Il plug di Samuel Gawith Grouse-Moor, tornato alla vita, è pronto ad affrontare la sua prova definitiva
Diverse settimane fa, deciso a scoprire a quanto e a cosa ammontassero le mie riserve di tabacco, ho trovato in uno dei ripiani più remoti della mia camera oscura il più dimenticato dei contenitori. Da circa dieci anni ospitava alcuni pacchetti di plugs di Samuel Gawith che avevo lasciato perdere per sempre sia al mio desiderio che alla mia memoria. Il primo impatto mi aveva disgustato in modo pensavo irrimediabile. Avevo prudenzialmente infilato in una Kirsten (orrida macchina da fumo in alluminio) un pezzo di Cannon Plug: uno di quelli più pestilenziali, avvelenato con dosi da cavallo di un aroma tipo la Fava di Tonka (quel tipo di additivi tradizionali tra gli inglesi, che talvolta pare amino violentare sadicamente del Virginia altrimenti squisito).
Ma da un po' di tempo ho ritrovato nella pipa il gusto dell'avventura. Ho provato tabacchi italiani che non avevo mai sperimentato prima, e mi sono piaciuti. Sto fumando del Semois, che temevo fosse velenoso e invece trovo delizioso. E così ho deciso di dare una seconda chance a questi plugs, che dopotutto devono avere un loro perché, se provengono dalla impareggiabile casa che produce i più squisiti del tabacchi del mondo.
Capitolo 1: Il ritorno alla vita
Il caso ha voluto che tra i plug della mia scatola ce ne fosse uno di cui avevo aperto la bustina. Una ricerca di Google mi ha rapidamente rivelato che tra i plug in mio possesso, il Grouse Moor poteva considerarsi un nuovo inizio non troppo violento. L'aromatizzazione leggera, a dir di chi l'ha provato, accarezza la dolcezza del Virginia e gli conferisce qualche sfumatura, più che prenderla a calci nelle gengive, come il mio primo plug sembrava preferire. Pur con la prudenza dettata dall'esperienza ( è un fatto che c'è chi trova gradevole roba che io non butterei nemmeno nella stufa) ho deciso di tentare di fumarlo, dedicandogli una pipa un po' migliore della Kirsten che, con ben scarsa generosità, avevo riservato anni fa all'operazione. Il plug però, dopo dieci anni di abbandono appariva fossilizzato e inutilizzabile. Per riportarlo alla vita l'ho messo in un piccolo vaso Bormioli insieme a un umidificatore (io uso un contenitore di pellicola 35 mm, bucherellato col Dremel e riempito di carta da cucina umida, ma qualsiasi cosa tenga separato l'agente umidificante e il tabacco può andare bene), e mi sono preparato a un'operazione di lunga lena. Il plug è un cubo di tabacco pressoché solido e tanto quanto fatica a perdere umidità, rendendosi comodo nelle traversate in veliero, così fatica a riassorbirla. Periodiche ispezioni mi hanno però convinto che l'operazione rischiava di andare ben oltre i limiti della pazienza e così ho cominciato a trovare qualche variante per accelerarla. La prima è stata quella di lasciare per qualche giorno il vaso su un calorifero. Il calore aumenta la pressione osmotica del vapore e nelle ore di riposo, raffreddandosi, l'umidità si condensa e penetra più velocemente nel tabacco. Successivamente ho rimosso l'umidificatore, temendo che potesse cominciare a fare muffa, e ho cominciato a vaporizzare gentilmente, delicatamente un po' d'acqua filtrata sul mio cubo di tabacco. Poi lo rimettevo in vaso, che rimettevo sul calorifero, e ho ripetuto l'operazione per giorni e giorni, fin quando mi è sembrato che l'acqua continuasse a penetrare. A un certo punto il plug è finalmente apparso saturarsi. La condensa che si formava nel barattolo non penetrava più all'interno nelle ore calde del termosifone, ma tendeva a ristagnare. A quel punto ho aperto il barattolo, ho lasciato evaporare la condensa in eccesso e poi ho richiuso il tutto, lasciandolo a riposare e uniformare in un cassetto fresco per un paio di settimane, sorvegliando ogni tanto che l'insieme apparisse e "suonasse" morbido e grasso, ma senza che gocce d'acqua malandrine si formassero da nessuna parte, come in effetti non si sono formate. Benché la curiosità mi rodesse, ho lasciato il barattolo sul fondo del cassetto, aspettando una mattina serena e lontana in cui tornare al mio Grouse Moor plug, perfettamente rinfrescato e rivitalizzata. Oggi è stata quella mattina.
Capitolo 2: la scelta del taglio.
Ci sono mille modi di gustare un plug: dall'estremo dello shag (tagliare a fette sottili, poi disfare tutto in mano, fino ad ottenere capelli di tabacco da caricare nella pipa, dopo averli lasciati ad asciugare un po'), passando per il broken flake (fette come quelle dei flakes che si trovano in scatola, grossolanamente rotte e caricate), fino ad arrivare al flake puristico (fette intere arrotolate e caricate nella pipa). Io ho scelto il cube cut: una bella fetta grossa, tagliata prima a strisce, poi fatta a cubetti.
L'ho fatto per varie ragioni. La prima è che non maneggio un plug da parecchio tempo, e avevo voglia di scegliere una modalità che fosse possibile solo ed esclusivamente partendo dal plug. La seconda è che, essendo ignoto (ma probabilmente alto, come deve essere nel plug) lo stato di umidità, molte tra le forme di cui sopra potevano portare ad otturare la pipa con il minimo errore di caricamento. Il cube cut da questo punto di vista è il toccasana. Magari sarà un po' ignifigo in partenza e richiederà qualche riaccensione in più strada facendo, se proprio il tabacco è molto umido. Ma a meno di voler sbagliare a tutti i costi è impossibile cementare una pipa col cube cut, che si carica per semplice gravità.
Al primo taglio il plug si è rivelato uniformemente morbido, gustosissimo. Della consistenza di un panforte. Più che fumarlo, veniva voglia di mangiarlo.
Le strisce mostrano tutta la gamma di deliziosi Virginia di cui il Grouse Moor plug è formato. L'aspetto ricorda molto quello del Full Virgina Flake,
E finalmente i cubi, pronti ad essere lasciati cadere nella pipa e accesi.
Ma insomma... Com'è?
In queste settimane, maneggiando il mio plug di dolci e grassi virginia, il desiderio di fumarlo si è accentuato. La fragranze era veramente leggera, appena appena avvertibile. Nulla di violento e invadente. Tagliandolo poi, mi è quasi venuta l'acquolina in bocca. Quanto all'accensione e alla capacità di tenere il fuoco, la scelta del cube cut si è dimostrata abbastanza azzeccata, ma andrà migliorata. La prossima volta, esattamente come faccio con i flake, creerò uno strato superiore di tabacco totalmente sbriciolato, che dovrebbe prendere meglio il fuoco e garantire una combustione uniforme di tutto il fornello con più facilità di quanto i miei cubetti da purista abbiano fatto. Non ho comunque otturato il fornello, che era il timore principale.
A dispetto di qualche litigio con l'accendino, la mia pipata di Grouse Moor si è rivelata eccezionalmente piacevole. L'ho acceso la mattina, a bocca pulita, con una tazza di thé, caricando la pipetta di schiuma ben fatta e confortevole, ma del costo di pochi euro, che ho destinato agli assaggi dei flake aromatizzati. E' stato come fumare del Full Virginia Flake a cui sia stata aggiunta, se dovessi sbilanciarmi, una goccia di acqua di rose. Nessun fastidio, anzi. Personalmente gradisco molto la combinazione tra i due aromi tanto che in passato, in momenti di particolare perversione tabagistica, amavo fumare sigari avana dopo essemi dato sul polso una goccia di acqua di rose inglese, che mi ero per giunta dovuto comprare, non essendo nessuna delle mie donne di casa particolarmente amante di quella fragranza. A fumare essenza di rose non avevo mai pensato, ma i blender di Samuel Gawith hanno finito per soddisfare anche quella curiosità. Il Grouse Moor l'ho assaggiato così e non vorrei essere sotto l'influsso di qualche forma di imprinting animalesco, ma lo vedo molto come un tabacco da prima mattina a dispetto della indubbia rotondità del Virginia sottostante. E soprattutto da mattina del weekend. L'essenza fiorita si libra nell'aria e mi pare fatta per cominciare una giornata piena di promesse piacevoli, molto più che per concluderla.
Procedendo nella fumata, e con una seconda tazza di té a fianco, il Grouse Moor cresce, si concentra. Il Virginia scuro canta e spinge con voce baritonale, ma l'essenza fiorita non si fa completamente sopraffare e ricama il suo controcanto in sottofondo. In conclusione un tabacco che in teoria è totalmente contrario a tutti i miei principi, ma che non mi pento affatto di aver riportato alla vita e che potrei persino arrivare a ricomprare. Sì, nella vita si cambia.