La pipa dello zio Alberto. Una "Real Briar" che a giudicare dalla losanga sul bocchino potrebbe essere una Brebbia
Poche persone sono state più diverse e più simili di mio zio e di mio padre.
Due mondi agli antipodi: uno di solido ceppo tosco-piemontese, l'altro nato da un ibrido e instabile brodo primordiale multinazionale; uno artista, l'altro uomo di azienda e di banca; uno pratico e pianificatore, l'altro quasi sempre perso oltre i confini del suo foglio di carta. Eppure due uomini profondamente uniti da qualcosa che non saprei come chiamare se non solidità caratteriale. Che si guardavano da due lati opposti dello specchio e si riconoscevano.Tra le cose che li univano (ma anche per certi versi li differenziavano) c'erano la buona cucina, il gusto per il vino e le pipe. Quando le nostre famiglie si incontravano, si era sicuri che in mezzo ci sarebbe stata una tavola, e una di quelle intorno alla quali vale la pena stare.
In effetti ho molte zie. Ma ce n'è solo una che abbia mai rivaleggiato con mia madre nella capacità di allestire un pranzo, e specialmente un pranzo festivo. Anzi devo dire che i pranzi delle feste erano veramente la specialità della zia e che l'incrocio di tradizioni piemontesi, toscane e ungheresi produceva risultati portentosi, imprevedibili, inimmaginabili. Sia mio padre che mio zio (e questo era un altro aspetto che li univa) nella cucina delle loro mogli hanno avuto il ruolo che in un teatro spetterebbe a un direttore artistico. Ricordavano, immaginavano, proponevano, talvolta pretendevano. Trovavano fonti, rivedevano i copioni, allestivano il cartellone della stagione. Comunicavano entusiasmo, e non facevano mancare alle loro artiste il supporto di un esigente spirito critico. Quando salivo in macchina per andare a casa degli zii ero pronto a vedere e assaggiare cose che non avrei mai trovato altrove. Lì, ad esempio, scoprii il tramezzo. Una portata aggiuntiva, generalmente una qualche specie di trionfo a base vegetale, che segnava il confine tra il primo e il secondo, non essendo nessuno dei due ma accompagnando i commensali dall'uno all'altro. Mia zia sapeva fare una delle poche cose in cui mia mamma non è mai ruscita: il rétes (una specie di strudel ungherese di pasta sottilissima) e un giorno ha anche cercato di insegnarmelo. Erano giornate meravigliose quelle delle feste. E non credo che me lo sembrino solo adesso che le rivivo nella memoria. Eravamo ragazzini. Non avevamo né game boy né telefonini a separarci dalle storie e dalla chiacchiere dei grandi. Ed erano storie fantastiche anche perché venivano da mondi diversissimi da quello in cui vivevamo noi. Dopo pranzo, seduti al tavolo da caffé, papà e lo zio accendevano sempre le loro pipe. Io non immaginavo nemmeno che un giorno ne avrei fumata una ma mi divertivo un sacco a guardare quelle dello zio. Erano pipe come quelle di papà, ma erano anche completamente diverse. Mio padre era un artista che amava il design rigoroso, severo, le sue pipe erano classiche appena animate da un accento creativo che vibrava sotto pelle. Lo zio invece aveva anche qualche pipa veramente strana: di forma mai vista, col coperchietto... e specialmente una che si è fissata nella mia memoria in modo indelebile. Una specie di calamita degli occhi: una pipa quasi arancione, né liscia né di un rugoso normale, con delle specie di pennellate nere. Papà e lo zio ogni tanto ci scherzavano sopra. Me la ricordo appoggiata tra le altre sul portapipe, o alle volte sul tavolo. Dovunque fosse la pipa dello zio, mentre i grandi si scambiavano tabacchi, fumavano, bevevano caffé o qualche liquore, i miei occhi la cercavano e la trovavano. Qualche volta l'ho persino maneggiata.
L'ho rivista circa un anno fa nella collezione di mio cugino Andrea, a cui sono passate tutte le pipe del suo babbo. E' stato un giorno in cui, dopo molti anni, ci siamo ritrovati ancora, per un pranzo con gli zii e con la mamma. E gli ho raccontato esattamente questo. Alla fine del pranzo, con mia grande sorpresa, me l'hanno regalata.
E' una delle pipe che tengo sempre in vista. Ma non credo che la fumerò mai. E' la pipa dello zio. Ogni volta che la riprendo in mano, la rivedo a casa sua. E le voci, le immagini, le sensazioni di quei momenti tornano per un attimo a vivere. Non è solo una pipa. E' un oggetto magico.
O forse una madeleine.
Beato colui che ha radici.invidio famiglie simili,a casa mia si è sempre fatto della zizzania un'arte.
RispondiEliminaP.S. scusa per la diversione poco pipesca
Niki
La Zia Etelka si e' sciolta letteralmente e noi tutti con lei.Grazie Antonio per i bei ricordi che hai cosi elegantemente riportato nelle nostre menti.
RispondiEliminaGrazie a voi, e specialmente a lei... :-)
RispondiEliminaCiao Toni
RispondiEliminagrazie per aver condiviso con noi i tuoi ricordi. Per un attimo la tua madeleine ha funzionato anche per me, innescando ricordi di natali passati oramai molto lontani.
Un vero mini-racconto di natale il tuo , bravo!
buone feste
Grazie... :-)
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