domenica 30 ottobre 2011

Qualche anno dopo

Cosa si può regalare un uomo che nel campo delle pipe ha già quasi tutto? L'ultima volta che sono stato da Castellana, ho infranto il mio proposito di non farmi più tentare da nuove pipe, per concentrarmi sulle non poche e non poco interessanti che ho già. Sono stato attirato da una pipa da poco, ma secondo me piena di fascino. Una Jeantet iperclassica come solo le pipe francesi sanno essere, una dublin con spigot popolare, in comune ottone. Sembra venire dalle trincee della Prima Guerra Mondiale con la sua montatura pratica, robusta, adatta alla tasca del cappotto militare. Non il cappotto di in soldato comune, ma nemmeno quello di un ufficiale di alto grado. Una pipa da tenente, che però si intende di pipe.

sabato 29 ottobre 2011

Questo è un negozio di pipe

Tutte le volte che sono a Firenze cerco di passare da Castellana in Via dei Servi, dietro il Duomo. Per me, il più bel negozio di pipe in Italia anche perché è condotto da un uomo che sa cosa vende e cosa fuma. Oggi ci ho comprato un paio di Samuel Gawith. Ma soprattutto mi sono lasciato tentare da una pipa, una Jeantet spigot da poco, che però sembra fatta per le trincee della Prima Guerra Mondiale.


venerdì 28 ottobre 2011

Per golosi di Virginia


Il Samuel Gawith Full Virginia Flake in tutta la sua magnificienza


Se il Virginia fosse un'uva, secondo me, sarebbe il Pinot Noir. Il massimo della nobiltà. Ma un massimo fatto solo per chi è in grado di apprezzare le estreme sottigliezze del vero meglio. E quindi anche un meglio che è tale solo se è fatto da gente che si intende, ma per davvero, di Virginia. In mancanza di tutto ciò il Virginia respinge con crudeltà, bruciando la lingua, confondendo la testa o crollando in una mediocrità senza senso.
Dentro la parola "Virginia" ci sono mondi lontani ed esperienze diversissime. In genere nei miei periodi di ossessione virginiana sono sempre stato più dalla parte del Virginia chiaro, poco pressato, più dolce e pericoloso per la lingua. Avendo riaperto il dossier Virginia dopo un lungo periodo di classica mixture inglese, ho sentito l'esigenze di tornare su piste da me meno battute.
Questo Full Flake di Samuel Gawith, bello scuro con quelle venature arancioni che promettono meraviglie sensoriali, è l'esatto opposto del Virginia presssato e chiaro che fumavo qualche tempo fa (e che non intendo certo abbandonare). Sempre dolce (in accezione purista virginiana) ma di una dolcezza scura e profonda, con una punta piccante. Per stare ai paragoni alimentari, è un po' come fumare del panpepato, di quello veramente buono.
Non è un full brutale da marinaio di baleniera (che per chi è in grado di sopravvivergli può anche essere un'esperienza, ma per me non riesce ad essere un piacere) è un full morbido e gentile.
Un Virginia che al momento non avevo in dispensa. Ma che mi ha dato la scusa per comprare una scatoletta nuova, invece di aprire una delle decine e decine che conservo per i giorni di pioggia.
Grazie, Full Virginia Flake. Grazie, Samuel Gawith.



giovedì 27 ottobre 2011

13 pipe

Fumare nella pipa è una delle poche cose di cui mi intendo abbastanza. Ho fumato, ho comprato, ho scambiato, ho venduto pipe per un sacco di anni. Ormai ne ho accumulate abbastanza (e abbastanza interessanti) da sentire raramente il desiderio di aggiungerne un'altra alla mia disordinata e bulimica collezione. Ho provato tabacchi e ho fatto le più assurde peripezie per procurarmeli. Ho dato a questo blog il titolo di un libro di Elia Ehrenburg che, se amate la pipa (ma anche no), forse vale la pena di leggere. E' un blog scritto innanzitutto per me. E' un altro modo di godermi le mie pipe, riguardandole, fotografandole, riaccendendole e magari ripensando a qualche storia che mi riportano alla mente. Ma se per qualche ragione capitate qui e avete qualche commento da lasciare, mi farà piacere.

Una calabash abbastanza decente

Una Strambach (Wien), contemporanea. Fornello in block meerschaum, buona zucca, buona tenuta pneumatica. E' la più capace delle mie tre (secondo gli ultimi calcoli) Calabash. Il fornello in blocco di schiuma (non ricostituita!) qualifica la pipa come un buon prodotto per gli standard di oggi ed è sufficientemente capiente perché volendo ci si possa fumare anche una mistura di latakia. Ma ovviamente, come ogni calabash, anche questa dà il meglio con i Virginia, specialmente con quelli biondi che in una pipa normale pizzicherebbero o con quelli ultrapotenti che in una pipa normale ammazzerebbero.

Quando l'ebanite si ossida


L'ebanite ingiallita e opaca di un bocchino è nemica di ogni piacere, visivo, tattile e anche gustativo (lascia in bocca un sapore di uovo marcio che mal si concilia con i gusti evoluti del gentleman).
Di prodotti e macchinari per restituire l'ebanite alla sua originaria brillantezza, ne sono stati inventati parecchi. Ma nessuno è pratico ed efficace quanto qualche goccia di Sidol. Per casi estremi si possono usare lucidatrici a motore. Ma è meglio che i casi siano davvero estremi perché i rischi sono molti: farsi volare la pipa in faccia o contro il muro o anche solo arrotondare lo scalino dell'imboccatura e cancellare i marchi. A meno che si debbano fare un centinaio di pipe da poco tutte insieme (operazione comunque da sconsigliare), il Sidol è vostro amico.
Un paio di minuti e qualche goccia di Sidol fanno miracoli. Se l'estremità è molto ingiallita, ripetere l'operazione fino a soddisfazione. Unica accortezza, tenere uno scovolino infilato nel bocchino durante le operazioni di lucidatura, per evitare di spargere Sidol ed effluvi ammoniacali all'interno della foratura.

Una Cavicchi CCC



Claudio Cavicchi non è un designer, non è uno scultore. E' un contadino emiliano appassionato di radica ed è stato campione del mondo di lentofumo.  Le sue pipe generalmente sono capienti, dalle pareti spesse, fatte con la migliore placca di radica ligure che il denaro possa comprare, stagionata nella sua cantina. Il bocchino è acrilico, forato con un bel canale generoso, attraverso cui il fumo passa praticamente da solo. Non sono quasi mai, secondo me, dei modelli di grazia. Ma sono pensate da un uomo che sa fumare la pipa per gente che ha la sua stessa passione.  In sostanza, sono tra le migliori pipe che si possano fumare. Le dimensioni considerevoli ne fanno delle pipe adatte alla classica miscela inglese di virginia, turchi e latakia, meglio se a taglio grosso. I miei amici collezionisti americani le hanno sempre adorate sia nelle versioni più economiche (sgorbiate) che in quelle lisce, più pregiate a seconda del numero di C (da una a cinque, fino alla spaziale "diamante"). Questa ne ha tre ed è una specie di Lovat con gli steroidi che in termini Dunhill sarebbe classificata almeno come gruppo 6.

La mia prima buona pipa


Savinelli Silver 101, bocchino in corno di bufalo nero, tagliato da Mauro Gilli


Ho cominciato a fumare la pipa a sedici anni, di nascosto da mio padre e soprattutto dagli amici, che mi avrebbero preso per il culo fino alla morte. Le mie prime pipe sono state delle cosette da tabaccaio da dimenticare. E infatti le ho dimenticate. Ad Amsterdam, verso i vent'anni, comprai la prima Stanwell, che fu la mia prima pipa ufficiale, ovvero la prima che osai mettermi a fumare in poltona a casa dei miei.  Era una pipa qualitativamente decente ma piuttosto bolidista nelle forme. Ci fumavo dei Curly cut poderosi che mi facevano girare la testa, anche perché la pipa era curva e dal fornello i vapori del Three Nuns tendevano a salirmi direttamente al naso causandomi talvolta dei mezzi svenimenti. Quella pipa ce l'ho ancora, è stata la mia prima pipa vera, ma non una vera buona pipa.
Il titolo spetta a questa Savinelli silver modello 101, la prima pipa che comprai con i primi soldi del mio rimborso spese da borsista Assap. Mio padre aveva alcune silver sabbiate nere che mi piacevano molto e che a  quei tempi (ipse dixit) erano le pipe da comprare per risparmiare un po' sul massimo di Savinelli, la Punto Oro. Oltre la punto oro c'erano la Giubileo d'Oro, costosissima e immacolata da qualunque difetto anche microscopico e le Autograph, piponi freestyle tagliati a mano in pezzi unici, che però non ci piacevano (e in genere non mi sono mai piaciute nemmeno dopo). I soldi per una Punto Oro non li avevo (liscia, costava 120mila lire), forse non mi ci sentivo pronto. Soprattutto nel negozio di via Orefici mi innamorai della Savinelli 101, che sul catalogo mi aveva colpito meno. Il modello era ed è una grossa e tozza billiard che gli inglesi chiamano Chubby e qualcuno chiama "Maigret", credo perché mio padre ne aveva reso famosa la forma nelle sue copertine, pur non possedendone nemmeno una e senza che Gino Cervi avesse mai fumato pipe di questo tipo nelle serie di film per la TV che avevano reso famoso il personaggio in Italia. Trovavo che la vera di argento caratteristica della silver stesse benissimo su questo modello che per il mio gusto avrebbe dovuto assolutamente essere liscio (cosa che mi avrebbe portato a investire 80mila  lire invece delle 60 che costava la sabbiata). E così uscii felice dal negozio con quella che sarebbe stata la mia prima buona pipa. Credo sia la pipa che ho fumato di più in assoluto, fino a sbiadire il suo originario colore rossiccio. Ma l'ho fumata bene, senza abusarla con l'accendino, sempre accendendola con i fiammiferi svedesi per non bruciare e arrotondare il bordo del fornello all'interno. Il che è grave con tutti i fornelli, ma specialmente in quelli che io preferisco, spessi, tagliati dritti sopra, con una fornace cilindrica e senza svasature. Dopo innumerevoli fumate, tutte le superfici di questa pipa si incontrano ancora con gli angoli taglienti, caratteristici di questo modello e senza i quali una 101 diventa una ciabatta sformata.
L'ho fumata a letto, in poltrona, passeggiando, chiamando la wolverina la sera dal telefono a gettoni di fronte a casa mia, quando non eravamo ancora sposati. L'ho fumata sempre con misture inglesi di latakia, che sono la morte sua, e l'ho fumata fino al punto di consumarne l'originale bocchino in ebanite di qualità un po' così così (non il punto forte di Savinelli). E così, col tempo, le ho regalato un bocchino nuovo e irragionevolmente lussuoso, in corno di bufalo nero, tagliato a mano da Mauro Gilli a Torino.
I casi della vita hanno fatto sì che sia finita nella rastrelliera che tengo qui in ufficio, dove un tempo potevo fumarla. Ormai non più. Ogni volta che la riprendo in mano ne sento la nostalgia, e ho deciso che la rimetterò in funzione, per le mia passeggiate all'ora di pranzo o tra l'ufficio e casa. Non è una piuma. Non sarà la pipa ideale da tenere tra i denti  camminando, ma si può fare. E lo farò di nuovo.