sabato 28 luglio 2012

Una pipa per l'estate, anzi tre

Rinaldo piccola, da flake, con bocchino in lucite bianca. Una combinazione che si combina bene con l'estate. Ci fumerò il Best Brown Flake di cui in questi giorni sto diventando monomaniaco.
E la mia prima pipa Rinaldo. In genere non  ho grande feeling con le pesaresi ma con questa piccoletta dallo shape che non so definire mi sento a casa.
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Stamattina ero in centro a Firenze, a caccia di bistecche, lampredotto e altro. È stato inevitabile fare una sosta da Castellana, dove mia moglie si è innamorata di questa piccola Rinaldo con bocchino in lucite bianca.

Potevo deluderla?

Già che c'ero ho preso un paio di pipette in gesso. Pipe da taverna settecentesche per tabacchi settecenteschi. Poco dopo, mentre rimiravo i miei acquisti seduto con lei da Procacci, dietro un bicchiere di rosé ghiacciato e un paio di panini tartufati, le ho spiegato il senso delle pipette in gesso.
Mi ha chiesto: "Ma perché, tu hai tabacchi fortissimi settecenteschi?"
"Beh.... Sì..."

Un attimo di silenzio. Un morso al panino tartufato.

"Come potevo dubitarne?"


Due piccole pipe di gesso, pipe elisabettiane per tabacchi elisabettiani. Conto di fumarci alcuni rope, twist & plug che diversamente non riuscirei a reggere, uno tra tutti: il 1792 Flake.

lunedì 23 luglio 2012

La virtù sta nel mezzo: Best Brown Flake di Samuel Gawith

Venerdì, all'ultima visita da Noli, non ho potuto resistere all'acquisto di un bulk da 250gr di Best Brown Flake Samuel Gawith


Samuel Gawith è un nome che l'amante dei grandi Virginia da meditazione non può permettersi di ignorare. Molto altro di buono esiste al mondo, ma nulla che sia al contempo di livello così alto, in una gamma vastissima di eccellenze per tutti i gusti e in fin dei conti così facilmente disponibile anche per l'appassionato italiano, normalmente costretto a guardare  ai tabaccai esteri con l'acquolina in bocca.
Per noi italiani il limite è costituito dal prezzo. 18 euro e spicci  alla scatola da 50 sono un investimento che non tutti possono (o più probabilmente vogliono) permettersi. Il prezzo europeo medio è sui 12 euro e qualcosa. In Spagna l'agognata tin di Kendal viene addirittura smerciata per qualcosa meno di 7 euro (a trovarle). Nella formazione dell'esorbitante prezzo italiano, per il poco che ne so, non pesa solo il ricarico dell'importatore/distributore ma anche una struttura di tasse  e  balzelli che grava in modo particolarmente crudele sui tabacchi confezionati in scatoletta metallica (peraltro, nel caso di Gawith, di discutibilissima qualità).
Ecco perché l'acquisto di bulk da 250 gr (fortunatamente confezionato in cartone, con all'interno uno ziplock di plastica) risulta in Italia, particolarmente conveniente.  Praticamente l'unica scelta possibile per l'appassionato economicamente responsabile. Il prezzo al grammo torna nei paraggi del prezzo medio europeo e la qualità è forse ancora migliore che in scatola. Perlomeno così sostiene chi ha papille gustative più raffinate delle mie. Ecco una delle ragioni per cui, alla mia ultima visita da Noli, benché sia già piuttosto ben stoccato in fatto di tabacchi, visto sullo scaffale il bulk dell'elusivo Best Brown Flake, non ho potuto resistere alla tentazione di fare un acquisto.

Elusivo Best Brown, perché assai meno diffuso e mitizzato del fratello maggiore, Full Virginia Flake. Ma anche meno presente nei desideri proibiti rispetto al fratello biondo Golden Glow / Medium Virginia Flake, purtroppo non disponibile in Italia. Il destino ingiusto del Best Brown è quello di chi sta in mezzo. Non è scuro ricco e cioccolatoso come il Full, non è chiaro e arrogantemente dolce come il Golden. Eppure, se vi prendete la briga di non saltare agli estremi, per fermarvi almeno una volta al casello mediano, potreste scoprire che di tutti i virginia di Gawith, il Best Brown è forse il massimo assoluto, il più vicino alla perfezione. Quando fumo uno degli altri, non posso dire di sentirne la mancanza. Troppe, e troppo prorompenti, sono le qualità dei due fratelli. Eppure l'equilibrio del Best Brown ogni tanto si fa desiderare e siccome succede di trovare anche ottimi tabaccai che sono rimasti senza, cerco di farne sempre una discreta scorta ogni volta che mi capita a tiro. Tra i miei acquisti spagnoli del penultimo post, le scatole di Best Brown erano 4 o 5. In ogni caso, tutte quelle che Gimeno aveva disponibili. Avendone già a riposo, e nel contenitore più adatto all'invecchiamento, invece di aprire il bulk e dividerlo nei soliti barattoli, l'ho aperto senza sensi di colpa e ho cominciato a cacciarlo in un po' tutte le pipe che sto fumando in questo periodo. Al naso ha una punta erbacea molto leggera che manca in entrambi i fratelli. Il colore, beh... è brown. Ne dark, né Golden. E' un virginia tuttogiorno che non stanca, non brucia la lingua, non satura. Eppure soddisfa in modo ricchissimo, meraviglioso. E' uno dei pochi tabacchi da molto tempo che fumo mattina, sera a pranzo, il pomeriggio. Ogni volta che accendo la pipa, ho voglia di accendere del Best Brown. Quando la fiammata si esaurirà, penso che il Best Brown rimarrà comunque il tabacco principale della mia estate, da qui alla fine del bulk.

Grazie a questo momento di monomania, ho anche scoperto che non sempre per fumare flake occorre una pipa con fornello da flake, ma questo sarà l'argomento per un paio di altri post


Dovunque vada, il Best Brown è sempre con me.

sabato 21 luglio 2012

Facciamo un po' d'ordine


Qualche viaggio in Spagna e Repubblica Ceka ha intasato la mia camera oscura di scatole e scatolette che non mi sono ancora deciso a trasferire nel caveau.
Prima di passare alla cantina, ogni scatola metallica sarà avvolta in un sacchetto di plastica che sperabilmente la difenderà dall'umidità. Mi sono trovato un lavoro per uno dei primi weekend di pace da settimane...

lunedì 16 luglio 2012

Ennerdale Flake Gawith & Hoggarth



Se vi siete mai lavati la faccia con Camay, l'Ennerdale Flake lo conoscete già. L'Ennerdale Flake è in effetti un po' il principino dei soapies, categoria che conta anche prodotti più diffusi, ruvidi e proletari, come il Condor e il St.Bruno (forse l'ultimo tabacco inglese largamente disponibile nei supermarket del tabacco che vi aspettano oltre i controlli di sicurezza degli aeroporti).

Ma cos'è un soapie? Sostanzialmente un tabacco (generalmente un virginia flake, e anche uno molto buono in questo caso) che è stato aromatizzato, o se vogliamo profumato, con essenze di tipo non alimentare. Quindi niente whisky, ciliegia, mandorle o cacao. Ma fiori, erbe e tutto quanto vi aspettereste di trovare più nell'acqua di toeletta della vostra signora che non nella vostra pipa.

Per quanto il concetto possa sembrare curioso, a molti inglesi piace così. A me un po' meno, come ho scritto anche in questo post.



Ennerdale Flake Gawith & Hoggarth nella sua busta di Synjeco.
Come curiosità collezionistica (o quasi) vale la pena di notare la grafia errata "Gawith Hoggard", dal suono settecentesco. Un confezionamento che risale ai primissimi tempi in cui i prodotti del "secondo Gawith" furono introdotti in catalogo dall'importatore svizzero.

Un tempo ero un fumatore molto più schizzinoso di oggi. E così, quando decisi di acquistare tutta la gamma di Gawith & Hoggarth che Synjeco aveva reso finalmente disponibile, fui stupito e affranto dagli effluvi di deodorante per bagno che metà abbondante dei miei acquisti esalava. Li chiusi in una scatola ermetica perché non contaminassero il resto della mia riserva e li lasciai lì, non abbastanza coraggioso per buttarli ma nemmeno sufficientemente avventuroso per fumarli. Dopo qualche anno di riscaldamento, forse cresciuto moralmente, forse corrotto irrimediabilmente da alcune recenti divagazioni tabagistiche nel mondo degli aromatizzati in busta, ho trovato la forza di provarne qualcuno, con risultati alterni che ho descritto anche qui.
Tra tutti gli affettati della scatola, l'Ennerdale è uno di quelli che, ad anni di distanza, esala ancora i profumi più minacciosi. Il Lorenz, un amico frequentatore di flp, sostiene di non essere mai più riuscito a sradicarlo dalla pipa in cui l'ha fumato.
Ho quindi deciso di approcciarlo con le molle e con l'ausilio di una delle due pipe in schiuma che mi sono rimaste e che un giorno o l'altro dovrò pur riuscire a culottare. Confidavo che la schiuma funzionasse da ammortizzatore sensoriale, e l'ha fatto. Conto anche sul fatto che la sua scarsa memoria riesca a confutare il mito secondo cui l'Ennerdale è per sempre. Questo lo scoprirò col tempo.



Il ricco color bruno rossastro di un Ennerdale d'annata

Per ora posso dire che l'Ennerdale non è affatto tremendo come lo dipingevo. Forse recentemente sono davvero impazzito, perché le prime boccate saponose mi sono addirittura piaciute. Anzi a metà fornello ho addirittura sentito la mancanza dell'aroma da toeletta, benché abbia presto potuto consolarmi con un robusto sottofondo di Virginia corposi. E' anche piuttosto avvertibile il contorno di fire cured leaf. Il Burley, usato per le sue capacità di "flavour carrier" non l'avevo sentito. Ma compulsando la pagina di Synjeco dedicata ai virginia scented di GH ho verificato che c'è anche quello.
Se mi chiedete di cosa sappia, non saprei veramente dire. Posso però testimoniare che la persistenza, persino in schiuma, è notevole. Fumando dopo la carica di Ennerdale una miscela al 1792 flake (cioè uno dei tabacchi più potenti e caratterizzati del mondo in fatto di aromatizzazione), sono ancora riuscito a sentire un fantasma saponato. Un fantasma gentile, formalmente inappuntabile. Ma con un forte, riconoscibilissimo accento. Un fantasma molto britannico. E dalla faccia decisamente pulita.

giovedì 12 luglio 2012

Britishness per giorni di pioggia

Il Cob Plug  di Samuel Gawith altro non è che il 1792 flake in forma di blocchetto. Tabacco difficile e a me poco amico, in qualsiasi forma e confezionamento.


Con rare eccezioni, sono un anglofilo convinto per tutto quello che riguarda pipe e tabacchi. Ma anche in questo amato universo pipario ci sono aree nelle quali mi avventuro con un po' di prudenza. Una è quella dei tabacchi da marinaio o da minatore: rope, twist e plug ad alto tasso di foglie violentemente nicotiniche. Oggi riesco a dominarli un po' meglio di qualche anno fa, specialmente se confortato da uno stomaco pieno e da qualche acquavite. Ma con tutta onestà non potrei dire siano un piacere da fumare.

L'altro pianeta ostile è quello dei virginia scented, aromatizzati (o meglio sarebbe dire profumati) con sostanze  che spesso trovo alquanto sconvolgenti. Pare che agli inglesi piaccia da matti, io invece non riesco a godere appieno un tabacco ai fiori o ad altre essenze che saranno pure nobilissime ma a me ricordano un deodorante per bagni.

Il famoso 1792 flake di Samuel Gawith si potrebbe definire il punto di incontro tra queste due mie idiosincrasie. Una versione concentrata e potenziata di quello che amo meno nel mondo del tabacco inglese. Da un lato ti tramortisce con un calcio di nicotina che stenderebbe uno yak. Dall'altro ti affoga negli effluvi cumarinici della fava tonka, producendo un livello di violenza aromatizzante ineguagliato da qualunque altro tabacco a me noto. Se nelle taverne inglesi del XVIII secolo si fumava roba del genere, sono felice di non averle frequentate.

Il Cob Plug altro non è che il 1792 flake in forma di blocchetto. Generalmente, i plug si trovano in piccole confezioni da poche decine di grammi, 25, 30 o 35 massimo, pesate una per una e prezzate di conseguenza. Il mio Cob Plug, sfortunatamente, di grammi ne denunciava ben 51. Ce l'ho, lo sto affettando un po' alla volta e lo fumo con un misto di timore e disgusto a ore impossibili oppure ogni volta mi trovi in condizioni di scarsa lucidità, quando un altro tabacco sarebbe sprecato. Per cercare di arrivare alla fine della sofferenza nel minor tempo possibile ho adottato anche una strategia che si è già rivelata di successo con i cordoni. Utilizzarlo come condimento, più o meno in dose del 30 per cento, per dare un po' di pepe a qualche tabacco altrimenti un po' scialbo e neutro, come ad esempio la Mac Baren Scottish Mixture, oppure certi virginietti di poca sostanza. In questo modo, il blocchetto si sta un po' assottigliando, senza torturarmi in modo insopportabile.


A chi ha modelli adeguati, il Cob Plug insegna a soffrire con dignità


Ho sempre saputo che un ufficiale britannico in giubba rossa, chiamato a rappresentare l'Impero ai confini estremi della civiltà e talvolta oltre, deve saper accettare col sorriso sulle labbra, per il supremo interesse della Corona, anche le profferte di ospitalità tribale più inusitate. Ogni volta che accendo la mia pipa carica di Cob Plug cerco di farlo con la stessa impassibile signorilità con cui Michael Caine, di fronte al generoso banchetto di un qualche re selvaggio, avrebbe affondato il suo cucchiaio nel cranio scoperchiato di una scimmia, per gustarne il cervello ancora pulsante.

La britishness non è fatta solo per i giorni di sole.






martedì 10 luglio 2012

Cose buone dal mondo: Medium Virginia Flake di Samuel Gawith


Medium Virginia Flake di Samuel Gawith, also known as Golden Glow (nella versione in scatola).
Non ricordo se fosssero 250 o 500 gr, ad ogni modo se ne sono andati.

Così appariva il glorioso MVF, dopo dieci anni di cantina.
Per chi non lo conoscesse il Medium Virginia Flake / Golden Glow è una delle massime espressioni del puro golden Virginia. Naturalmente dolce come il miele, meno pizzichino dei Virginia in ribbon, con un po' di invecchiamento prende dei toni scuri e profondi che lo rendono ancor più meraviglioso.

Al momento in cui scrivo questo post, del glorioso tabacco qui ritratto mi rimangono solo il dolce, dolcissimo ricordo e queste foto. L'avevo comprato molti anni fa, credo nel 2000 o nel 2001 da Synjeco, a Brissago. L'avevo fatto mettere sotto vuoto. Poi l'ho lasciato in un contenitore nella mia camera oscura magazzino, aspettando il momento giusto per fumarlo. E lì l'ho dimenticato per più di una decina d'anni finché un giorno, facendo un simulacro d'ordine, il prezioso giacimento è venuto alla luce. La busta in nylon spesso del sottovuoto non è il medium migliore per attraversare tempi così lunghi. Avrei fatto meglio ad aprirla e a mettere in barattolo subito. Ad ogni modo il MVF non aveva subito danni. Tendeva appena al secco, e per questo l'ho messo in barattolo per un po' con un paio di coccetti, poi lasciato riposare un altro po'. Con pazienza. Una pazienza che però si è rapidamente esaurita appena l'ho caricato in pipa per la prima volta.
Non sono un grande recensore di tabacchi. Mi mancano la dedizione scientifica e il vocabolario tecnico.  Ma anche se li avessi, non credo basterebbero a dare un'idea di quello che ho fumato. Era oltre i confini  della realtà. Non credo che in vita mia un bulk ddi tabacco abbia mai visto una fine tanto veloce. L'ho fumato in pipe piccole, grandi, medie, in pot e chimney. In schiuma no, perché il Virgina in schiuma non mi piace (a meno che sia un Virginia che non mi piace: in questo caso è possibile che non-mi-piaccia un po' meno).

Dal punto di vista della presentazione, il cake un po' sciolto è un po' diverso dal quasi-ready rubbed con cui il Medium Virginia Flake si presenta adesso (o perlomeno così era il bulk che ho comprato io qualche mese fa).

Ma, dopo avere fumato questo, dieci anni potrebbero essere davvero troppo lunghi da aspettare.

lunedì 9 luglio 2012

Si fa presto a dir Bruyere



Sopra: Dunhill Bruyere 90 F/T, gruppo 2, del 1966. Se la pipa non fosse assai poco fumata avrei il dubbio di un restauro. Messa com'è, assumo che il rosso un po' più vivo della media possa essere originale.
Sotto:  Dunhill Bruyere 3104 (gruppo 3), del 1995


Di mamma ce n'è una sola. I colori delle Bruyere, invece, sono tanti. Alcuni, ahimé, sono frutto di maldestri (se non truffaldini) tentativi di restauro. Quando ci si trova davanti una Bruyere molto fumata ma di un bel rosso vivace, si è sicuri di essere di fronte ad una ripittura di scarso livello, fatta con le prime aniline trovate dal droghiere.

Ma tolto di mezzo l'ovvio, resta una gamma di rossi molto varia anche in casi certamente legittimi. Sicuramente l'intensità del colore dipende da quanto e come è stata fumata la pipa. La bulldog ritratta qui sopra, ad esempio, l'ho comprata nuova à metà anni 90 con uno dei miei primi stipendi veri. E' una delle pipe che ho fumato di più e sotto il mio pollice ho visto pian piano emergere l'occhio di pernice del lato destro, mentre l'originale bordeaux scuro si consumava. Anche il cannello, sullo spigolo, si è lentamente scolorito. E questa è una pipa che non è mai passata di mano, che non è mai stata lucidata sotto la ruota, che non ha mai visto la pasta abrasiva. Solo i miei ditoni, che forse sono un po' acidi e certamente hanno la proprietà di distruggere un po' tutto quello che toccano. Ma tra questa pipa e una che fosse rimasta prevalentemente in un cassetto durante questi anni ci sarebbe già una notevole differenza.

Un altro capitolo è quello della manutenzione. Io detesto la ruota e le paste abrasive, principalmente perché amo che la fragile nomenclatura sulle mie pipe resti il più possibile intonsa. Ma c'è chi ama ogni tanto lucidare i suoi possedimenti. Che usi pasta o che vada solo a carnauba, l'effetto delle ruota di panno si farà comunque sentire a lungo andare, schiarendo il colore e facendo emergere la grana della radica sottostante. E, nei casi peggiori, lucidando via le diciture e dando origine all'orrendo dente del bocchino smusso. L'effetto viene aggravato di molti ordini di grandezza se la ruota, anziché da un proprietario solerte, viene maneggiata dal commesso di un negozio a cui è stata affidata la pipa, sia per vendita che per manutenzione periodica. Le pipe che hanno passato molte mani sono quasi sempre chiarette e malconce nella nomenclatura, col dente arrotondato e il bocchino assottigliato. Una delle mie pipe, una patent army mount montata in oro che sarebbe altrimenti splendida è il caso estremo. Benché la nomenclatura debolissima delle patent si sia salvata, il colore si potrebbe confondere con quello di una root.


Ma se uso e manutenzione sono due aspetti essenziali, va detto che anche la Real Casa ci mette del suo nel confondere le carte della Bruyere. Non ero ancora in giro per pipe quando alcune creature che possiedo o che ho ho solo rimirato in mani altrui, hanno visto la luce. Ma in questi ultimi decenni ho adocchiato nelle vetrine e sugli scaffali un bel po' di Bruyere nuove (alcune delle quali mi hanno tentato con successo). Quello che posso dire è che anche loro sono, sono state e presumibilmente saranno, molto diverse tra loro. Non so se sia la densità della radica o, come sospetto, la regolarità del suo colore che induce talvolta il produttore a preferire tinte scurissime, mentre in altri casi ciò non viene ritenuto necessario. In parte dev'esserci la moda, l'estro del momento. Ma certe Bruyere, anche da nuove, sono più chiare, più scure, più rosse o più tendenti al marrone delle altre. Certo, la gamma è meno vasta di quello che viene offerto in vendita usato. Ma le differenze sono comunque notevoli e tenderanno ad intensificarsi con l'uso.


Io preferirò sempre una bruyere un po' sbiadita e chiazzata dall'uso (come la mia bulldog) a una bruyere ridipinta, anche dalle mani più capaci. Va detto che, se le mani sono veramente capaci (cosa però piuttosto rara) potrei non accorgermi della "rinfrescata".

Per accorgersene gli indizi, secondo me, sono anzitutto la vivacità del colore (rarissimo che una bruyere nuova sia di un rosso brillante, io quantomeno non ne ho mai vista una, mentre le aniline in vendita sono quasi sempre di quel bel rosso lì e non esiste che io sappia un bordeaux adatto pronto all'uso).  In secondo luogo il contrasto. Sotto il pesante bordeaux di Dunhill c'è una tinta nera a contrasto che anzi tende ad emergere se il rosso si consuma un po'. Nei restauri dilettanteschi capita di vedere solo il rosso, che è un buon indizio che la pipa è stata ridipinta.


Io, almeno una pipa ridipinta ce l'ho di sicuro. E' una patent, per il resto splendida, che Samuel Goldberger mi presentò esattamente per quello che era, conquistandosi la mia fiducia imperitura e concedendomi un certo sconto per il difetto di originalità. Bocchino e tutto il resto erano perfetti, ma il colore non quagliava molto con le condizioni. In questi casi, che possono capitare, suggerisco di fumare, fumare e fumare ancora in quella pipa. Con un po' di pazienza anche un rosso un po' vigliacco si attenuerà, si imbrunirà e la bruyere violentata, se non la verginità, ritroverà quantomeno un po' di apparenza.

 Sopra: Dunhill Bruyere 5111, gruppo 5, 1989 - Rosso abbastanza vivo e bruno-aranciato, come talvolta ho visto nel periodo. Un po' chiaretto, specie nei punti di contatto con le dita. Non credo sbiadito dalle lucidature, perché la nomenclatura è perfetta.
Sotto: Dunhill Bruyere 4111, 1980 - Sto praticamente rodandola perché mi è arrivata con non più di due fumate. Il rosso è scurissimo ma via via che la uso tende a schiarire sotto le dita. Il tono comunque è completamente diverso, meno aranciato della pipa sopra, di nove anni dopo (e molto più fumata) 


Sopra: Dunhill Patent "33 F/T", 1936 - Pipa presa in condizioni perfette, praticamente infumata. Il colore originalissimo è di un rosso molto poco rosso.
Sotto: Dunhill Patent "313",  Gold Army Mount, 1949 - Bellissima, anche se del suo rosso è rimasto ben poco. La nomenclatura sottilissima ma perfetta testimonia che è stata lucidata responsabilmente nel corso della sua vita. Il colore deve essersene andato sotto le dita come nella mia bulldog.


 Due Bruyere decisamente scure, entrambe acquistate nuove
Sopra: 4203 del 2002. Sotto: Quaint gruppo 2 del 2006 con primi segni d'uso


Sopra: Dunhill Bruyere "EK F/T", gr 4, 1967 - A mio avviso un rosso abbastanza sospetto, tutto il restauro mi lascia qialche dubbio. Ad ogni modo era una square panel come la capostipite  e l'ho presa comunque
Sotto: Dunhill Patent "59" - 1938 - La pipa mi è stata presentata con grande onestà come ridipinta. Il lavoro è stato fatto con grandissima arte, riproducendo il nero di contrasto originale e un punto di bordeaux molto credibile. Ma colore pari al nuovo e condizioni piuttosto fumate della pipa erano abbastanza incongruenti quando l'ho comprata. Dopo anni di uso, il colore è tornato ad essere pienamente attendibile.





L'idea di questo post mi è venuta leggendo questa discussione sul gruppo facebook "fumatori di pipa".





domenica 8 luglio 2012

Non perdiamoci di vista


 Il mio ultimo curapipe, ora dotato di pendaglio con pennacchio, nella speranza che almeno questo possa servire a non perderlo.

Nessuno ha mai pensato che io sia una persona ordinata. Ma con i curapipe raggiungo livelli di distrazione patologici.

Approfittavo delle visite frequenti in Repubblica Ceka per comprarne a dozzine, finché ho scoperto che da Bollito, a Torino, costano meno che nella madrepatria. L'ultima decina l'ho presa lì. Eppure, nonostante acquisizioni all'ingrosso, riesco lo stesso a rimanere senza (e senza avere la più vaga idea di dove questi elusivi accessori vadano infine a parare). A casa, per i momenti disperati, ne ho uno appeso a una corda, fissata al muro con un chiodo.

Oggi, rimasto all'ultimo (che peraltro ho dovuto comprare dal tabaccaio) ho pensato di ricorrere a questo sistema. Con gancio, metallo e pennacchio adesso il curapipe non può passare inosservato e scivolare chissadove. Almno spero. Se funzionava per le chiavi di hotel, forse funzionerà anche per me.

La scatola d'argento made in Morocco forse potrebbe risultare utile per trasportare un pezzetto di plug. Suppongo che chi l'ha concepita pensasse ad essenze diverse dal tabacco. Ma per me andrà bene così.

A volte ritornano

 Red Rapparee. Un vecchio tabacco ad alto tasso di turchi, che è sempre stato tra i miei preferiti. E lo rimane anche oggi che viene prodotto su scala industriale da K&K, il più temuto dei marchi tedeschi.


Un anno fa non avevo ancora aperto questo blog. Non avevo ancora cominciato a frequentare "fumare la pipa". Un anno fa stavo fumando uno dei miei tabacchi preferiti, il Rattray's Red Rapparee di cui, in modo del tutto illogico, avevo appena comprato un paio di scatole, ignorando le riserve di tabacco di ogni genere e tipo depositato nel mio caveau.

A volte aprire un cassetto ti fa fare salti inaspettati nel tempo e nello spazio. A me è successo questa mattina qui al mare quando questa scatola, contenente un'ultima dimenticata carica, è apparsa tra le cose che devo avere abbandonato facendo le valigie disordinatamente, come sempre succede nelle ultime operazioni di impacchettamento, quando è già molto ritrovare le chiavi della macchina. E prendere il traghetto del ritorno appare come una probabilità, più che una certezza.

Da quando il mio Red Rapparee è rimasto al confino qui sull'isola molte cose sono successe nel mio mondo pipario. Nuove conoscenze, nuove esperienze hanno riacceso la curiosità che mi ha portato a provare cose che non avrei mai pensato di fumare prima. E quando mi è capitato di nominarlo, questo tabacco che oggi è prodotto dai temuti crucchi di K&K, ha suscitato anche qualche perplessità. Effettivamente sì, non è più nel suo barattolo a tamburello e fa ormai parte della schiera di English Mixtures (o pseudo tali) che vengono sfornate in quantità industriale da un gruppo che tutto è meno che artigianale e che punta all'uniformità del gusto più che all'eccellenza assoluta. Come se non bastasse contiene Black Cavendish, l'ingrediente misterioso il cui nome significa tutto e niente e a cui i grandi manifattori di tabacco sembrano sempre più affidare la standardizzazione del gusto di ciò che mettono in scatola. Tutto vero. Si può quindi capire come il momento in cui ho cominciato a raccogliere i fili superstiti per caricarli nella mia Gigliucci sia stato gravido di sentimenti contrastanti. Un po' ero curioso di tornare al mio vecchio Red, un po' temevo che ne sarei rimasto deluso dopo quest'anno vissuto appassionatamente tra scoperte di microblender e ritorni ai pezzi forti della mia riserva personale.

Ma il Red non mi ha deluso. Sarà tutto quello che volete. Ma avercene. Ha quel bel mix di virginia e di turchi che piace a me con il latakia di sfondo a far da condimento. Il Cavendish c'è ma ha il ruolo che deve avere, quello di un collante discreto. Forse il segreto del Red Rapparee è quello di essere un tabacco ad alto tasso turco, e forse le alchimie industriali non sono ancora riuscite a creare orientali sintetici che sanno di farmacia, come purtroppo è successo con i latakia che infestano certe miscele industriali per maniaci del gusto affumicato, ridotti a bruciare aromatizzati al gusto di cacca di cammello chimica.

Sul Red Rapparee, per me, si può contare. E gustandomelo ho persino pensato che certi nuovi microblender farebbero bene a fumarsene un paio di scatole e a prendere attenta nota. La mixture è un campo pericoloso dove non sempre piccolo è bello.