L'unico e inimitabile Dunhill Rotator.
Anche grazie
alla pipa, io e mio padre abbiamo
avuto molto tempo per parlare. Per un bel po’ di anni, ogni domenica, subito
dopo pranzo, ci ritiravamo nel suo studio. Lui al suo tavolo, io nella poltrona degli ospiti
sotto il cavalletto. Tiravamo fuori le nostre pipe. Lui generalmente caricava
la sua col mio tabacco, sapendo che fumavo bene e che poteva assaggiare
qualcosa di interessante senza il rischio di buttare soldi e tempo, investendo
nell’ignoto. Per il momento lo fumava. Poi, semmai, gliene avrei procurato
dell’altro. Quasi mai parlavamo di noi. Si discuteva perlopiù di eventi storici
piuttosto oscuri. Magari gli raccontavo di qualcosa che avevo letto
ultimamente. Allora uscivano mappe, periodici in ungherese pieni di orecchie e
di post it segnalibro, foto in bianco e nero, libri, vecchi diari… A
volte la discussione procedeva incrementalmente, scavando per anelli concentrici la questione. Altre volte avevamo posizioni contrapposte: io più internazionalista,
aperto alle ragioni della Corona Imperiale, austriacante, fondamentalmente
labanzo; lui indipendentista senza compromessi,
focosamente curuzzo. In uno di questi momenti, per fargli caricare la pipa
tirai fuori dalla tasca della giacca un oggetto da poco, che mi ero appena
procurato. Era una busta portatabacco in tela gommata giallognola. Un oggetto
molto pratico, ripiegabile, che teneva al suo interno una quantità di tabacco
rispettabile, senza ingombrare e senza farlo seccare. Costava molto poco, forse
me l’avevano addirittura regalato
insieme a qualche acquisto massiccio di qualcosa. Nonostante la sua modesta,
quasi misera, apparenza lo portavo nella tasca interna con la certezza di avere
acquistato qualcosa di razionale, utile e ben fatto.
Mio padre, che il tabacco lo teneva perlopiù in vecchie
scatole o buste ciancicate che ne avevano contenuti altri, e su cui c’era
scritto a pennarello cosa contenevano adesso, lo prese in mano come si potrebbe
prendere un calzino sporco appena uscito da uno scarpone. “Hai comprato
quest’affare?”. Lo teneva per un angolo e, pendendo tra le sue dita, il mio
portatabacco giallastro appariva
veramente disgustoso. Balbettai qualcosa cercando di trovare qualche
giustificazione al mio comportamento.
“Adesso sei fregato”
La sentenza calò come una mazzata. Non solo la busta gommosa
era stata condannata, ma avrebbe rappresentato una maledizione perenne che mi
sarei trascinato dietro per sempre. Cercai di capire meglio quali fossero le
caratteristiche malefiche di quella busta, che io evidentemente avevo
trascurato totalmente, nella mia inesperienza. “Quante buste portatabacco puoi
avere?” mi chiese, e lì cominciai a capire. Effettivamente, si possono avere
decine di pipe, di scatole di tabacco. Ma la busta portatabacco, oggetto di
utilità non proprio strettissima, è un piccolo accessorio personale, una
minuscola gratificazione che si può scegliere o meno di concedersi, ma resta
qualcosa di piuttosto intimo e unico. Anche quella busta gommosa lo era. I
tabacchi che possono andarci dentro sono infiniti, la busta –maledizione- è una. Aveva in faccia quel mezzo sorriso a presa
per il culo che conoscevo così bene. “Una. E tu adesso hai questa. Non potrai
mai averne una veramente bella”. Era molto meglio non avere niente che avere
una busta come quella, ad occupare l’unico slot sensatamente concesso
alla busta portatabacco. Provai a controbattere qualcosa, e non saprei dire
cosa visto che la sua ragione era schiacciante.
Così cominciai a odiare la mia busta. Trovai persino che il
tabacco lì dentro prendesse un sentore di piscio di gatto. Poco tempo dopo,
grazie al cielo, la persi. E' difficile capire come si possa perdere
onestamente e sinceramente una busta portatabacco. Comunque mi riuscì.
Memore della dura lezione, potendo grazie a un colpo di
fortuna comprare di nuovo la mia prima, e per sempre unica, busta decisi che
dovesse essere la più bella, la più morbida, la più sobria, ben fatta busta del
mondo. Una che non solo funzionasse meglio di qualsiasi altra busta ma fosse
una gioia per gli occhi e per le dita. Una busta che sarei stato sempre più
felice di trarre dalla tasca anno dopo anno, invecchiando con lei. Quando
l’esigenza è questa, non sono i pochi euro in più o in meno a contare, ma solo
ed esclusivamente la soddisfazione che si trae dal proprio investimento.
Un minimo di ricerca e insistenti analisi dei principali
negozi mi rivelarono quello che avrei dovuto sapere da prima. Non esiste al
mondo una busta così semplicemente perfetta come la Dunhill rotator. Sulla
sensatezza del prezzo di una pipa Dunhill si può discutere, ma quando si parla
di pelletteria la differenza balza alle dita: è palpabile. Ci sono molte marche
quasi altrettanto buone, ma sono sempre un micron troppo spesse, o troppo
sottili, o troppo molli, o troppo coriacee.
Una busta Dunhill sta su quel confine sottilissimo dove la morbidezza
produce brividi di piacere al contatto, celando però un po’ di nerbo e di
consistenza. La rotator di tutte le buste Dunhill è la più geniale: si piega
semplicemente in tre, senza zip né orrendi bottoncini. Pulita, essenziale,
funzionale, bellissima: “sleek”, come direbbero gli inglesi. Il tabacco va nel
tascone dietro ed emerge poco a poco nel taschino davanti, man mano che ti
serve. Puoi portarne anche un buon 20 grammi, se devi stare via qualche giorno,
sapendo che il tabacco resterà fresco sorprendentemente a lungo. A meno che tu
la dimentichi mezza piena in un cassetto, farai sempre prima a finire la scorta
che a seccarla.
Soprattutto è un piacere averla, usarla, persino pensarci.
La vita è una. La
busta anche. E’ stupido sprecare la propria unica occasione scegliendo
in partenza la mediocrità.
(in realtà oggi di buste ne ho due, l'altra ingegneristicamente diversa la uso per flake. E' piuttosto buona, quasi buona come la Rotator. Ma non è la Rotator)
(in realtà oggi di buste ne ho due, l'altra ingegneristicamente diversa la uso per flake. E' piuttosto buona, quasi buona come la Rotator. Ma non è la Rotator)