sabato 3 dicembre 2011

Il giorno del fuoco

Il plug di Samuel Gawith Grouse-Moor, tornato alla vita, è pronto ad affrontare la sua prova definitiva

Diverse settimane fa, deciso a scoprire a quanto e a cosa ammontassero le mie riserve di tabacco, ho trovato in uno dei ripiani più remoti della mia camera oscura il più dimenticato dei contenitori. Da circa dieci anni ospitava alcuni pacchetti di plugs di Samuel Gawith che avevo lasciato perdere per sempre sia al mio desiderio che alla mia memoria. Il primo impatto mi aveva disgustato in modo pensavo irrimediabile. Avevo prudenzialmente infilato in una Kirsten (orrida macchina da fumo in alluminio) un pezzo di Cannon Plug: uno di quelli più pestilenziali, avvelenato  con dosi da cavallo di un aroma tipo la Fava di Tonka (quel tipo di additivi tradizionali tra gli inglesi, che talvolta pare amino violentare sadicamente del Virginia altrimenti squisito).

Ma da un po' di tempo ho ritrovato nella pipa il gusto dell'avventura. Ho provato tabacchi italiani che non avevo mai sperimentato prima, e mi sono piaciuti. Sto fumando del Semois, che temevo fosse velenoso e invece trovo delizioso. E così ho deciso di dare una seconda chance a questi plugs, che dopotutto devono avere un loro perché, se provengono dalla impareggiabile casa che produce i più squisiti del tabacchi del mondo.

Capitolo 1: Il ritorno alla vita
Il caso ha voluto che tra i plug della mia scatola ce ne fosse uno di cui avevo aperto la bustina. Una ricerca di Google mi ha rapidamente rivelato che tra i plug in mio possesso, il Grouse Moor poteva considerarsi un nuovo inizio non troppo violento. L'aromatizzazione leggera, a dir di chi l'ha provato, accarezza la dolcezza del Virginia e gli conferisce qualche sfumatura, più che prenderla a calci nelle gengive, come il mio primo plug sembrava preferire. Pur con la prudenza dettata dall'esperienza ( è un fatto che c'è chi trova gradevole roba che io non butterei nemmeno nella stufa) ho deciso di tentare di fumarlo, dedicandogli una pipa un po' migliore della Kirsten che, con ben scarsa generosità, avevo riservato anni fa all'operazione. Il plug però, dopo dieci anni di abbandono appariva fossilizzato e inutilizzabile. Per riportarlo alla vita l'ho messo in un piccolo vaso Bormioli insieme a un umidificatore (io uso un contenitore di pellicola 35 mm, bucherellato col Dremel e riempito di carta da cucina umida, ma qualsiasi cosa tenga separato l'agente umidificante e il tabacco può andare bene), e mi sono preparato a un'operazione di lunga lena. Il plug è un cubo di tabacco pressoché solido e tanto quanto fatica a perdere umidità, rendendosi comodo nelle traversate in veliero, così fatica a riassorbirla. Periodiche ispezioni mi hanno però convinto che l'operazione rischiava di andare ben oltre i limiti della pazienza e così ho cominciato a trovare qualche variante per accelerarla. La prima è stata quella di lasciare per qualche giorno il vaso su un calorifero. Il calore aumenta la pressione osmotica del vapore e nelle ore di riposo, raffreddandosi,  l'umidità si condensa e penetra più velocemente nel tabacco. Successivamente ho rimosso l'umidificatore, temendo che potesse cominciare a fare muffa, e ho cominciato a vaporizzare gentilmente, delicatamente un po' d'acqua filtrata sul mio cubo di tabacco. Poi lo rimettevo in vaso, che rimettevo sul calorifero, e ho ripetuto l'operazione per giorni e giorni, fin quando mi è sembrato che l'acqua continuasse a penetrare. A un certo punto il plug è finalmente apparso saturarsi. La condensa che si formava nel barattolo non penetrava più all'interno nelle ore calde del termosifone, ma tendeva a ristagnare. A quel punto ho aperto il barattolo, ho lasciato evaporare la condensa in eccesso e poi ho richiuso il tutto, lasciandolo a riposare e uniformare in un cassetto fresco per un paio di settimane, sorvegliando ogni tanto che l'insieme apparisse e "suonasse" morbido e grasso, ma senza che gocce d'acqua malandrine si formassero da nessuna parte, come in effetti non si sono formate. Benché la curiosità mi rodesse, ho lasciato il barattolo sul fondo del cassetto, aspettando una mattina serena e lontana in cui tornare al mio Grouse Moor plug, perfettamente rinfrescato e rivitalizzata. Oggi è stata quella mattina.


Capitolo 2: la scelta del taglio

Ci sono mille modi di gustare un plug: dall'estremo dello shag (tagliare a fette sottili, poi disfare tutto in mano, fino ad ottenere capelli di tabacco da caricare nella pipa, dopo averli lasciati ad asciugare un po'), passando per il broken flake (fette come quelle dei flakes che si trovano in scatola, grossolanamente rotte e caricate), fino ad arrivare al flake puristico (fette intere arrotolate e caricate nella pipa). Io ho scelto il cube cut: una bella fetta grossa, tagliata prima a strisce, poi fatta a cubetti.
L'ho fatto per varie ragioni. La prima è che non maneggio un plug da parecchio tempo, e avevo voglia di scegliere una modalità che fosse possibile solo ed esclusivamente partendo dal plug. La seconda è che, essendo ignoto (ma probabilmente alto, come deve essere nel plug) lo stato di umidità, molte tra le forme di cui sopra potevano portare ad otturare la pipa con il minimo errore di caricamento. Il cube cut da questo punto di vista è il toccasana. Magari sarà un po' ignifigo in partenza e richiederà qualche riaccensione in più strada facendo, se proprio il tabacco è molto umido. Ma a meno di voler sbagliare a tutti i costi è impossibile cementare una pipa col cube cut, che si carica per semplice gravità.


Al primo taglio il plug si è rivelato uniformemente morbido, gustosissimo. Della consistenza di un panforte. Più che fumarlo, veniva voglia di mangiarlo.


Le strisce mostrano tutta la gamma di deliziosi Virginia di cui il Grouse Moor plug è formato. L'aspetto ricorda molto quello del Full Virgina Flake,

E finalmente i cubi, pronti ad essere lasciati cadere nella pipa e accesi.

Ma insomma... Com'è?
In queste settimane, maneggiando il mio plug di dolci e grassi virginia, il desiderio di fumarlo si è accentuato. La fragranze era veramente leggera, appena appena avvertibile. Nulla di violento e invadente. Tagliandolo poi, mi è quasi venuta l'acquolina in bocca. Quanto all'accensione e alla capacità di tenere il fuoco, la scelta del cube cut si è dimostrata abbastanza azzeccata, ma andrà migliorata. La prossima volta, esattamente come faccio con i flake, creerò uno strato superiore di tabacco totalmente sbriciolato, che dovrebbe prendere meglio il fuoco e garantire una combustione uniforme di tutto il fornello con più facilità di quanto i miei cubetti da purista abbiano fatto. Non ho comunque otturato il fornello, che era il timore principale.
A dispetto di qualche litigio con l'accendino, la mia pipata di Grouse Moor si è rivelata eccezionalmente piacevole. L'ho acceso la mattina, a bocca pulita, con una tazza di thé, caricando la pipetta di schiuma ben fatta e confortevole, ma del costo di pochi euro, che ho destinato agli assaggi dei flake aromatizzati. E' stato come fumare del Full Virginia Flake a cui sia stata aggiunta, se dovessi sbilanciarmi, una goccia di acqua di rose. Nessun fastidio, anzi. Personalmente gradisco molto la combinazione tra i due aromi tanto che in passato, in momenti di particolare perversione tabagistica, amavo fumare sigari avana dopo essemi dato sul polso una goccia di acqua di rose inglese, che mi ero per giunta dovuto comprare, non essendo nessuna delle mie donne di casa particolarmente amante di quella fragranza. A fumare essenza di rose non avevo mai pensato, ma i blender di Samuel Gawith hanno finito per soddisfare anche quella curiosità.  Il Grouse Moor l'ho assaggiato così e non vorrei essere sotto l'influsso di qualche forma di imprinting animalesco, ma lo vedo molto come un tabacco da prima mattina a dispetto della indubbia rotondità del Virginia sottostante. E soprattutto da mattina del weekend. L'essenza fiorita si libra nell'aria e mi pare fatta per cominciare una giornata piena di promesse piacevoli, molto più che per concluderla.
Procedendo nella fumata, e con una seconda tazza di té a fianco, il Grouse Moor cresce, si concentra. Il Virginia scuro canta e spinge con voce baritonale, ma l'essenza fiorita non si fa completamente sopraffare e ricama il suo controcanto in sottofondo. In conclusione un tabacco che in teoria è totalmente contrario a tutti i miei principi, ma che non mi pento affatto di aver riportato alla vita e che potrei persino arrivare a ricomprare. Sì, nella vita si cambia.

venerdì 2 dicembre 2011

"Questa pipa me l'ha regalata Jean Paul Sartre"



La Gbd Conquest Square Panel che ho comprato per sbaglio, ma fortunamente, provando un software di puntate automatiche su Ebay.

Mio padre è stato un giovanotto nell'Ungheria staliniana degli anni '50. Voleva diventare cartellonista e studiava al Liceo di Arti Applicate di Budapest, dietro Piazza Calvino. Era un ambiente frizzante di stimoli artistici e un po' alternativo e ribelle, perlomeno per gli standard di un regime carcerario come quello. C'era chi portava una frangia un po' fuori ordinanza, chi metteva pantaloni a coste larghe di velluto, chi addirittura osava indossare scarpe con suola di para provenienti da qualche zio americano. Segni che denunciavano a prima vista la mancanza di adesione ideologica e la scarsa propensione all'obbedienza. Ma quello che era ancora possibile a un ragazzo (possibile ma costoso, indizi di insubordinazione come questi sarebbero costati a mio padre la non-ammissione all'Accademia di Belle Arti) era del tutto impensabile per un professore. A quel livello, i segni esteriori del temperamento artistico andavano giocati in modo politicamente più cauto. 
Un docente, quindi un artista affermato, quindi un esempio, aveva delle responsabilità. Però aveva anche delle possibilità. Ad esempio, poteva realizzare un sogno impossibile per quasi chiunque altro: attraversare la cortina in occasione di Fiere, mostre ed altri eventi legati ad una di quelle attività che il regime aveva scelto come vetrina. 
Un giorno un giovane professore di mio padre tornò da qualcuno di quegli incredibili viaggi in Occidente e apparì in classe stringendo in bocca uno stranissimo oggetto vagamente imparentato con una pipa. Ma dall'apparenza molto strana, inconsueta, cubista. Un oggetto evidentemente alieno, proveniente da un universo lontano ed eccitante. Una specie di cosa che nessuno in Ungheria aveva ancora visto a quell'epoca. I ragazzi incuriositi gli chiesero che razza di pipa fosse quella. E lui alzando spallucce disse con noncuranza: "Non so... me l'ha regalata Jean Paul Sartre...". Il filosofo esistenzialista, voce libera di un mondo dove tutto sembrava possibile, epperò certificato comunista, era il personaggio ideale per avere qualcosa a che fare con una folle pipa del genere. Una scelta perfetta per associarsi ad un oggetto che con la sua sola presenza evocava una vita intellettuale diversa e meravigliosa, però con astuta cautela politica.
La pipa, in realtà, era solo un abbozzo di radica grezza da hobbista che il giovane professore aveva probabilmente adocchiato in qualche tabaccheria e pensato di riportare a casa, spacciandolo per testimonianza delle sue frequentazioni intellettuali. Il suo fascino era dovuto interamente alla sua spigolosa, esotica ed irrazionale cubicità. E quell' abbozzo squadrato mi è tornato in mente quando da uno dei pacchetti che ogni tanto mi arrivano da Ebay è uscita questa GBD. L'ho comprata quasi per sbaglio, provando un software che piazza automaticamente la puntata. Stavo sperimentandolo su una pipa che, come amante delle square panel mi interessava vagamente. Ma che non avevo davvero intenzione di comprare. Meglio così. E' bella oltre ogni ragionevole aspettativa (e certamente più di quel grezzo cubo di radica). E' leggera, geometrica, con due facce di splendido occhio di pernice. Ma ha qualcosa di irragionevole che persino in questo mondo così privo di limiti, e così lontano dall'Ungheria di mio padre, porta un tocco di avanguardismo artistico anticonformista. E questo, anche se a regalarmela non è stato un filosofo. Ma solo un pezzo di software pazzo e indisciplinato.


 Did you say "Bird's eye"?


 Nomenclatura. Il Modello (?) è il  9579


Una specie di sogno per l'amante delle Square Panel

giovedì 24 novembre 2011

Questa non è una pipa

 Una Genod con bocchino in corno "popolare". Più che una pipa, uno strumento di tortura.

Il buon Tarek mi ha rifornito in passato di molte meraviglie. Ma tra le esperienze eccezionali che gli devo c'è anche (non certo per colpa sua) la pipa peggiore tra quelle che abbia mai posseduto e fumato. E' una pipa francese che scelsi attirato dal suo bocchino in corno popolare, sia nel taglio a sezione molto spessa e rotonda che nel materiale: normale corno di un normale animale da lavoro, senza nessuna di quelle proprietà straordinarie che rendono possibili le opere d'arte di Gilli.  E' un corno privo di qualunque nobiltà esotica che, con la sua normalità, rende necessario il tipo di sezione spessa e poco confortevole che molti fumatori odiano, ma che era esattamente quello che cercavo io. Volevo una pipa ruvida, di quelle che si possono immaginare nelle mani grosse di un contadino francese, dunque non me la sono presa a male quando, una volta estratta dalla sua scatola, ho scoperto nella testa tutta una gamma di piccole imperfezioni dovute alla ratica per una volta non extra-extra, ma comune, e dunque con le sue inclusioni e i piccoli buchi. Imperfezioni che nulla toglievano alla funzionalità e che nessuno aveva pensato di nascondere con lo stucco. Bene così. Sul bordo superiore del fornello c'era anche un piccolo segno di utensile probabilmente dovuto alla morsa che aveva tenuto la testa ferma nel tornio. Nulla di cui preoccuparsi, anzi un tocco in più che avrebbe regalato alla mia pipa popolare un tocco di verità in più. Volevo una pipa di quelle fatte per uomini da una sola pipa e un solo tabacco (uno di quelli neri e per me infernali). Ma comunque una buona compagna, tutta sostanza contadina. Però non sono riuscito a farla mia. Non mi aspettavo un approccio facile, ma nemmeno la sorda e scorbutica resistenza che questa Genod ha opposto ad ogni tentativo di rodarla. Ha reso amari i miei Virginia, aspre le mie English Mixtures, mi ha legato la bocca, lasciato incollati sulla lingua saporacci insopportabili. Non una, non dieci, ma tutte le volte che ho provato a fumarla prima di riporla in un vaso a perenne ricordo di cosa differenzi una buona pipa, levigata e dolce, da una amara pipa dozzinale (una differenza di cui ho parlato in questo post).
Ultimamente dopo un lungo periodo di mezzadria coi toscani, sono tornato alle mie pipe deciso a non tradirle più.  Ritrovata nelle mie passeggiate l'avventura quotidiana del fumare la pipa, ho provato a sperimentare nel fornello il toscano sbriciolato, delizia per grandi come Peppe Ramazzotti, che però io non ero mai riuscito ad apprezzare. Per tentare questa strada e inebriato dal piacere del rischio, ho scelto dal vaso proprio questa Genod, sperando che il più scorbutico dei tabacchi potesse forse curare con le maniere forti la più scorbutica delle mie pipe. E' stata, effettivamente, la meno sgradevole delle fumate che questa pipa avesse mai regalato e da allora mi sono incaponito a rifumarla, sperando che prima o poi questa testarda Genod voglia ridursi alla ragione. Ci fumo Forte e Comune, trinciati di Kentucky italiano e per lei ho anche inventato miscele in gran parte nostrane, dove i Virginia o le mixtures al latakia sono solo un componente minore che dovrebbe offrire qualche reminescenza, però su una base robustamente rurale, come forse questa pipa pretende. Per un po' la Genod è sembrata piegarsi e ho cominciato a sperare che la testardaggine e la cura di tabacco nostrale potesse finalmente sopraffare questa ostica creatura dello Jura. La perseveranza ha dato qualche risultato e con l'ispessimento della crosta mi è parso che il sapore migliorasse. Quindi ho deciso di premiare la mia pipa ribelle con una caricata mattutina di Trinciato Italia, che al Kentucky italiano aggiunge anche del Virginia e del tabacco di tipo turco (ma pur sempre coltivati in Italia). E' stata una fumata, se non piacevole, quantomeno priva di asperità. Ma poche ore dopo, tornando a casa, la Genod mi ha tradito un'altra volta e la stessa carica di trinciato italiano mi ha dato boccate amare come il veleno, che mi hanno fatto capire che la Genod, come uno di quei muli che ti scaraventano nel burrone quando meno te lo aspetti, non è una bestia dalla quale potrò mai aspettarmi nessuna vera amicizia.
Ho pensato a quegli uomini rudi di una sola pipa e di un solo tabacco, che io non riuscirei mai a fumare. E ho pensato a quanto dura e aspra doveva essere una vita in cui persino fumate del genere rappresentavano un piacere così amato da investirci il poco denaro che non serviva a mangiare, bere e a coltivare il proprio campo. O forse, chissà, a forza di fumarle e violentarle con trinciati impossibili, giorno dopo giorno, senza mai un riposo, quelle terribili pipe cominciavano a regalare piacere dove una radica più raffinata avrebbe alzato bandiera bianca, rovinandosi irrimediabilmente. Può essere che sià così. O più probabilmente era l'uomo a prendere forma giorno dopo giorno, adattandosi alla sofferenza e imparando persino a considerarla un dono.


La stampigliatura della mia Genod

martedì 22 novembre 2011

Going out of my way

Una Charatan's Free Hand Relief realizzata prima del 1965. A dispetto della dimensione ragguardavele e della forma libera, la pipa è in proporzione leggerissima: pesa solo 28 grammi

Non sono un charatanista ma ho sempre guardato con rispetto, anche se da lontano, alla produzione di questa eccentrica casa inglese che, sia per forme (grandi e libere) che per lavorazione (radica curata ad aria, invece che a olio) ha sempre voluto andare  controcorrente rispetto a un paese dove già si guida contromano. Come risultato Charatan's è per un italiano un marchio molto meno esotico che per un inglese. E la sua produzione di freehand è secondo me la vera capostipite della pipa artigianale italiana, cresciuta dagli anni '60 in poi. In effetti è difficile non cogliere la parentela tra una pipa come questa e la linea delle Great Line Castello, la cui gloria era ancora di là da venire al tempo in cui a Londra questa pipa veniva tagliata a mano.

Caratteristica essenziale delle Charatan's è, si dice, essere pipe dal sapore chiaro che fumano incredibilmente bene. Sfortunatamente, l'unica Charatan's della mia collezione che io abbia mai fumato non mi ha dato grandi soddisfazioni da questo punto di vista. Ed ecco perché, avendo ultimamente scelto di tornare sul mio proposito di non allargare ulteriormente il mio parco-pipe, ho sentito il desiderio di fare un altro tentativo che colmasse la lacuna. Ho scelto una pipa eccentrica rispetto al resto dei miei possedimenti pipari (o quantomeno rispetto alla parte che amo di più). Eccentrica come in fin dei conti una Charatan's deve essere. E altrettanto fascinosa. Una pipa che finalmente fuma anche come una Charatan's deve fumare.



La nomenclatura "CHARATAN'S MAKE LONDON, ENGLAND" su due righe e la "L" la colloca come una Charatan's "Lane Era" Pre-1965

Gloriosa sabbiatura "Ring Grain"ovvero l'effetto che si ottiene sabbiando (bene) sulla fiammatura. 
Contrariamente a quanto avevo sempre pensato, non basta sabbiare sul fiammato ed evidenziare i cerchi orizzontali per entrare nella categoria del "Ring Grain". Occorre che i salsicciotti orizzontali siano più pronunciati e non ci siano  le venature verticali. Difficile da spiegare, ma facile da capire se avete mai avuto in mano una pipa così (mio padre ne aveva una). Ringrazio il commentatore che me l'ha fatto notare.

domenica 20 novembre 2011

Salvate il soldato Mc Clelland


Una lattina di McClelland 2010, depositata in cantina più di dieci anni fa è stata attaccata dall'umidità. Tempo di correre ai ripari!

Molti anni fa ho capito che mettere da parte un po' del tabacco che consumo sarebbe stata una buona cosa. I flake di Virginia, in particolare, invecchiano come il buon vino, diventando più complessi, più profondi, più maturi. Come molte cantine, anche la mia è molto umida e dieci anni fa non ho pensato di sigillare in un sacchetto di plastica le lattine in cui The Bufflehead Tobacco Shop usa(va) sigillare il tabacco sfuso (intelligentemente separato dal contenitore grazie a uno spesso e robusto sacchetto di plastica). Fortunatamente, invece, l'ho fatto con tutte le scatolette di tabacco che, dopo molti anni, continuano a essere in stato pressoché perfetto.



Ho aperto la scatola con un certo patema d'animo, fiducioso nell'opera del mio tabaccaio, ma non del tutto certo che la ruggine fiorita all'esterno non avesse attaccato il tabacco, rovinandolo irrimediabilmente.


Lo stato interno della lattina era danneggiato, ma non ancora completamente drammatico. Comunque la ruggine aveva cominciato a passare.


Il fatto che il tabacco fosse isolato nel suo plastico contenitore di spesso nylon è stata la chiave della sua salvezza. Ad ogni modo sono passato all'esame olfattivo, non essendo un avido fumatore di ossido di ferro.



Assolutamente perfetto. Nessun sentore rugginoso. Il mio 2010 (uno spettacolare flake di Virginia della Virginia e della Caroline, che è in pratica la versione sfusa e all'origine meno matura del McClelland #22), protetto dal nylon, esibisce adesso un aroma meno acetico di quando lo comprai, sviluppando tutta la complessità di datteri e fichi secchi che ci si aspetta da un grande virginia ormai perfettamente maturo. L'intervento di emergenza mi ha permesso di rivederlo e di riannusarlo dopo più di dieci anni, intensificando il desiderio di infilarlo quanto prima in una delle mie pipe.



Per ora, comunque, riposerà ancora un po' nel tipo di contenitore che ho sperimentato essere la migliora caspsula del tempo nell'ambiente della mia cantina: il vaso quattro stagioni Bormioli. Semmai dovessi notare un principio di arrugginimento del tappo, sarà un attimo sostituirlo. Ora manca solo l'etichettatura e la sigillitura in un sacchetto di plastica da freezer, che proteggerà il tappo. E il mio 2010 potrà affrontare qualche altro decennio di maturazione. Pronto, quando sarà il momento, a tornare quanto prima in casa per essere caricato e, finalmente, goduto come ormai ampiamente merita.

sabato 19 novembre 2011

Una Dunhill dell'età del Jazz

Dunhill Patent 196/S, Billiard, 1927.1936


(un errore di datazione, che mi viene fatto notare da un lettore con un commento spietato, inficia un po' tutta la cornice letteraria della mia descrizione. Per ora, in attesa di un'ispirazione adeguata sull'era dello swing, che è quella propria di questa splendida pipa, la lascio comunque. A dimostrazione della fallibilità umana e a mio maggiore scorno. )

Eravamo nei pieno dei "roaring twenties" quando nella fabbrica Dunhill di Londra venne tagliata questa pipa, di dimensioni piuttosto robuste per la media dell'epoca. Oggi appare come una pipa mediogrande, di un robusto gruppo 4. Allora era ai limiti del pipone, ed era quasi certamente destinata al mercato americano. La finitura era l'innovativa "Shell", introdotta da Dunhill solo dieci anni prima. A quel tempo Dunhill non considerava la sabbiatura una finitura di prezzo inferiore (come è diventata in seguito, per la sua capacità di occultare in modo pregevole e funzionale difetti di coloritura del legno) ma gli riservava una particolare qualità di radica, importata dall'Algeria, e che nella sua sofficità permetteva una sabbiatura più profonda e dettagliata. Agli inizi, inebriato dalla sua scoperta, Dunhill sabbiava le sue pipe con tale entusiasmo che spesso la forma ne risultava alterata. Per questo molte pipe dei primi anni non riportano il numero identificativo della forma-base. Questa invece fu sabbiata con mano, per l'epoca, abbastanza leggera e infatti riporta il numero 196 stampigliato sotto il fornello. Oggi quasi tutte le pipe sono fatte di buona radica almeno un po' stagionata e, se la lavorazione artigianale è una rarità, quella industriale produce comunque oggetti più che decorosi. Ma pur viziati da una qualità molto più diffusa di un tempo, prendere in mano e fumare oggi una pipa come questa è ancora un'esperienza. La lavorazione del bocchino è di una precisione impressionante: il foro di uscita del fumo si allarga a ventaglio all'interno del bocchino ed è rifinito ovale, seguendo la forma esterna stretta e relativamente spessa, tipica delle Dunhill "Patent" (una forma che Dunhill aveva battezzato "confy" ed è stata molti decenni dopo sostituita dal piatto e largo "fishtail"). Una lavorazione degna di un clarinetto, più che di uno strumento da fumo. Nessuna pipa al mondo era rifinita in questo modo allora, né sarebbe pensabile che lo fosse oggi.

E' una pipa fatta per un mondo dove il lusso sfrenato di un prodotto come questo era occultato sotto un aspetto sobrio, che non strillava. Al massimo, col suo puntino bianco, avrebbe potuto parlare all'interno della ristrettissima elite in grado di capire cosa fosse o anche solo di conoscerne l'esistenza. Ma la differenza di qualità tra la radica scelta e curata a olio, finita a poro aperto, sabbiata, rifinita con cura da gioielleria, e le grezze amare pipe popolari dell'epoca (molto peggiori di quelle di oggi) era la stessa differenza che correva tra le strade sudate, rumorose e fumose e il mondo di visoni, camicie di seta e grandi automobili lanciate da Scott Fitzgerald nei suoi romanzi.

Quel mondo di cristallo e diamanti si sarebbe in parte sbriciolato da lì a poco, nel crollo di Wall Street e nella Grande Depressione. Sono rimaste le sue storie. E sono rimaste pipe come questa, che evidentemente avevano più sostanza del mondo per il quale erano state concepite.

Il numero 16, stampigliato dopo il numero di brevetto, data la pipa al 1927 1936

Per dare risalto alla sabbiatura, Dunhill usava radica algerina (mentre le bruyere erano prodotte con radica dura, corsa o italiana)

venerdì 18 novembre 2011

La Bulldog sbagliata

Cavicchi CCC: un grading già molto rispettabile per questa bulldog con gli steroidi, classica nelle proporzioni, ma non nelle dimensioni. Al peso, denuncia 46 grammi.

La Bulldog è una delle più deliziosamente fuorimoda tra le forme inglesi. Non ha nulla di slanciato, elegante, fatto per accompagnarsi alla vita urbana. Al contrario è una pipa da nebbie e da caccia, o (per chi vive vite meno avventurose e ricche di svaghi), quantomeno da tenere tra i denti nel tragitto tra casa e ufficio. Dunhill ne ha dato un'interpretazione definitiva. I danesi ne hanno tratto forme più ispirate ai viaggi spaziali che alla tradizione, forse non molto pratiche e spesso nemmeno molto aggraziate, ma certamente innovative. Claudio Cavicchi, pipemaker di sostanza, l'uomo che produce alcune tra le pipe che fumano meglio al mondo, ha scelto una via diversa: trasformare la piccola bulldog in una pipa grande, ma lasciandola così com'era. Quando l'ho vista sul banco non sono riuscito a resistere a questa interpretazione di cui è difficile cogliere in foto la particolarità e l'ho comprata. Col senno di poi, devo dire che questa idea non è una delle migliori che Cavicchi abbia avuto. Una bulldog grande è una pipa che pesa in bocca in maniera irragionevole. La dimensione che la rende interessante, alla fine, la priva anche del suo vero fascino, quello di essere una pipa minuscola ma con un forte carattere. La bulldog, lontana dalle brughiere e costretta alla poltrona, non è più lei. Insomma, questa pipa grande è stata un tentativo interessante ma non è riuscita una grandissima pipa, benché la qualità della radica sia ottima non meno della qualità della manifattura. Però fuma in modo meraviglioso i suoi sei grammi di Virginia flake (li ho pesati per la prima volta stasera). E questo è il marchio di fabbrica di una Cavicchi, molto più delle sue stampigliature.

 
La nomenclatura
Una bella testa in splendida radica, compatta e sottile. In questo caso con un disegno anche abbastanza dritto.

La Tanshell di Mauro Gilli

 La square panel sabbiata, color Tanshell, che comprai da Mauro Gilli

Non discuto la bellezza e la bontà delle pipe artigianali italiane. Ma io, insieme al latte materno, ho cominciato ad assorbire il fumo paterno dei tabacchi inglesi e l'amore per le forme classiche in cui la bellezza nasce da variazioni minime intorno a proporzioni che si potrebbero definire auree.  Alfred Dunhill ne era il Giotto, Achille Savinelli ne era un interprete modernista e affascinante. Ma interessante proprio per la sua capacità di forzare la forma classica senza abbandonarla, diciamo un Modigliani. Col tempo ho fatto le mie incursioni nel cubismo, nel surrealismo, ma in fondo al cuore è sempre rimasto l'amore per la classicità nella sua purezza. Le pipe di Mauro Gilli sono le pipe di un grande artigiano contemporaneo che ha scelto proprio il ritorno a quella purissima classicità quasi matematica. In mezzo ad autori che colpiscono, che stupiscono, che esibiscono talvolta con un certo compiacimento la propria personalità, una pipa di Gilli può sembrare poco stuzzicante, finché si trova su uno scaffale o su una pagina web. Ma provate a riempirla, ad accenderla e a passeggiarci con le mani in tasca. E' allora, mentre svolge la funzione per cui è nata, che attirerà l'occhio di chi capisce le pipe. Come una calamita. E, se vi capita di fumarla davanti a una vetrina in cui sono esposte intricate creazioni artistiche, potrebbe succedere che un altro appassionato volti le spalle a quella teca carica di capolavori rarissimi e costosissimi per chiedervi informazioni su un leggero pezzetto, perfettamente disegnato e tagliato, di radica, che costa una frazione della meno pretenziosa di quelle artistiche creazioni. A me è successo, proprio mentre fumavo questa square panel. Non certo la più appariscente della mia piccola raccolta di variazioni intorno ad una forma che amo. Ma certamente una delle più perfette.


Le pipe di Gilli rifuggono dall'esibizionismo: sono sobrie e minimali anche nella nomenclatura.



martedì 15 novembre 2011

Seven


Trinciato comune e trinciato forte. Dopo trent'anni passati con la pipa in bocca, li fumerò per la prima volta.

La giornata in cui l'interesse sui BTP sfonda il tetto fine-del-mondo del 7% e la borsa crolla per l'ennesima volta mi sembra quella ideale per accostarmi al tabacco dell'Italia povera e rurale, quella che siamo stati e, chissà, potremmo presto tornare ad essere. Non è stato facile trovarli, ma alla fine ce l'ho fatta. Per il momento mi sono fatto solo una pipata di Forte, passeggiando in un gelo finalmente invernale. Nella busta l'ho trovato morbido, umido al punto giusto, e con una nota gentile al naso che mi fa sospettare un po' di topping dolce. Accendendolo, per ora, l'ho trovato... forte. Però non troppo, tutto sommato ancora fumabile. Vedremo. Nei prossimi giorni aggiungerò a questo post qualche impressione più articolata.

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Aggiornamento più di un anno dopo 01/10/2012

Come questo post monco e privo di qualunque contenuto sia diventato uno dei più letti del mio blog è qualcosa che mi sfugge completamente. Misteri del web... Ad ogni modo avevo promesso un aggiornamento che non ho mai dato, e quindi eccoci.

Il Forte è quello che mi è piaciuto di più, ma sono comunque rimasto a una busta sola. Benché il Kentucky in pipa cominci a contaminare le mie fumate, ancora non sono abbastanza appassionato da aggiungere alla mia dispensa un tabacco che secondo me non è molto agevolmente miscelabile. Ho poi fatto scorta di Semois, che sto pian piano consumando senza eccessivi entusiasmi ma che prende comunque il posto delle fumate robuste e rustiche che il Forte potrebbe assicurare. La sera in cui l'ho gustato di più è stato dopo una scorpacciata di lesso, in una Savinelli Giubileo pre-1970, bella capiente. Non so se sia stata la pipa, il tabacco o il lesso. Ma è stata una fumata di bontà rara.

Col Comune ho fatto il bis, salvo poi annoiarmi del suo grigiore. Devo poi dire che, pur senza essere un talebano della "naturalità", non riesco a trovare positiva l'idea che nel Comune ci sia una visibile presenza di tabacco ricostituito, aka "recon", ovvero una specie di cartone pressato fatto con gli scarti di lavorazione del tabacco. Al posto del Comune, ogni tanto sbriciolo un Toscano Garibaldi, che è molto più buono e si combina bene in dosi per ora di 50/50 con tutti i Virginia. Ottima miscela, robusta e non stucchevole, che riposa le papille e che sto usando anche per correggere pipe usate con odori strani. Il Kentucky non lascia un odore piacevolissimo, ma insieme col Virginia si smorza un po'. Unica avvertenza: non lasciare spegnere e freddare se non si vuole fumare una bella zaffata di ammoniaca alla riaccensione. Il Kentucky, in questo, non perdona.

domenica 13 novembre 2011

Caccia al tabacco. Capitolo 2. Nel caveau.

Dopo aver scoperto negli anfratti di casa mia circa il doppio del tabacco che mi aspettavo di avere, e poi averne trovato ancora e poi ancora (l'ultimo ritrovamento di questa mattina è un vaso ermetico pieno di ropes di Samuel Gawith, la cui potenza mi aveva sopraffatto al punto da nasconderli fuori dalla portata di bimbi e potenziali fumatori incoscienti), questa mattina sono sceso in cantina per inventariare i miei investimenti a lungo termine. Finora non avevo dimostrato di essere un buon contabile, ma con il caveau ho guadagnato punti e ci ho trovato grosso modo i dieci chili di tabacco che ricordavo di averci depositato in tempi diversi, per essere pronto a guerre, carestie, cataclismi, oltre ovviamente che come forma di investimento (l'unica che non mi abbia tradito) e come mezzo di gustare i grandi Virginia pressati e invecchiati che sono da anni il tipo di fumo che colloco al vertice della scala del piacere tabagico. Se vuoi fumare un grande Virginia di dieci anni, il modo migliore per farlo è metterlo da parte dieci anni prima. Io, fortunatamente, lo feci. E un po' disordinatamente, ma efficacemente, continuo a farlo.

Il miglior modo di tenere tabacco sfuso in cantina è a mio parere il vaso quattro stagioni Bormioli. Non arruginisce e, se il tappo si deteriorasse, si potrebbe sempre cambiare prima che sia troppo tardi.
In questa forma al momento conservo:
500 gr. East Carolina Ribbon (Virginia di base per miscele)
350 gr. Latakia siriano di Giannini (condimento per miscele)
350 gr. di blend "turco" di Giannini (Orientale per miscele)
250 gr. di Perique ( condimento per miscele)
Potrei passare alla produzione massiccia della mia migliore miscela, l'unica che abbia mai ricompensato i miei sforzi di home blender.
Ho poi: 750 gr di Samuel Gawith Commonwealth (potente English Mixture), 500 gr di McClelland 2020 Matured Cake (una English Mixture in flake: spettacolare) e 500 gr di Schurch 128.


Anni fa mi feci inscatolare negli USA dell'altro McClelland sfuso, che poi è lo stesso tabacco che si trova nelle lattine di 100gr, ma più giovane e di conseguenza molto, ma molto meno costoso. Ora giovane non lo è più. Le latte contengono uno spesso sacchetto di plastica sigillato per cui la loro cattiva conservazione con principio di arrugginimento (ma non passante) non è pericolosa per il tabacco. Ad ogni modo le ho portate su, le aprirò e trasferirò il tabacco nei vasi Bormioli. In latta possiedo 500gr di McClellend 2010, 250 gr di McClelland Matired Cake 2020, 250 gr di McClelland 2025 (un flake con Perique). In busta sottovuoto a tre strati, resistente a tutto, ci sono 250 gr di Samuel Gawith Skiff (English Mixture direi media)
16 scatole da 100 gr di McClelland No.22, uno dei Virginia broken flakes migliori che abbia mai provato.
5 scatole da 100gr. di McClelland Christmas Cheer, Virginia bright pressato, prodotto ogni anno con un monoraccolto particolarmente eccezionale tra i Gran Cru di Virginia e delle Caroline.  Non si può descriverne la delizia: è fuori dal mondo.
13 scatole da 100gr di Mc Clelland Bombay Court, una English Mixture molto ricca di profumi orientali, di forza medioleggera, che è quella che in genere preferisco. Si può paragonare al Red Rapparee o allo Squadron Leader. Secondo me la miglior mixture di McClelland
3 scatole da 50gr di McClelland Arcadia, un tabacco intrigante, prodotto per riprodurre uno stile ottocentesco. Molto orientale, tagliato in shag.

3 scatole da 100gr di Bombay Extra (un bombay rafforzato nel latakia e scurito nel Virginia)
4 scatole da 100 gr di McClelland St.James Woods (flake con Perique)

Avvolgo le mie scatole in sacchetti di plastica per resistere all'umido. Le più vecchie erano avvolte in pellicola trasparente, per sicurezza le ho trasportate in casa e metterò anche queste in sacchetto.
22 scatole da 50gr di McCranie Red Flake 1983. Un altro eccezionale monoraccolto che è diventato leggendario. A quanto pare, ne avrò nei giorni di pioggia.
15 scatole da 50gr di Petersen Escudo (maledizione, non il Cope's...)
5 scatole da 50gr di Dunhill DeLuxe Navy Rolls. Non so se lo facciano ancora. Quando lo comprai mi pareva che fosse una riproduzione del Cope's Escudo quasi perfetta, più vicina del Petersen.
Il mio gioiello: 5 scatole di Three Nuns, quello vero.

 una scatola da 50gr di Dunhill Elizabethan
3 scatole da 100gr di Dunhill Early Morning pipe
2 scatole da 100gr di Dunhill My Mixture 965

Secondo i miei calcoli, se dovessi cominciare a fumare quello che ho senza più comprare nulla, ne avrei per circa dieci anni. Considerato che di anni ne ho 47, tutto sommato, posso ancora comprare sereno, con la speranza che il mio tabacco sia destinato più a me che ai miei eredi...


sabato 12 novembre 2011

Operazione rinascita: Samuel Gawith Grouse-Moor Plug



Il Grouse Moor Plug di Samuel Gawith, dopo anni di oblio nel profondo di uno scaffale. Ho deciso di farmi forza e riprovarlo. Qui il risultato, tre settimane dopo.

Benché cercando tabacco in casa sia rimasto sorpreso dalla quantità che è saltata fuori dai cassetti, e soprattutto dai contenitori infrattati in ogni dove, giorni dopo questo post continuo a trovarne. Nel più oscuro e dimenticato e inaccessibile dei miei scaffali giace un contenitore ermetico con molti plugs di Samuel Gawith che alla prima prova mi disgustarono profondamentemente per la loro assurda aromatizzazione. Naturale finché volete, ma per me insopportabile. Preso da un impeto eroico ho deciso di riaffrontarli, ripartendo da quello che, per quanto ricordo, era il meno micidiale. In questi anni di abbandono si sono pietrificati. Sarà anche un esercizio tecnico di restituzione alla vita di un plug. Chissà che un giorno almeno la tecnica possa venirmi buona. Sul tabacco ho molti più dubbi. Ho già individuato la pipa da sacrificare. I primi tentativi li feci, prudenzialmente, con una Kirsten (macchina da fumo in alluminio con fornello avvitabile) contando di poterla quantomeno lavare. Non è stata una buona idea. Anche se i tabacchi fossero stati meravigliosi (e non lo erano) in quella pipa sarebbero stati un inferno. Stavolta ho individuato la più popolare delle mie pipe di schiuma, una cosetta veramente da poco che comprai non so perché su ebay per l'equivalente di cinque o sei euro. Una lavoratrice onesta, comunque. Non sarà una gran perdita, ma perlomeno è una pipa.
La Meerschaum sacrificabile