sabato 29 dicembre 2012

Mauro Gilli: il passaggio a Nord-Ovest



Due Gilli LB, di qualche annetto fa. Nella scala di Mauro sono marcate con due stelle, il che ne fa due belle chiare di tutto rispetto. Quando posso, e sono tranquillo che mia moglie non legga l'estratto-conto, mi piace ordinare le pipe a coppie, come pistole da duello, con solo leggere differenze. In questo caso il bocchino di ambra coltivata con vera oro (sopra) e di bufalo indiano con vera argento (sotto). Sono tra i pezzi più belli della mia minicollezione di LB (large billiard). Uno shape classico Dunhill, rivisitato da Savinelli con la famosa 101.

Flashback. Vedo mio padre costernato, seduto alla sua scrivania. Ha tra le mani una piccola Dunhill curva. Io sono lì con lui, nel suo studio. Non so bene quanti anni io abbia (sono stato lì molte volte per molti anni) ma certamente non ho minimamente l'età necessaria ad interessarmi personalmente a come debba essere fatta e come si fumi una pipa. Tutto ciò per lui non è minimamente un problema. 

La sua idea non è mai stata che i genitori debbano trovare argomenti e linguaggi per mettersi in sintonia con i figli. Sono i figli che, quando e se ne saranno in grado, avranno facoltà di mettersi in contatto con gli argomenti e i linguaggi degli adulti. Lui comunque è sempre lì. E non sarà certo l'idea che i suoi figli siano piccoli a trattenerlo dallo spiegare loro perché un bassorilievo sia degno di essere ammirato, perché Cassandre, Konecsni o Savignac siano così grandi. Perché la libertà sia un bene prezioso, concreto, che si può toccare, vedere, annusare. O per venire un po' più vicino al topic di questo blog, perché il bocchino di una Dunhill, tirato dritto quando è dritto o, nel caso sia curvo, piegato armoniosamente secondo una parabola che esalta la forma della pipa, sia così immensamente superiore a certe ciabatte sformate molliccie e di forma "ciucciata" (il termine è suo e identifica quei bocchini conici che si restringono non regolarmente, ma con una curva improvvisa), che pure certe sue pipe montano. Quando sarà il momento capiremo. E io, in quel momento, sto capendo.

Sto capendo che una delle sue Dunhill è stata straziata da un riparatore al quale l'aveva affidata con eccessiva fiducia. Verso il mondo in cui vive mio padre continua ad avere l'ingenuità innocente del profugo.  Il nome del negozio, la sua insegna secolare, la vetrina su una bella via centrale, i modi cortesi, l'aspetto competente lo fanno sentire sicuro che il suo bocchino consumato verrà semplicemente sostituito con un nuovo bocchino Dunhill, una specie di ricambio originale che farà tornare la sua pipa esattamente com'era quando l'ha comprata, ormai diversi anni fa. Non ha dubbi, non ha diffidenze. Non pensa di poter avere a che fare con qualche improvvisato e approssimativo cialtrone, che maschera l'incompetenza con il funzionalismo (o con l'ideologia), come quelli che ha lasciato per sempre alle spalle, oltre le barriere di filo spinato.
La profonda costernazione in cui lo vedo, con la sua Dunhill straziata tra le mani, rappresenta la caduta anche di questa piccola isola di certezza. Il bocchino nuovo, sì, ha il puntino bianco. Ma la sua curva è sbagliata, il raccordo col cannello non ha nulla di perfetto. La pipa non è più, non potrà più essere, quella di prima. Tutto l'insieme grida falsità e tradimento, e io in quel momento sto capendo quel dramma in miniatura, pur non avendo mai avuto nessuna competenza sul come debba essere fatta una pipa.

Quel bocchino tremendo nella sua inadeguatezza ha rappresentato per me un ricordo incancellabile. Per molti anni ho pensato che un bocchino su una pipa, e specialmente su una bella pipa, non si potesse assolutamente sostituire con ragionevoli speranze di successo. Il bocchino e la pipa nascono insieme e ogni tentativo di riprodurne a posteriori il misterioso equilibrio originario è destinato al fallimento. Così mio padre aveva razionalizzato il disastro della sua Dunhill e questo avevo assunto come dato di fatto, sia quando la pipa non la fumavo ancora che quando ho cominciato ad averne. Ci sono voluti molti anni, e forse l'improntitudine che ad una certa età porta a gettarsi alle spalle le certezze acquisite dai padri, per rimettere in discussione questo principio. Ero oltre le prime pipe, già in una fase in cui si acquista anche un po' per passione ed avventura. Ed è stato un indaffarato Noli, in galleria, forse troppo indaffarato per occuparsi personalmente della questione, a parlarmi di un artigiano di Torino che certamente poteva restituire la vita ad una disgraziata Dunhill che avevo comprato imprudentemente su ebay (allora appena nata), senza rendermi conto che poco era rimasto di sano, oltre alla testa. 
Non avevo una pipa da rimpiangere, solo un rottame tra le mani, e anche questo mi ha aiutato a prendere il coraggio di ritentare la strada sulla quale le aspettative di mio padre erano state così duramente tradite. Tentai, ma senza grandi speranze e senza fidarmi troppo, la via di Mauro Gilli. E Mauro Gilli fece il miracolo. 
Quando (dopo molti mesi) la pipa riapparve tra le mie mani con il suo bocchino nuovo, in tutto e per tutto fantastico come quello che la pipa doveva avere avuto da nuova, forse persino migliore, perfettamente armonico,  perfettamente tirato come mio padre mi aveva insegnato che un bocchino Dunhill dovesse essere, fu come avere trovato il passaggio a Nord-Ovest.
La feci vedere a mio padre, con qualche timore che lui ci trovasse difetti che io ancora non avevo visto. Ne rimase ammirato, al punto che riprese dallo scaffale la sua vecchia Dunhill, rimasta per anni praticamente infumata. Facemmo insieme una scatola di pipe da sistemare. Io un po' delle mie Savinelli che nel frattempo avevano esaurito la corsa dei loro poveri bocchini originali. Lui qualcosa di suo, tra cui una splendida e fragile Castello a cui aveva crepato il cannello e che non aveva più osato riparare, preferendo tenerla insieme con lo scotch. Gilli a quel tempo lavorava come un ossesso, senza nemmeno l'aiuto di suo nipote Simone, che oggi sta crescendo nella sua bottega. Dopo un'attesa quasi infinita di mesi, mesi e mesi, le pipe tornarono, senza essere nulla di meno del meglio che si potesse sperare. Le Savinelli sono nei link sopra, da vedere. La Dunhill di mio padre era tornata, finalmente, una Dunhill. La Castello aveva una vera oro a filo che sembrava nata con lei. La speranza che il grande negozio aveva tradito era stata restaurata in uno scantinato di Torino, da un uomo che non avevo mai visto né sentito, se non per telefono.
Su una cosa ero comunque sicuro che mio padre avesse ragione: fare un bocchino Dunhill nuovo su una pipa vecchia era l'impresa più difficile con cui un artigiano della pipa si potesse misurare. Un uomo capace di fare questo con la maestria di Gilli, non avrebbe certo avuto problemi a fare una pipa intera, almeno in teoria. A quei tempi lo sentivo spesso al telefono, con la scusa di avere notizie delle mie pipe e in realtà per sapere quali idee e novità ci fossero nel suo laboratorio. Un giorno lo incontrai anche a pranzo con la moglie, in un ristorante del centro e l'impressione di un uomo semplice, onesto, geniale e straordinario si fissò in me in modo definitivo. Mi venne voglia di avere una pipa fatta interamente da lui. Non sapevo decidere se volevo il bocchino in ambra (che avevo visto nelle vetrine di Al Pascià) o quello in corno duro indiano. E così, appena ebbi la possibilità economica, ordinai le due pipe, ovvero le due chubby billiard (Gilli le chiamava Maigret), che si vedono sopra. Ne uscirono, ovviamente, due capolavori assoluti. Qualche anno dopo, in occasione di qualche altra riparazione, mi feci fare anche una square panel, un'altra delle mie forme. Tre pipe che ho fumato per anni con immensa soddisfazione. 

La pipa, come tutte le passioni, ha i suoi momenti brucianti e i periodi più quieti, abitudinari. E' passato molto tempo senza che sentissi più il bisogno di comprare nulla di nuovo, e quindi senza incappare in quegli incidenti che rendono prezioso l'intervento di Gilli. Anche Mauro ha avuto le sue traversie. Ma da quando è tornato a lavorare a tempo pieno, anch'io per qualche sintonia ho sentito il bisogno di aggiungere nuovo materiale al mio debordande blob pipesco.
Da circa un anno possiedo anche la liverpool che si vede sotto, la mia prima Gilli curata a olio. Ancora più recentemente, ho visitato insieme a mio cugino Andrea il laboratorio di Mauro e mi sono portato a casa questa canadese. La mia prima Gilli con bocchino in metacrilato. E certamente non me ne sono pentito. Altre pipe, non meno belle, che prima o poi metterò su queste pagine, sono già al lavoro. Quella di Gilli è una febbre contagiosa, che si aggrava in chi l'ha già e si trasmette facilmente per contatto. Ora che il web è diventato uno strumento con cui gli appassionati si scambiano idee ed impressioni sui nuovi acquisti, vedo che la presenza delle pipe di Gilli è in forte accelerazione.
Gilli è il tipo di persona che insieme a qualunque cosa spedisca e faccia pagare, sulla grande pipa come sul lavoretto, ti fa trovare una fattura, senza bisogno che nessuno gliela chieda. Effettivamente, nelle cose che fa, oltre alla straordinaria abilità manuale e al perfezionismo esasperato, si sente proprio questa immensa integrità morale. La pipa di ginepro Paronelli, che mi è esplosa dopo una fumata, è ancora nelle sue mani. E sono certo che non tornerà finché Mauro non avrà trovato un modo di ripararla che non rischi di creare una nuova delusione. 
Ci vuole un uomo duro per fare un pollo morbido, diceva un famoso slogan americano. Per riparare qualcosa di più grande e di più doloroso di un bocchino spezzato, ci voleva un uomo come Mauro Gilli.




 
Una delle mie ultime Gilli (per ora). Una liverpool in gruppo 4/5 (14cm x 48mm x foro 19mm x solo 38 gr di peso).
Pipa deliziosa, anche grazie all'oil curing che da qualche tempo Gilli offre a richiesta sulle sue pipe.
Il dente, assolutamente meraviglioso. Una delle firme di Mauro.

mercoledì 19 dicembre 2012

Mac Baren Golden Blend al cartoccio

Ricetta: prendete una scatola di tabacco, rosolatela in forno a 85° per cinque ore, avvolta in foglio di alluminio. Gustate  freddo, nella vostra pipa.


Non ho ancora grande esperienza con questa tecnica ma leggendo i commenti dell'amico gmroberto mi sono fatto l'idea che valesse la pena provare con questo Burley. In effetti ne valeva la pena.


La scienza è un'attività avventurosa, raramente compresa dai contemporanei. Ne ho avuto la prova il giorno in cui un paio di amici, ispirati da questo autorevolissimo articolo di fumeurs de pipe, hanno presentato su flp i risultati di un esperimento: il passaggio al forno del tabacco.
L'idea, con ogni evidenza, non ha nulla di balzano. Tutto il tabacco che fumiamo è stato sottoposto a trattamenti termici in qualche fase della sua vita. Ed è ben noto che diversi trattamenti producono diversi risultati. Molto in generale, un tabacco più "cotto" tende ad essere più morbido, cedendo qualcosa sul lato della fragranza. Il confronto tra Best Brown Flake e Full Virginia Flake, grosso modo dà un'idea.

In questo caso non si tratta di riprodurre temperature e pressioni di fabbrica, quanto di dare una piccola spinta termica di ritocco. A leggere l'articolo di fumeurs de pipe, sembra che sia utile per ammorbidire certe asprezze, arrotondare il gusto, e arrivare per una via diversa al genere di effetto che ci si aspetta, più o meno,  dall'invecchiamento. La tecnica vanta padrini nobilissimi, come Fred Hanna (che ha inserito la tecnica nel suo ultimo libro dedicato alla ricerca della fumata perfetta) e il venerabile Gregory Pease, che pare sperimentasse con forni e confezioni di tabacco ai vecchi tempi del suo primo impiego da Drucquer (grande tabaccaio californiano ormai scomparso). Gli sperimentatori avevano seguito procedimenti rigorosi e presentavano seriamente i risultati delle loro prove di assaggio, prima e dopo.

Ma l'uditorio al quale la tecnica è stata presentata, non si è mostrato particolarmente ricettivo per le novità. L'idea è stata in vario modo derisa, partendo dal robusto assunto che "se fosse utile i fabbricanti di tabacco lo farebbero già". Qualcuno temeva avvelenamenti. Altri l'esplosione delle scatole di tabacco  e del forno, con possibili danni e persone e cose. L'invenzione della macchina a vapore dubito abbia creato più diffidenza e panico dell'idea di scaldare a 85° per cinque ore una scatola di tabacco. Citare gli illustri padrini e l'indubbia autorevolezza degli articoli nel quale la tecnica era presentata, e testata non si è dimostrato di nessun aiuto nel penetrare la corazza di diffidenza degli utenti del forum.

Pazienza. Il destino degli innovatori è quello di essere presi a pernacchie dai loro uditori. Ma talvolta anche quello di godere in misura notevole dei risultati delle proprie intuizioni. Consapevole di tutto ciò, fiducioso nel buon gusto dei miei amici (e anche in quello di Fred Hanna e Gregory Pease), ho cercato tra i tabacchi alla mano, pronti da fumare, una scatola adatta a tentare l'avventura.

Il Golden Blend Mac Baren è (soprattutto) Burley, un tabacco di base che in passato a me non ha mai interessato e che di solito mi irritava quando lo scoprivo ad allungare il brodo nelle miscele. Di Golden Blend comprai una busta, in omaggio ai gusti di un amico. Non mi è piaciuto. L'ho trovato aspro, tagliente, noioso e anche un po' pizzicante sulla lingua. Gli ho anche aggiunto un po' di Golden Glow, sperando di ammorbirdirlo un po'. Ma sono solo riuscito a sprecare un po' (e fortunatamente solo un po') di uno dei migliori Virginia che una pipa possa avere il privilegio di incontrare. Il Golden Blend è rimasto sordo ad ogni invito a farsi migliore. Mi è piaciuto talmente poco che, quando mi hanno assicurato che quello in scatola da 100gr è molto più buono, pur senza molta convinzione, ne ho ricomprata un'altra grossa scatola con l'idea di dargli un'altra chance. L'ultima.
Idea generosa, forse, ma anche imprudente. Tanto che il Golden Blend su cui avevo deciso di ributtarmi subito sfruttando il momento, è rimasto in un cassetto qualche mese. Quando ormai disperavo  di avere il coraggio di aprirlo, ecco che la cottura al forno è arrivata a fagiolo.

Tra gli esperimenti che Gaetano assicurava essere meglio riusciti, c'era proprio quello col Golden Blend, e così ne ho approfittato per darmi una ragione per tornare sui miei passi, facendo ciò che uno scienziato non dovrebbe mai fare: due esperimenti allo stesso tempo. Il Golden Blend in scatola (invece che in busta); Il Golden Blend al forno (invece che crudo). Avendo mal calcolato i tempi di partenza, un venerdì sera mi sono trovato ad aspettare davanti al forno quando erano ormai quasi le due di notte. Ma la mattina dopo, quando ho aperto la mia scatola, ho ringraziato di aver tenuto duro per amore della scienza. Il Mac Baren che al naturale mi era sembrato privo di qualunque attrattiva, già appena svitato il coperchio mandava un profumo invitante con tracce di tostatura. Ne ho fumata una carica con il caffé e il profumo a crudo è stato confermato da un sentore di crosta di pane che ho trovato piacevolissimo e che certamente era del tutto assente nell'originale. Che sia stata la tostatura o il contenitore metallico, il tabacco risultava anche molto meno angoloso di quello che avevo fumato in busta. Non aggrediva, non grattava, non bruciava. Ma anzi avvolgeva il profumo di pane appena uscito dal forno con una certa morbidezza. Finita la mia pipa, abbastanza incredibilmente, mi sono trovato a desiderare un'altra carica di Golden Blend nel giro di poche ore.

A questo punto l'ho fumato abbastanza per poter dire che il nuovo Golden Blend al cartoccio risulta un tabacco gustoso per tutti i momenti in cui si vuol fumare qualcosa di sobrio e semplice, non troppo invadente, non troppo esigente con i sensi. Un tabacco da riposo, da fumare con piacere, non da degustare e centellinare. Nemmeno da miscelare, per quanto mi riguarda. 

Una vittoria della curiosità informata e della scienza sull'abitutine, e persino sull'esperienza.


Il Golden Blend Mac Baren si presenta un po' scurito, manda un delizioso profumo di crosta di pane e, una volta acceso si dimostra gustoso e piacevole. Non mi era mai successo di avere voglia di fumare del Golden Blend. Col Golden Blend al cartoccio ho provato anche questa esperienza.



sabato 15 dicembre 2012

La pipa dello zio

La pipa dello zio Alberto.  Una "Real Briar" che a giudicare dalla losanga sul bocchino potrebbe essere una Brebbia


Poche persone sono state più diverse e più simili di mio zio e di mio padre.
Due mondi agli antipodi: uno di solido ceppo tosco-piemontese, l'altro nato da un ibrido e instabile brodo primordiale multinazionale; uno artista, l'altro uomo di azienda e di banca; uno pratico e pianificatore, l'altro quasi sempre perso oltre i confini del suo foglio di carta. Eppure due uomini profondamente uniti da qualcosa che non saprei come chiamare se non solidità caratteriale. Che si guardavano da due lati opposti dello specchio e si riconoscevano.
Tra le cose che li univano (ma anche per certi versi li differenziavano) c'erano la buona cucina, il gusto per il vino e le pipe. Quando le nostre famiglie si incontravano, si era sicuri che in mezzo ci sarebbe stata una tavola, e una di quelle intorno alla quali vale la pena stare.
In effetti ho molte zie. Ma ce n'è solo una che abbia mai rivaleggiato con mia madre nella capacità di allestire un pranzo, e specialmente un pranzo festivo. Anzi devo dire che i pranzi delle feste erano veramente la specialità della zia e che l'incrocio di tradizioni piemontesi, toscane e ungheresi produceva risultati portentosi, imprevedibili, inimmaginabili. Sia mio padre che mio zio (e questo era un altro aspetto che li univa) nella cucina delle loro mogli hanno avuto il ruolo che in un teatro spetterebbe a un direttore artistico. Ricordavano, immaginavano, proponevano, talvolta pretendevano. Trovavano fonti, rivedevano i copioni, allestivano il cartellone della stagione. Comunicavano entusiasmo, e non facevano mancare alle loro artiste il supporto di un esigente spirito critico. Quando salivo in macchina per andare a casa degli zii ero pronto a vedere e assaggiare cose che non avrei mai trovato altrove. Lì, ad esempio, scoprii il tramezzo. Una portata aggiuntiva, generalmente una qualche specie di trionfo a base vegetale, che segnava il confine tra il primo e il secondo, non essendo nessuno dei due ma accompagnando i commensali dall'uno all'altro. Mia zia sapeva fare una delle poche cose in cui mia mamma non è mai ruscita: il rétes (una specie di strudel ungherese di pasta sottilissima) e un giorno ha anche cercato di insegnarmelo. Erano giornate meravigliose quelle delle feste. E non credo che me lo sembrino solo adesso che le rivivo nella memoria. Eravamo ragazzini. Non avevamo né game boy né telefonini a separarci dalle storie e dalla chiacchiere dei grandi. Ed erano storie fantastiche anche perché venivano da mondi diversissimi da quello in cui vivevamo noi. Dopo pranzo, seduti al tavolo da caffé, papà e lo zio accendevano sempre le loro pipe. Io non immaginavo nemmeno che un giorno ne avrei fumata una ma mi divertivo un sacco a guardare quelle dello zio. Erano pipe come quelle di papà, ma erano anche completamente diverse. Mio padre era un artista che amava il design rigoroso, severo, le sue pipe erano classiche appena animate da un accento creativo che vibrava sotto pelle. Lo zio invece aveva anche qualche pipa veramente strana: di forma mai vista, col coperchietto... e specialmente una che si è fissata nella mia memoria in modo indelebile. Una specie di calamita degli occhi: una pipa quasi arancione, né liscia né di un rugoso normale, con delle specie di pennellate nere. Papà e lo zio ogni tanto ci scherzavano sopra. Me la ricordo appoggiata tra le altre sul portapipe, o alle volte sul tavolo. Dovunque fosse la pipa dello zio, mentre i grandi si scambiavano tabacchi, fumavano, bevevano caffé o qualche liquore, i miei occhi la cercavano e la trovavano. Qualche volta l'ho persino maneggiata.

L'ho rivista circa un anno fa nella collezione di mio cugino Andrea, a cui sono passate tutte le pipe del suo babbo. E' stato un giorno in cui, dopo molti anni, ci siamo ritrovati ancora, per un pranzo con gli zii e con la mamma. E gli ho raccontato esattamente questo. Alla fine del pranzo, con mia grande sorpresa, me l'hanno regalata.
E' una delle pipe che tengo sempre in vista. Ma non credo che la fumerò mai. E' la pipa dello zio. Ogni volta che la riprendo in mano, la rivedo a casa sua. E le voci, le immagini, le sensazioni di quei momenti tornano per un attimo a vivere. Non è solo una pipa. E' un oggetto magico.

O forse una madeleine.

martedì 11 dicembre 2012

Un'altra magia di Mauro Gilli

La mia vecchia Calabash di schiuma (ne parlo in questo post), con il nuovo bocchino in cumberland "miele" di Mauro Gilli.

L'infelice pipa col suo orrendo bocchino originale. 

Una delle mie idee fisse in campo di pipe è che quasi tutto si capisca dal bocchino. Deve avermela comunicata mia nonna che in altri tempi aveva la stessa idea a proposito di scarpe e di uomini. Diceva che tutto sommato rimpannucciarsi in un cappotto o in una giacca accettabile non era così difficile. Ma se volevi capire con chi avevi a che fare, la cosa da fare era guardargli le scarpe.
Una scarpa decorosa e ragionevolmente pulita ti diceva che avevi a che fare con una persona dignitosa, anche se il vestito non era di sartoria. Una bella scarpa ma sporca e malcurata ti parlava di un abbiente cialtrone. Una scarpa dozzinale ma combinata con un vestito pretenzioso, rivelava che la persona davanti a te cercava di sembrare qualcosa che non era. 

Poi sono arrivate le sneakers e tutto è diventato più difficile.

A molte pipe, invece, continua a succedere così. Te le vedi sotto le luci, in tabaccheria, lucidate e guarnite di cartellini del prezzo di tutto rispetto. Ma un'occhiata al bocchino stampato e "ciucciato" separa immediatamente, inevitabilmente, la pretenziosa pipa senza sostanza da quella che giustifica il suo prezzo con una autentica ricerca di qualità (ho scritto in proposito, in questo post sulle Dunhill ma c'è anche molto altro: balzano alla mente Musicò e Gigliucci).

A patto di avere una pipa dalla testa quantomeno decente, di averci speso una cifra ragionevole e di essere arrivati a buon punto del primo scadente terminale prestampato, possono esserci casi in cui è ragionevole pensare a un nuovo bocchino su misura, fatto a mano con straordinaria abilità e con materiali di qualità, da un artigiano che ha i mezzi e, vorrei dire, la cultura che sono mancati al primo frettoloso assemblatore commerciale. A saper leggere la pipa, se ne possono prevedere gli effetti.

Di pipe così ne ho già parlato qui e qui. Stavolta le cure di Mauro e Simone Gilli sono toccate a una calabash in schiuma di livello accettabile ma come troppe sue consorelle turche, appesa a un bocchino orribile e dozzinale che mi ha sempre impedito di apprezzarla. Stavolta da Gilli ci sono andato di persona (cadendo inevitabilmente nella rete di alcune sue pipe a cui non ho potuto resistere) e ho scelto per la mia schiuma un nuovo cumberland che Simone mi aveva già mostrato per email. E' un colore abbastanza scuro, ma che loro chiamano "miele". Più del verde che avevo in mente, più del blu che ho destinato a due nuove square panel ordinate al momento, il miele mi sembrava fatto per esaltare la mia schiuma e tirarle fuori l'acuto che il vecchio tappo giallo le aveva sempre impedito.

Il risultato è ritratto in alto. Ed è più di quanto osassi sperare. La curvatura aggraziata ed elegante del cumberland esalta la perfezione con cui il bocchino si restringe dall'innesto al dente (che di per sé è un altro capolavoro). I toni screziati del cumberland riprendono i bruni che il culottage ha cominciato a sviluppare. Il brutto anattrocolo è diventato, finalmente, cigno.

La pipa è rimasta una schiuma discreta, senza enormi pretese. Se fosse una persona, sarebbe un uomo vestito di maglione e pantaloni di fustagno. Ma cambiargli le scarpe di similpelle traforate con un paio di Church's cucite a mano, ne ha fatto una persona completamente diversa. Non solo nella percezione, ma anche (almeno secondo mia nonna) nella sostanza.



Impietoso confronto tra i due manufatti: quello di Gilli dalla curvatura perfetta e armoniosa e lo sgraziato becco in plasticaccia gialla che ha guastato la mia schiuma fino ad oggi.

Il dente tipico di Mauro Gilli: commovente nella sua bellezza, ineguagliabile nel confort.

Il classico dente da pipa giocattolo, un po' consunto (ma non certo peggiorato) da qualche anno di uso. 

 
La mia calabash, vista da un altro punto di vista. Per un ritratto con il vecchio bocchino si può vedere questo post





martedì 4 dicembre 2012

Happy End

McClelland 2015 (Flake di Virginia-Perique 16 oz), McClelland Blended Turkish Ribbon (8 oz), McClellend Eastern Carolina Ribbon (8oz)

Quelli che ammiro, appena usciti dalla loro scatola di cartona USPS sono tre meravigliosi tabacchi in bulk McClelland. Due sono tabacchi da miscela di qualità eccelsa. Ne ho ancora una buona scorta ma valeva comunque la pena rinforzarla. L'ultimo è il McClelland 2015, commovente Virginia-Perique di cui parlo in altro post. Ultimamente ne ho aperta una scatola conservata da oltre dieci anni nel mio caveau. L'ultima. Con un paio di lustri di ritardo e seguendo la regola "apri uno, compra due", appresa molto tempo fa su Pipes & Tobacco Magazine,  ho quindi deciso di procurarmi un rimpiazzo.

Nessuno di loro sarebbe qui, oggi, se tutto fosse andato secondo i piani. Approfittando di una vacanza dei miei suoceri, li avevo indirizzati da De La Concha, a New York. Sogno da anni di mettere le mani su un po' di Turkish Delight, e questa sembrava finalmente l'occasione giusta. 
Purtroppo è andata male anche stavolta. I suoceri sono stati rapiti da un vecchio amico di famiglia, che appena messo piede a terra li ha condotti in un giro a piedi, sfiancante e mozzafiato per tutta la Big Apple. Spietato, li ha trascinati da nord a sud senza lasciare loro tempo di rifiatare. L'orologio girava, le miglia scorrevano. Esaurite le energie e il tempo, tutto la sezione "shopping" del loro viaggio è andata a farsi benedire, e con essa anche il mio rifornimento tabagifero. 
La notizia, pur datami con tatto, sulle prime mi ha lasciato affranto e senza parole. Svuotato. Poi ho deciso di tentare il tutto per tutto e dare al viaggio dei suoceri una seconda chance.

Ho strappato a mia moglie una lista di recapiti, sono balzato sulla tastiera e dal sito di 4noggins ho ordinato quanto si vede sopra. Copiando febbrilmente l'indirizzo, ho indirizzato il pacco al bed and breakfast finale del loro viaggio. Quattro giorni dopo, a Philadephia. In Italia sarebbe stata una scommessa impossibile. Ma dell'efficienza di 4noggins (che promette di spedire in 24 ore) e della  perizia dell'USPS sentivo di potermi fidare. Se tutto fosse andato bene, il postino si sarebbe presentato appena in tempo, qualche ora prima che il taxi partisse per l'aeroporto. E così è stato.

Happy End.

Per tutti, in America, c'è una second chance. E io mi preparo a fumermela, entro qualche anno.