giovedì 19 settembre 2013

White for coolness


Charlie Parker 1920-1955


 Dall'alto: Rinaldo Sahara YYY (pallina), Mauro Gilli ** (canadese), Castello Castello KKKK (pot), Dunhill Bruyere 4203 (billiard saddle)



Non sempre l'emozione e la ragione viaggiano in sincronia. In fatto di percezione termica, per esempio, ci sono immagini, colori, materiali, che rinfrescano le idee, prima ancora che il corpo. Una tenda di lino che sventola gonfiata da una finestra aperta, un cappello panama, un bocchino bianco...
Non occorre averli addosso. Basta guardarli per sentirsi raffrescati: il potere della mente è più forte di quello dei condizionatori.

Il bocchino bianco è come un'insalata di pasta fredda, un pernod lattiginoso nel bicchiere velato di condensa. Il bocchino bianco è qualcosa senza il quale, per me, sarebbe difficile immaginare l'estate.
Eppure, se penso alla prima volta che ne acquistai uno, so che il desiderio di frescura non è stata la spinta principale. Era montato su una pot Castello, quella che appare nella foto poco sopra. La pipa occhieggiava dietro un vetro da Noli. Il design era severo e geometrico, tipicamente Castello. Le proporzioni però esprimevano simpatia, aveva un colore mielato che me ne faceva pregustare la dolcezza. Soprattutto aveva questo bizzarro bocchino di colore bianco. Il primo che avessi mai visto montato su una pipa seria.

Tra tutte le pipe del terrificante display di quel negozio, nato per torturare l'appassionato dal budget moderato, o pressoché nullo, come quello che avevo allora, la pot col bocchino bianco mi attirò inesorabile, irresistibile, nel suo gorgo. Quello che sentivo nel profondo, però, non erano cicale. Era il gracidare del sassofono di Charlie Parker.

Tutti hanno avuto le loro ossessioni musicali giovanili. Io da bambino molto piccolo ho avuto Adriano Celentano. Il primo cantante di cui abbia comprato dei dischi. Non sapevo nemmeno cosa fosse il jazz finché mio padre un giorno, avrò avuto 14 anni, portò a casa degli audiolibri mondadori di cui aveva fatto la copertina. Era la storia del Jazz di Arrigo Polillo. Per ragioni che non ricordo cominciai ad ascoltarli dalla quarta delle cinque cassette. E' lì, subito,venni investito da "Bird", cioè appunto da Charlie Parker. L'uomo che cancellò tutto il resto.
Inutile spiegare cosa sia la sua musica. Chi odia il jazz (ovvero quasi tutti) se ne annoierebbe. Per chi ne sa qualcosa, sarebbe superfluo. Ma Bird diventò per me una specie di alter ego. Leggevo tutto ciò che fosse mai stato stampato su di lui in italiano, ascoltavo incessantemente tutto il possibile. La sua figura eroica, modellata dalla mia mente adolescente con le parole delle sue agiografie, si stagliava titanica mostrando la via della grandezza. 

Le sue foto non sono molte. Gira e rigira ti trovi davanti sempre le stesse. E nella maggior parte, Charlie Parker monta sul suo sassofono contralto uno sfizioso bocchino bianco. Nelle altre, è probabile che lo strumento non sia il suo: chiuso al banco dei pegni, sequestrato da qualche spacciatore o dimenticato sul sedile di un taxi. Quando cominciai, inevitabilmente, a suonare il sax anch'io non pensai nemmeno di cercare il bocchino di Bird. L'idea mi avrebbe terrorizzato. E poi nessuno dei musicisti veri ne usava uno simile, né lo vidi mai in un negozio. Rimase una figura mitica, astratta.

La rividi per la prima volta, trasfigurato, sulla Castello di Noli. E' ovvio che nessuna ragionevolezza avrebbe potuto trattenermi dal comprarlo.

I miei assoli con quella pipa sono stati molto più soddisfacenti di quanto sia mai riuscito ad ottenere dal mio sassofono, benché mi ci sia dedicato con impegno. Ognuno ha la sua strada. Io non ero fatto per essere Charlie Parker. Del resto, nemmeno lui era capace di fumare la pipa.



Ko-Ko. Forse, il capolavoro assoluto.



I due bocchini bianchi di Charlie Parker: sopra Runyon 22,  sotto Brilhart Streamline