Telegraph Hill di Gregory L. Pease, nella pipa in cui lo sto fumando adesso: una Charatan Special 320 DC degli inizi Era Dunhill (circa 1980)
Scrivo delle mie pipe e dei miei tabacchi ormai da un po' di tempo, eppure, rivedendo l'indice dei vecchi articoli prima di cominciare questo, mi rendo dell'ingiustificabile rarità degli articoli dedicati a quello che è con ogni probabilità il più grande blender moderno: G. L. Pease.
Perché tanta avarizia? Forse che i tabacchi di GLP mi piacciano meno di tante altre marche a cui ho dedicato ripetuti omaggi? Più probabilmente, il contrario.
L'aggettivo più adatto per descrivere lo stile di GLP è "intricato". Raramente i suoi tabacchi escono dalle categorie codificate, quasi mai usano ingredienti esterni (e quando lo fanno, è qualche goccia di rum usato durante la trasformazione in cake), sempre sono fatte col miglior tabacco che il denaro possa comprare. Eppure fumandole quasi mai ti trovi di fronte a qualcosa di diretto, facile. Sono più tabacchi da concentrazione che da relax. E quando arrivi in fondo alla pipa, non sei mai così sicuro di avere capito tutto quello che c'era da capire. "Ne scriverò la prossima volta", pensi. E intanto la scatola finisce... E se è difficile parlarne quando ne stai fumando, ancora più improbabile diventa rimettere insieme i ricordi, appunto, intricati e cercare di fare un ritratto che rende minimamente giustizia al lavoro di chi ha creato quell'equilibrio fragile, cangiante, che non ti è ancora riuscito di mettere in parole. "Sarà per la prossima scatola", pensi. Ma riempita la pipa, acceso il fiammifero, tutto si ripete identico. Come al giorno della marmotta.
La scatola, fuori e dentro. Netto il predominio dei virginia orange e rossi, maturi, gloriosi. Quello del perique è solo un accento. Ma è quello giusto.
Per venirne fuori, stavolta, arrivato verso la metà della scatola, ho deciso di mettermi una pipa in bocca e scrivere, semplicemente, senza pianificare quasi niente. Credo sia l'unico modo di non cadere ancora una volta nella trappola di GLP. La magia non si batte con la pianificazione, forse ci riuscirò con l'improvvisazione.
Appena lo apri, il Telegraph Hill è già una sfida alla tua abilità di descriverlo. L'odore ha qualcosa dei vecchi virginia inglesi, quando prendono di fico secco. Ma di complemento c'è anche quella punta acetica, così tipicamente americana, che ben conosce chi ama i virginia McClelland. Quell'odore che insieme allo zucchero che trasuda dalle foglie ricche dell'Old Belt fa venire in mente l'aroma del ketchup. E' un virginia un po' del vecchio mondo e un po' del nuovo, insomma. E forse per questo ha il nome di un luogo simbolico di San Francisco. Il perique c'è, indubbiamente, ma non ti calcia sulla faccia, non ti trapana le narici. E così rimane una volta che lo accendi.
Tutto quello che ti aspetti da quello che vedi e annusi, nel Telegraph Hill c'è anche quando lo fumi. I virginia sono maturi, dolci, grassi. Il perique è come il triangolo nell'orchestra, o come il pepe nel panpepato: quando vibra, lo senti. Ma tintinna con misura.
La nota dominante resta quella di un dolce molto soddisfacente, morbido, pieno di sfumature e di giochi interni, un intreccio di virginia in cui quasi nulla (o forse nulla) è più chiaro di un bell'orange carico. E poco è più scuro. Forse c'è un po' di firecured ma veramente poco, non tanto per dare forza ma per dare un contrappunto alla sofficità dominante. Per me, fino a questo momento, si è rivelato il virginia più godibile di GLP.
E' un tabacco da fumare ad occhi socchiusi, godendo tutto quello che le sue curve morbide ti regalano ad ogni svolta. Mentre lo fumi, poco di quello che succede intorno potrebbe interessarti.
Per ora l'ho fumato in queste pipe: una Dunhill County gruppo 4, una aerofusi di Daniele Fusi e una chimney Dunhill Cumberland, con army mount in corno.
Caratteristica di quasi tutti i tabacchi di GLP, costruiti come sono su equilibri delicatissimi, è quello di essere molto cangianti da pipa a pipa. Lo fumo in pipe ben avvezze ai virginia un po' conditi, e ogni volta mi sorprende un po'. Più autoritario nella Dunhill quadrata, più rotondo e dolce nella pipa di Daniele Fusi (che con il suo sistema a calabash inversa esalta alcune frequenze, ma non il perique, come mi fanno le aerobilliard di Radice con altre miscele). Ancora acerbo nella Dunhill chimney che si sta svezzando. E' un tabacco che costa, ma è anche un tabacco che in una scatola sola contiene infinite sorprese. Sono soldi ben spesi, anche perché il rapporto qualità/prezzo è difficile da battere quando il numeratore tende a infinito.