziali fumatori incoscienti), questa mattina sono sceso in cantina per inventariare i miei investimenti a lungo termine. Finora non avevo dimostrato di essere un buon contabile, ma con il caveau ho guadagnato punti e ci ho trovato grosso modo i dieci chili di tabacco che ricordavo di averci depositato in tempi diversi, per essere pronto a guerre, carestie, cataclismi, oltre ovviamente che come forma di investimento (l'unica che non mi abbia tradito) e come mezzo di gustare i grandi Virginia pressati e invecchiati che sono da anni il tipo di fumo che colloco al vertice della scala del piacere tabagico. Se vuoi fumare un grande Virginia di dieci anni, il modo migliore per farlo è metterlo da parte dieci anni prima. Io, fortunatamente, lo feci. E un po' disordinatamente, ma efficacemente, continuo a farlo.

Il miglior modo di tenere tabacco sfuso in cantina è a mio parere il vaso quattro stagioni Bormioli. Non arruginisce e, se il tappo si deteriorasse, si potrebbe sempre cambiare prima che sia troppo tardi.
In questa forma al momento conservo:
500 gr. East Carolina Ribbon (Virginia di base per miscele)
350 gr. Latakia siriano di Giannini (condimento per miscele)
350 gr. di blend "turco" di Giannini (Orientale per miscele)
250 gr. di Perique ( condimento per miscele)
Potrei passare alla produzione massiccia della mia migliore miscela, l'unica che abbia mai ricompensato i miei sforzi di home blender.
Ho poi: 750 gr di Samuel Gawith Commonwealth (potente English Mixture), 500 gr di McClelland 2020 Matured Cake (una English Mixture in flake: spettacolare) e 500 gr di Schurch 128.


Anni fa mi feci inscatolare negli USA dell'altro McClelland sfuso, che poi è lo stesso tabacco che si trova nelle lattine di 100gr, ma più giovane e di conseguenza molto, ma molto meno costoso. Ora giovane non lo è più. Le latte contengono uno spesso sacchetto di plastica sigillato per cui la loro cattiva conservazione con principio di arrugginimento (ma non passante) non è pericolosa per il tabacco. Ad ogni modo le ho portate su, le aprirò e trasferirò il tabacco nei vasi Bormioli. In latta possiedo 500gr di McClellend 2010, 250 gr di McClelland Matired Cake 2020, 250 gr di McClelland 2025 (un flake con Perique). In busta sottovuoto a tre strati, resistente a tutto, ci sono 250 gr di Samuel Gawith Skiff (English Mixture direi media)
16 scatole da 100 gr di McClelland No.22, uno dei Virginia broken flakes migliori che abbia mai provato.
5 scatole da 100gr. di McClelland Christmas Cheer, Virginia bright pressato, prodotto ogni anno con un monoraccolto particolarmente eccezionale tra i Gran Cru di Virginia e delle Caroline.  Non si può descriverne la delizia: è fuori dal mondo.
13 scatole da 100gr di Mc Clelland Bombay Court, una English Mixture molto ricca di profumi orientali, di forza medioleggera, che è quella che in genere preferisco. Si può paragonare al Red Rapparee o allo Squadron Leader. Secondo me la miglior mixture di McClelland
3 scatole da 50gr di McClelland Arcadia, un tabacco intrigante, prodotto per riprodurre uno stile ottocentesco. Molto orientale, tagliato in shag.

3 scatole da 100gr di Bombay Extra (un bombay rafforzato nel latakia e scurito nel Virginia)
4 scatole da 100 gr di McClelland St.James Woods (flake con Perique)

Avvolgo le mie scatole in sacchetti di plastica per resistere all'umido. Le più vecchie erano avvolte in pellicola trasparente, per sicurezza le ho trasportate in casa e metterò anche queste in sacchetto.
22 scatole da 50gr di McCranie Red Flake 1983. Un altro eccezionale monoraccolto che è diventato leggendario. A quanto pare, ne avrò nei giorni di pioggia.
15 scatole da 50gr di Petersen Escudo (maledizione, non il Cope's...)
5 scatole da 50gr di Dunhill DeLuxe Navy Rolls. Non so se lo facciano ancora. Quando lo comprai mi pareva che fosse una riproduzione del Cope's Escudo quasi perfetta, più vicina del Petersen.
Il mio gioiello: 5 scatole di Three Nuns, quello vero.

 una scatola da 50gr di Dunhill Elizabethan
3 scatole da 100gr di Dunhill Early Morning pipe
2 scatole da 100gr di Dunhill My Mixture 965

Secondo i miei calcoli, se dovessi cominciare a fumare quello che ho senza più comprare nulla, ne avrei per circa dieci anni. Considerato che di anni ne ho 47, tutto sommato, posso ancora comprare sereno, con la speranza che il mio tabacco sia destinato più a me che ai miei eredi...


sabato 12 novembre 2011

Operazione rinascita: Samuel Gawith Grouse-Moor Plug



Il Grouse Moor Plug di Samuel Gawith, dopo anni di oblio nel profondo di uno scaffale. Ho deciso di farmi forza e riprovarlo. Qui il risultato, tre settimane dopo.

Benché cercando tabacco in casa sia rimasto sorpreso dalla quantità che è saltata fuori dai cassetti, e soprattutto dai contenitori infrattati in ogni dove, giorni dopo questo post continuo a trovarne. Nel più oscuro e dimenticato e inaccessibile dei miei scaffali giace un contenitore ermetico con molti plugs di Samuel Gawith che alla prima prova mi disgustarono profondamentemente per la loro assurda aromatizzazione. Naturale finché volete, ma per me insopportabile. Preso da un impeto eroico ho deciso di riaffrontarli, ripartendo da quello che, per quanto ricordo, era il meno micidiale. In questi anni di abbandono si sono pietrificati. Sarà anche un esercizio tecnico di restituzione alla vita di un plug. Chissà che un giorno almeno la tecnica possa venirmi buona. Sul tabacco ho molti più dubbi. Ho già individuato la pipa da sacrificare. I primi tentativi li feci, prudenzialmente, con una Kirsten (macchina da fumo in alluminio con fornello avvitabile) contando di poterla quantomeno lavare. Non è stata una buona idea. Anche se i tabacchi fossero stati meravigliosi (e non lo erano) in quella pipa sarebbero stati un inferno. Stavolta ho individuato la più popolare delle mie pipe di schiuma, una cosetta veramente da poco che comprai non so perché su ebay per l'equivalente di cinque o sei euro. Una lavoratrice onesta, comunque. Non sarà una gran perdita, ma perlomeno è una pipa.
La Meerschaum sacrificabile

venerdì 11 novembre 2011

Si ricomincia?

Sasieni two dots, poker 1/8 curva. Una forma elegantissima, da una marca che, in questo periodo, poteva vantare tutti i quarti di nobiltà della grande pipa inglese. 

Ho sempre amato la poker, sia per l'estetica che per la concezione. Una pipa a fondo piatto, capace di stare perfettamente eretta sul tavolo anche nei momenti in cui il suo proprietario ha le mani occupate con le carte, o è impegnato ad arraffare a due mani la posta. La sua forma cilindrica la rende, nelle migliori interpetazioni, deliziosamente geometrica. Ma non è così facile trovarne le interpretazioni migliori oppure io, in questi anni, non sono stato fortunato. Ne ho comprate e ne ho fumate con soddisfazione. Ma persino nelle vecchie Dunhill non mi è ancora capitato di trovarne una che mi sembrasse davvero perfetta. Troppo corta, troppo tozza, troppo pesante... Magari solo un po'. Ma un po' decisivo. Nella geometrica eleganza della poker c'è anche la sua maledizione.  Quando ho adocchiato in un'asta di ebay questa Sasieni "family era" (quella razza di pipe ancora prodotte sotto la supervisione della famiglia Sasieni, prima che la marca venisse ceduta e si volgarizzasse, come è successo a molti altri brand inglesi), ho sentito il richiamo di una possibilità: quello di mettere mani su una di quelle poker perfette, snelle ed eleganti che portano scritto nel loro design il marchio della grande grafica dei primi anni '60. Non era facile dirlo dalla foto di trequarti. Ma la pipa era una Sasieni, e una Sasieni two dots. Un grading un po' più popolare della celeberrima Four Dots, e dal quale è lecito aspettarsi qualche minore imperfezione, ma che ha collezionisticamente l'attrattiva di essere, inspiegabilmente, molto più rara . Evidentemente ai vecchi tempi di quando le Sasieni erano pipe della famiglia Sasieni, il confine tra Two Dots e rifiuto, in caso che l'imperfezione fosse appena più accentuata, era molto sottile. E così mi sono risolto a rompere un digiuno ormai più che pluriennale negli acquisti di pipe sul sito di aste online. E ho fatto la mia puntata, felice tra l'altro che la pipa fosse a Torino e non dall'altra parte del mondo. Inutile dire che, rotto l'argine, sono già caduto in tentazione molte altre volte. Ma ne è valsa la pena perché, aperta la scatola, la elusiva Two Dots ha mantenuto tutte le sue nascoste promesse, aggiungendo finalmente alla mia schiera di pipe la poker che volevo. E che fino ad oggi non avevo mai avuto.


   

Nomenclatura. La veretta argento non è originale ma a una attenta ispezione non sembra nemmeno una riparazione. La gradazione "two dots" è inferiore alla "four dots" (infatti la pipa presenta un paio di piccole stuccature sul cannello, visibili sotto la stampigliatura), però è più rara e molto desiderabile.

Un nuovo acquisto su ebay. Questa volta italiano. 

Grazie a Jackpino e a GPP per le correzioni che mi hanno consentito di apportare a questo post e per questo articolo sulla storia delle Sasieni

Caccia al tabacco: in casa


Pensavo di avere in giro per casa circa 2 Kg  di tabacco pronto da fumare, più quello che tengo a maturare in cantina. Facendo un piccolo inventario, ho scoperto di avere sottostimato le mie riserve pronto uso, che ammontano più o meno a 4 Kg. A questo punto tremo al pensiero di scendere nel caveau per inventariare quello che c'è là sotto. Secondo me dovevano esserci  circa 10kg. Prossimamente scoprirò se è vero...


Primo cassetto: Rattray's Red Rapparee (2 x 50 gr), Samuel Gawith Balkan Flake 50gr, Samuel Gawith Squadron Leader 50gr, Samuel Gawith Best Brown Flake (2 x 50gr), Samuel Gawith Full Virginia Flake (2 x 50 gr), in primo piano il Curly Cut Gawith & Hoggarth 
 - Totale 450  gr

 Secondo cassetto: Samuel Gawith Full Virginia Flake 250gr, Samuel Gawith Squadron Leader 250gr

 Terzo cassetto: Samuel Gawith Balkan Flake 250 gr

  
Tabacchi di base: Sweet Carolina (virginia) in Ribbon cut, Turco, Latakia, Perique, un po' di Burley Circa 250gr in tutto

Sfusi vari: 250gr di  Samuel Gawith Brown Flake, 250  gr di Samuel Gawith Curly Cut, 100 gr di McClelland 24 (Flake di Virginia + Orientali), dell'eastern carolina in Ribbon cut, del McClelland 2010 sfuso, una scatola aperta di Samuel Gawith 1792 flake e qualcos'altro di non identificato - circa 1 Kg

Due contenitori di Gawith & Hoggarth, uno per gli aromatizzati, uno per i naturali. I naturali sono circa dieci, tra flakes plugs e ropes, più un 40 gr rimasti di Curly Cut deluxe, che fumerò quando avrò finito il Curly Cut. Gli aromatizzati, ahimé, sono circa tre etti di flakes vari che probabilmente non fumerò mai...

McClelland stagionati: 100 gr di Redwoods (virginia rossi in flake) 100 gr. di  Christmas Cheer 1992 (un gran cru di Virginia Bright della carolina orientale, pressato in flake)


Un barattolo da 500gr di Schurch 128, uno dei miei preferiti tra le English Mixtures molto robuste

250gr di McClelland  2010 messi in latta una decina di anni fa da Bufflehead Tobacco. Purtroppo la confezione non si è mostrata estrememante resistente all'umidità e qualche mese fa, notando la cattiva conservazione, ho riportato in casa la lattina per aprirla al più presto, sperando che il tabacco non sia stato danneggiato. Forse si salverà, forse no.