venerdì 30 novembre 2012

Fornelli da flake 2: la prince

Amorelli una stella,  foro 17 x 30 

A voler prendere le cose sul piano squisitamente tecnico, la Prince of Wales avrebbe dovuto essere la prima delle pipe di questa serie. Se è vero che per il flake una pipa piccola è meglio di una media o grande e che un fornello basso è più facile da approcciare di uno medio o alto, allora l'idenkit della Prince sembrerebbe già disegnato.

La Prince è una pipa che anche quando è grande, è piccola. La Shell gruppo 4 raffigurata qui sotto, per esempio, per essere una prince è anche piuttosto robusta. Ma pur non intendomi molto di calcoli di geometria dei solidi (o meglio, essendo troppo pigro per andare a caccia delle vecchie formule) sarei disposto a scommettere che il volume interno è minore di una billiard gruppo 3.


Dunhill Shell FET Gruppo 4 (1971),  foro 20 x 33  

Figuriamoci poi quando la prince è piccola, come nel caso dell'Amorelli più in alto, che apre questo post, e che nelle sue dimensioni minutissime, è una delle più squisite bruciatrici di Virginia che possieda. Se ho dedicato alla prince solo la seconda puntata è soltanto perché la Prince è una pipa un po' eccentrica, che non a tutti piace e che non molti possiedono. Anch'io, per averne una, ho dovuto aspettare che me la regalasse mia moglie (è la Dunhill root, la terza qui in basso). In mezzo a un espositore o disposte sul feltro verde, pipe più robuste tendono a primeggiare e la pur gradevole testa tonda mi aveva sempre lasciato prima un senso di insufficienza, e di insicurezza, il timore che non fosse una pipa proprio vera, che fosse un mezzo giocattolo che sul più bello mi avrebbe lasciato a mezzo.  C'è voluto il gusto di una donna per aggiungerla alla mia scuderia. 
Avendola, mi sono reso conto che anche con un normale tabacco in ribbon, c'è da fumare più che a sufficienza. Forse non sarà la fumata ideale dopo un pranzo pantagruelico. Ma come seconda pipa della sera ha trovato il suo posto. E' pero cominciando a fumare i flake che ho scoperto nella prince una forma ideale. L'interno del "cilindro" è del tipo che un motorista definirebbe "superquadro": un tipo di assetto adatto alle alte prestazioni, in cui la corsa del cilindro è uguale o più breve del passo della testa. Con questa configurazione, a quanto pare, si riesce a cavare il massimo non solo dalle benzine ad alto numero di ottano ma anche dalla talvolta bizzosa compressione del flake di Virginia. Nel fornello superquadro i grossi pezzi di flake disposti sul fondo riescono ad allargarsi minimizzando il rischio di intoppamento anche se il caricamento è stato meno che ottimale. Con la breve corsa della prince raramente sperimento i caricamenti virtuosistici con il flake ripiegato in vari tipi di origami. Volendo occorrerebbe munirsi di forbicine e tagliare preventivamente la fetta ma anche in questo caso avrei qualche preoccupazione sulla bontà del risultato. Io invece spezzo la fetta grossolanamente, metto i pezzi grossi sul fondo e copro con un leggero strato molto più sbriciolato che accoglie la scintilla mettendo in moto la combustione. 


Dunhill Root 31071 Gruppo 3 (1979),  foro 17 x 30  

Carica di un buon flake, la prince offre a chi la fuma una gioia tutt'altro che parziale. La breve altezza del fornello è fatta per semplificare la vita: la brace non dovrà percorrere una lunga strada per arrivare in fondo. Ma bruciando con lentezza esasperante, a fil di fumo, come il Virginia deve essere trattato, riempirà lungamente la serata dei suoi profumi. Un fornello basso non concentra forza e sapore nella seconda parte il che è, in certi casi, un vantaggio. Un virginia molto forte, magari appartenente alla categoria dei "virginia rafforzati" non passerà mai il livello di guardia e raramente lascerà a corto di energie nella seconda parte del fornello. Un virginia biondo e fresco resterà fragrante e fiorito dall'inizio alla fine. Fumare nella prince non è un'esperienza psichedelica e introspettiva ma un piacere spensierato, che permette di gustare il tabacco nella sua schietta verità. Se qualcuno amasse i virginia aromatizzati, che talvolta possono risultare stucchevoli, specialmente quando si concentrano e si sovraccaricano, anche in questo caso la prince è un medium ideale.

Può essere che una prince giaccia nella vostra rastrelliera, incompiuta, alla ricerca del suo tabacco ideale. Provate a caricarla di flake e un po' alla volta, fumata dopo fumata, sembrerà rinascere. O può essere che siate alla ricerca di una scusa per aggiungere alla vostra collezione una pipa che non avevate mai pensato di comprare prima. Una pipa da dedicare ai flake e che non sarebbe davvero giusta con nessun altro tipo di tabacco.

Ecco, forse, quella pipa è proprio una eccentrica ed elegantissima prince.


Delle serie di post su come e dove fumare flake fanno parte

Caricare un broken flake 
Fornelli da flake 1: La pot
Fornelli da flake 2: La prince 
Fornelli da flake 3: Dublin, zulu fornelli conici

martedì 27 novembre 2012

Kendal Flake (flavoured)

La confezione di Gawith & Hoggarth, che viene dai primi tempu in cui Synjeco iniziò ad importarlo, in Svizzera. Da ciò probabilmente la grafia errata di un marchio a quei tempi non ancora familiare.


Ho raccontato in altri post della mia avventura col primo, vecchio sampler di Gawith & Hoggart, la marca cugina di Samuel Gawith. Ad esempio qui e qui. Fu, in sostanza, una delusione cocente, che ci avrei messo anni per metabolizzare e in qualche modo ripensare.
I molti flake appena odorati che sono rimasti dormienti in questi tredici anni, oltre che sospetti e ostili, erano per me come i gattini della celebre metafora notturna: tutti, più o meno, bigi. Diversi, ma difficili da distinguere nelle loro individualità, come i cinesini all'occhio di chi non ne abbia mai incontrato uno.
Pur avendo evoluto il mio gusto in misura sufficiente da cominciare ad apprezzare il genere, devo dire che questa sensazione di una forte unità tra i prodotti della marca non si è modificata, se non dopo recentissimi assaggi di prodotti molto eterodossi, come il Louisiana Flake (uno dei pochi prodotti della Casa arricchito di Perique e privo dell'onnipresente "Kendal Scent").
Nella cucciolata più tradizionale, il Kendal Flake (in versione flavored), che ho aperto e rapidamente concluso in pochi giorni rappresenta un gattino un po' meno bigio degli altri. Per cominciare, manca della nota di fondo fire cured, ovvero di quel supplemento di forza delle volte un po' brutale che colloca la gran parte dei Gawith & Hoggart nella categoria dei "working class flakes", tabacchi di gusto amabilmente proletario, fatti per gente che bada al sodo e che chiede al suo tabacco una robusta spinta nicotinica per saltare in scioltezza da una birra scura all'altra.
Anche il Kendal Flake è un Virginia arricchito di altre componenti, ma in questo caso al posto della foglia scura dalle note affumicate, il condimento è costituito da Burley. Un aggiunta più gentile, che ha l'obbiettivo (pienamente raggiunto) di smorzare la punta incendiaria del Virginia, creando un flake che si carica e si fuma senza troppe preoccupazioni per la cottura della lingua. La nota di Kendal Scent è presente ma solo in sottofondo,  forse anche grazie all'invecchiamento prolungato.
Il Kendal Flake è dolce, come è giusto aspettarsi da un Virginia in origine prevalentemente chiaro (che gli anni hanno reso più profondo e maturo), ma si tratta di una dolcezza smorzata da una cornice sobria e seria che a me ricorda i toni del cuoio, più che la noce (generalmente associata al Burley).  E' un interessante incontro tra lo spirito ruvido di un tabacco inglese con pochi fronzoli e un po' di confortevole gentilezza americana. 
Un gatto di Kendal un po' particolare, che anche un osservatore distratto riuscirà a riconoscere dal particolarissimo accento.
 
 

sabato 24 novembre 2012

Affare o no?



 
Da fumarelapipa.com: Una Dunhill Root presa su ebay e riportata alla vita da un utente. E' stata "abbassata" pesantemente a causa della bruciatura del rim, il bocchino è un rimpiazzo di scarsa qualità, il terminale è avvolto da nastro nero per prevenire i segni di denti. 



Vedo su fumare la pipa.com (thread Dunhill, post 90) la pipa di cui alla foto sopra.
Fa parte di un lotto messo in vendita su ebay.co.uk, evidentemente appartenuto ad un inglese che univa due caratteristiche: un portafoglio ben fornito e uno sviluppato istinto delinquenziale, che sfogava verso le sue pipe, accendendole in modo tale da scavare delle mezze gallerie nel rim dei fornelli. Sono pipe che mettono tristezza a vederle: orribilmente deturpate e descritte con parole umoristiche come "good condition", "medium bowl darkening".
LorenzoL è riuscito a vincerla per circa 55 sterline, è intervenuto con un vigoroso topping che ha asportato circa 3,5 mm di altezza, ha fasciato il bocchino (replacement orrido in "plasticaccia") con del nastro.


Per capire le condizioni di partenza, questa è un'altra immagine presa da ebay di una delle pipe del pazzo piromane inglese, che ha distrutto in questo modo un'intera collezione di Dunhill Root, non solo quella di sopra.


Qual è il bilancio?
Da un lato, una Dunhill Root, o quel che ne resta, è stato salvato e rimesso in funzione, e questo è senz'altro un bene. Dall'altro, secondo me, si possono comprare vecchie teste Dunhill a cui rimettere un nuovo bocchino originale (essenziale, per godere dell'esperienza di fumare una Dunhill) in condizioni migliori, per molto meno dei 70 euro che questa disgraziata root ha spuntato. Dopo il topping, la forma esce imevitabilmente trasformata (e deturpata). Anche con un bocchino di Gilli, che porterebbe la spesa verso i 110 euro, questa pipa non tornerà più a essere una Dunhill 5103. Potrà essere una pipa comoda e che fuma bene. Ma per quasi un centinaio di euro (supponendo di sostituire il bocchino con qualcosa di meno ambizioso), su ebay si trova decisamente di meglio. Forse non una Dunhill in condizioni ottimali (anzi, certamente) ma altrettanto certamente qualcosa che in termini di qualità non vale meno, e che è ancora quel che dovrebbe essere, ad esempio una discreta Charatan o una Comoy's dei tempi buoni.

Così almeno la penso io.

martedì 20 novembre 2012

McClelland 2015


Il McClelland 2015 nella scatola "da pomodori pelati" in cui lo confezionava Bufflehead nel 2000, quando mi fu regalato. Oggi sfortunatamente Bufflehead non esiste più. Ma il McClellend 2015 sì. Per chi volesse vedere cosa c'è dentro la scatola,è il tabacco che ho usato in questo piccolo fototutorial.


La caratteristica dei bulk di McClelland è di non essere mai degli esatti corrispondenti di miscele inscatolate. Una scelta intelligente, che non spegne il desiderio dei pezzi forti della casa nemmeno nel più vorace fumatore di bulk. Il 2010 (bulk) è un parente del Matured Virginia 22, ma non un fratello gemello. Il 2025 è concettualmente simili al Matured Virginia 24, ma al Virginia aggiunge un differente tipo di orientale. Il 2015 è un Virginia Perique, quindi cugino del St.James Woods. Fumandoli, ci si può rendere conto che i due viaggiano su binari paralleli, ma anche in questo caso ben distanziati.
Il 2015, che a tredici anni di distanza dal confezionamento mi sono finalmente deciso ad attaccare con l'apriscatole, è un Virginia-Perique per chi il Perique ama sentirlo, e bene. L'invecchiamento ha reso il profumo del tabacco irresistibile: non sono un sommelier e non amo le descrizioni flautate. Mi spiace per chi non può sentirlo con le sue narici ma a me ricorda dei fichi secchi macerati nel Porto. Il colore è marrone scurissimo (un paio di toni più cupo di quant'era 13 anni fa). L'umidità ancora ideale, a testimonianza della lungimiranza di Mr. Bufflehead, che comunque metteva nella scatola il tabacco, dopo averlo messo in un sacchetto di nylon pesante, veramente heavy-duty.
I McClelland in bulk beneficiano anche più dei tabacchi in scatola di un po' di invecchiamento (penso che la "maturità" sia una caratteristica dei McClelland in tin che i bulk non condividono). E questi 13 anni hanno reso il mio 2015 una specie di delizia di cui raramente si trova l'eguale. E' dolce, è speziato, è pepato. Molto diverso dall'Escudo, un altro virginia-perique che ho avuto modo di fumare recentemente, e più o meno dopo altrettanta attesa. Mentre l'Escudo è levigato, questo è un piatto robusto. Se uno mi ricorda un porto invecchiato, questo potrebbe essere uno stracotto di cacciagione.
Sto delirando, lo so.

Ma sono all'ultimo barilotto di 2015. E mi ci vorranno altri tredici anni per averne un altro così...

domenica 18 novembre 2012

Caricare un broken flake


Di questa serie, dedicata a come e in che pipe cominciare a fumare i temibili flake, fanno parte anche questi post:

Fornelli da flake 1: la pot

Per la tecnica di caricamento parto da un tabacco che ho aperto, e che nella sua forma broken flake (flake rotto, già a pezzi, ma non completamente sbriciolato) è anche un buon primo approccio a questo mondo. Chi avesse flake in fette intere e trovasse qualche difficoltà, volendo, può provare a ridurle con le dita più o meno in questo stato, per semplificarsi un po' la vita nelle prime fumate (o anche dopo...).


Il Virginia oggetto di questa piccola fotostoria è il McClelland 2015, un broken flake di Virginia-Perique, in questo caso maturato 13 anni nel mio caveau. 


L'aspetto è quello del flake "broken", pezzi di fette con qualche parte un po' più sbriciolata. Ma uno stato ancora lontano dal ready rubbed. Tutti i McClelland matured Virginia hanno più o meno questo aspetto. Tra quelli disponibili in Italia ci sono i Rattray's (Old Gowrie, Hal O' The Wind, Marlin Flake etc) , tra l'altro molto buoni. La pipa è una pot, formato ideale per i primi approcci col virginia in flake. In questo caso una Foundation di Becker & Musicò.


Con il broken flake il primo passo da fare è dividere grossolanamente i pezzi di fetta più grossi dal tabacco più sbriciolato.
Si prende qualche pezzo di fetta, per un volume buono a riempire grosso modo il fondo del fornello

Io lo piego in due, ne faccio grosso modo una pallottola.

Lo infilo nella pipa, senza premere per niente.

Col dito lo abbasso un po' finché tocca il fondo, ma sempre senza premere. Deve restare tutto molto arioso, si allargherà dopo occupando il suo spazio.


Se la prima pallozza era piccola magari ne aggiungo un altra ma mi lascio del posto per mettere sopra (diciamo grosso modo dall'ultimo terzo di fornello in su) del tabacco più sbriciolato, che formerà un cappello più compatto, più facile ad accendersi e sotto il quale il flake ancora in pezzi grossi si "scioglierà" e si allargherà. Carico leggermente oltre il bordo della pipa, ma quasi solo con la forza di gravita, aggiustando solo un po' col dito.

Col dito lo riabbasso giusto a livello, sempre senza premere e senza compattare il tabacco sotto.

Questo è il risultato.

Quando si accende, il tabacco risale. Col pigino bisogna solo molto delicatamente riportarlo a livello e anche durante tutto il corso della fumata mai premere e compattare la massa, ma solo abbassare la parte superiore, se si alza, o se la pipa si spegne. Non bisogna preoccuparsi troppo delle riaccensioni. Ora che sono grosso modo a metà del mio fornello (a cui fotografando, importando foto e scrivendo non ho dedicato grandi attenzioni) avrò già riacceso cinque o sei volte. A volte una carica di flake parte subito bene, a volte ha bisogno di un po' di assestamento, poi va.  L'importante è (lo ripeto) non premere troppo. Solo colpettini leggeri che abbassano la cenere e il tabacco che si è alzato. A seconda di come si è caricato bene e della fortuna, a un certo punto si sentirà la giusta resistenza e la brace comincerà a  muoversi nel modo giusto. Senza fretta.

Delle serie di post su come e dove fumare flake fanno parte

Caricare un broken flake 
Fornelli da flake 1: La pot
Fornelli da flake 2: La prince 
Fornelli da flake 3: Dublin, zulu e fornelli conici

martedì 13 novembre 2012

Fornelli da flake 1: la pot



Dall'alto: Savinelli Punto Oro "Corallo" 122, Ashton Sovereign XX (1985), Barling (pre transition) EXEL 409



"Con che pipa si fuma, un flake?"
Tra tutte le domande che circolano tra appassionati di pipa, forse nessuna è più pressante di questa.
A torto o a ragione, il flake è considerato una specie di sport estremo. Per chi lo fuma da anni è difficile da comprendere. Ma tornando con la memoria alla prima volta in cui si è vista una di queste minuscole scatole, in cui il tabacco giace compresso, a fette, e all'apparenza del tutto impossibile da accendere e da fumare,  le cose diventano più chiare. Quella del flake è una difficoltà più psicologica che reale. E' la difficoltà del ritorno all'ignoto.
Per anni, abbiamo sfidato le dificoltà del novizio, con pazienza. Ci siamo abituati con fatica e sofferenze a trovare il giusto tocco che serve per  tenere la carica né troppo sciolta, né troppo compressa. E proprio quando, magari, cominciamo per le prime volte a trarre piacere dalla nostra pipa, si spalanca un mondo completamente diverso, che ci fa ripiombare nell'incertezza e nell'ansia.
Tutto quello che avevamo costruito, improvvisamente, non serve più a niente.
E' un po' come quel film, in cui un gruppo di quarantenni scopre di dover ridare l'esame di maturità.

In effetti occorre davvero reimparare. Ma tutto sommato, a patto di astenersi dalle guide filmate e dai manuali che rendono complesso ciò che in realtà non è poi così intricato, ce la si può fare senza troppi danni. E' comunque vero che alcune delle pipe nelle quali ci siamo abituati a fumare tutt'altre forme di tabacco, non sono le più adatte per il flake. Principalmente per una questione di dimensioni.
Il flake occupa meno spazio, brucia più lentamente. A parità di volume si fuma molto più tabacco e si occupa molto più tempo. Dunque, per mantenere costante la pipata, non resta che ridurre il volume della pipa. Il flake vuole pipe  di un gruppo o due più piccole (in unità di misura Dunhill), rispetto a quelle che siamo abituati a fumare. Riducendo il volume, però, aumentano le difficoltà di carica e gestione. Fumare una Dunhill gruppo 1 o 2, con qualunque tabacco, è un po' più difficile che fumare una gruppo 5. Ecco perché una delle pipe migliori, per cariche di taglia ridotta, è la pot.

Con la pot si riduce il volume, ma non (o non troppo) il diametro del camino. Si resta in un terreno conosciuto, riducendo più che altro l'altezza della carica. Che sia questo il motivo, o un'altra delle verità esoteriche che si diffondevano un tempo su alt.smokers.pipes, resta il fatto che la pot è la pipa ideale per cominciare con i flake. Quantomeno lo è stata per me. Se si vuole spalancare un filo la porta della mistica dei Virginia, allora la pot più raccomandabile è quella curva per 1/8. Questo perché si narra che la narice sia un organo essenziale per godere appieno del piacere della nobile foglia. E quindi il filo impercettebile di fumo che sale dal fornello della pot semicurva, raggiungendo il naso, completa un'esperienza che altrimenti resterebbe dimezzata.

Insieme alla forma, è importante scegliere per le prime cariche di virginia la pipa più pulita e più neutra possibile, con la radica di gusto più "chiaro", meglio se curata ad aria. Il virginia ci metterà comunque del tempo ad acclimatarsi, e solo dopo un po' libererà le sue sfumature più sottili (ammesso che nel frattempo si sia imparato a fumarlo). Tra le tre pot raffigurate sopra, da questo punto di vista, c'è un'intrusa. La Ashton, che con i suoi toni cupi forse dovuti alla cura ad olio offre una palette leggermente diversa e forse si adatta meglio ai virginia un po' rafforzati con perique. Tra le inglesi, una vecchia Barling pre-transition è sicuramente il massimo a cui si possa aspirare. Tra le italiane, Amorelli mi ha regalato forse la più deliziosa pipa da flake che possieda (una prince).  Ma ce ne possono essere molte altre, a patto di trovarne una di dimensioni adeguate in questo shape, il che non è particolarmente facile dalle nostre parti (le pot italiane tendono spesso al gigantismo). Occorre un marchio di ispirazione un po' classica, come Savinelli. Che con le Punto Oro Corallo tocca le corde più intime di molti amanti del Virginia.

Occorre tornare un po' sui banchi, per diplomarsi alla scuola del flake. Ma con calma e con la pipa giusta, ne vale sicuramente la pena.

Delle serie di post su come e dove fumare flake fanno parte

Caricare un broken flake 
Fornelli da flake 1: La pot
Fornelli da flake 2: La prince 
Fornelli da flake 3: Dublin, zulu e fornelli conici

sabato 10 novembre 2012

L'imprevedibile Gigliucci

La mia nuova Gigliucci, una pot-lovat dalle curve aerodinamiche che per qualche ragione mi ricordano un motoscafo.
Lunghezza 155, foro da 21, altezza 36, peso 36 gr

Solo poche settimane fa ho scritto un post nel quale raccontavo la mia visita al laboratorio di Gigliucci e mi sforzavo di raccontare quanto mi piacciono le sue pipe, e tutto quello che c'è dietro. Oggi, andando a Varese, per l'anniversario di Stefano Santambrogio e di fumarelapipa.com, ero spinto da molte ragioni. Vedere cosa Gigliucci fosse riuscito a creare nei mesi seguenti al nostro incontro era una di quelle importanti.

Non sono rimasto deluso, sia in ciò che mi aspettavo sia in quello che non avrei potuto immaginare. A Varese ho incontrato e reincontrato qualche amico. Ho ammirato una notevole carrellata di meraviglie. Tra gli eventi inattesi, ho scoperto che Gigi Crugnola (il Gigi di Gigi Pipe), è un mio vicino di ombrellone a Marciana Marina: sulla spiaggia o in giro per il paese, ci osserviamo da anni da dietro le nostre pipe. Eppure, pur avendolo incontrato altre volte in occasioni simili, non ero mai riuscito a collegare il signore in shorts sotto l'ombrellone, con il rispettato patron di una delle marche che alle manifestazioni di questo genere non mancano mai. Oggi, finalmente, ci ha pensato lui: "Lei è quello che legge sempre, vero?". E così, finalmente, sono riuscito a spiegarmi da dove veniva il senso di familiarità che ho provato per questa personalità peraltro non comune, la prima volta che l'ho visto esporre...

La pipa ti dà sorprese. E una delle più gradite l'ho trovata proprio sul banco di Gigliucci. L'altra volta ero stato a Scarlino per una chimney. Stavolta ne ho viste moltissime altre altrettanto belle. Ma mentre il pubblico se le contendeva, stavolta sono stato attirato da una pipa di genere completamente diverso. Una pot aerodinamica le cui linee, non so perché, mi ricordano un motoscafo Riva Aquarama. Uno degli aspetti notevoli e coraggiosi di questo oggetto (di cui sto godendo la fumata inaugurale proprio mentre scrivo), è il fatto che la fiamma sia tagliata in orizzontale, lasciando l'occhio di pernice sul fronte e sulla parte posteriore del fornello. Avevo già detto che Gigliucci non asseconda i capricci della natura, non ritaglia la sua pipa intorno alla venatura. Ma al contrario cerca di spingere nel ciocco giusto la pipa che in mente. Se c'è una forma che mostra in modo cristallino questo tipo di approccio, è la mia nuova pot-lovat: fumandola mi viene facile immaginare Gigliucci che esamina il suo magazzino di radica, cercando un pezzo da cui tirare fuori la strana pot a cannello lungo e arcuato cresciuta, schizzo dopo schizzo, sulla carta. E lo trova non in un prevedibile abbozzo da canadese, ma in una spicchio di radica da cui una pipa del genere può saltar fuori solo a patto che si tagli contro le regole e contro le abitudini.

Nulla diventa più tuo di quello che non ti saresti mai aspettato di incontrare. Così è stato per un pezzo di radica che ha trovato finalmente la sua pipa. E così promette di essere per me e per questa imprevedibile pot, una di quelle rare pipe che ti sembra di avere da sempre, sin dalla prima volta che le fumi.


Gigliucci 2012, grado due (su tre)

L'occhio di pernice, per una volta, è sul fronte della pipa.

La fiammatura, in questo taglio singolarissimo, corre in orizzontale, accentuando l'impressione di disegno aerodinamico (o fluidodinamico?)

Occhio di pernice anche sul retro del fornello

martedì 6 novembre 2012

Una storia schifosa



La Dunhill LB Shell, che un giorno è uscita da un pacco di ebay, puzzolente e disgustosa come forse nessuna pipa è mai stata.



Questa è una brutta e amara storia.

La storia di una pipa forse amata, ma da un vecchio testardo sporcaccione americano, perdipiù dagli orribili gusti in fatto di tabacco. Un bruto che fumava drugstore blend di burley inzuppato degli aromi a me più odiosi. E deve averne fumato per anni, ogni giorno, spietatamente in questa pipa, senza mai pulirla, lasciando i sughi nicotinici irrancidire e impreganare ogni poro della radica. Un giorno, per ragioni che non so e non voglio sapere, quell’uomo abbandonò questa pipa, che finì a patire le sue pene in un garage o in una cantina, dove alla puzza del tabacco cattivo, e della sporcizia, si aggiunse anche quella della trascuratezza. O in altre parole quell’ombra di muffa da magazzino che ben conoscerà chi è uso a frequentare mercatini delle pulci.

Quando uscì dalla scatola di cartone recapitata dal postino, non potevo credere alle mie narici. Puzzava così tanto che la misi nell’armadio delle pipe che ho in ufficio a prendere un po’ d’aria. Ma ogni volta che aprivo lo sportello una zaffata mi investiva. Questa pipa appestava anche l’aria negli spazi che occupava. Provai a fumarla per vedere di sterilizzarla con qualche fumigazione di toscano. Ricordo che era inverno, e strada facendo tra casa e l’ufficio buttavo uno scovolino dopo l’altro cercando di catturare l’umido e le sostanze venifiche che il cannello trasudava, in modo da liberarlo. Quasi arrivato all’ufficio provai ad annusare uno di quegli scovolini giallastri. E l’odore di nicotina rancida mi prese violentemente di sorpresa allo stomaco. Ebbi due urti di vomito e per poco non eruttai tutta la colazione nel cestino dove stavo per gettare lo scovolino.

Di solito non rischio il metodo sale e alcool detto “armageddon” sulle pipe di pregio. Ma se c’era una pipa al mondo che lo necessitasse, era questa! Al primo giro il sale usci catramoso, osceno. Il secondo lo stesso. Il terzo cominciò a schiarire. Al quarto capii che il lavoro era quasi fatto, almeno per quanto sale e alcool potessero fare. Asciugata la pipa, l’odore di burley impregnato era ancora lì, l’ “odore di caserma” pure. Ma la nicotina racida se non altro se ne era andata per sempre, dissolta dall'alcool e risucchiata dal sale. Da allora ho fumato questa pipa un po' con convinzione, un po' saltuariamente, per qualche mese. Quando mi sembrava guarita, la lasciavo lì a riposare. E sparito l’umido, fatalmente, il naso infilato nel fornello continuava a percepire un fondo di puzzo di caserma.

Ho così deciso di metterla pesantemente e radicalmente in cura, come avevo già fatto con la Peterson Green Spigot. Ci ho fumato toscano e virginia più volte al giorno. La pipa trasudava i suoi sentori di muffettina. Poi la muffa ha lasciato il posto al toscano, che aveva percorso tutto lo spessore del legno. Allora ho cominciato a fumarci Schurch 128 finché non ho sentito che il legno smetteva di trasudare toscano e cominciava ad odorare di latakia. I fantasmi erano fuggiti per sempre, e la mia pipa finalmente, e definitivamente guarita era tornata la pipa da latakia che avrebbe sempre dovuto essere.

E’ una brutta e amara storia. Ma fortunatamente una storia a lieto fine. La mia pipa maltrattata ha trovato finalmente qualcuno che la ama, e che ne è pienamente ricambiato.







Una pipa del 1965, solo il cielo sa quanti drugstore blend può avere bruciato