mercoledì 31 ottobre 2012

Bottino Ceco

A Praga avevo un paio d'ore per lo shopping. Non mi succede spesso ultimamente.

Ci sono molte cose che rendono questa città mervigliosa. Una è il prezzo del tabacco (almeno da un punto di vista italiano). Qui i nostri bistrattati euro comprano bene (Samuel Gawith intorno a 10 euro) ed essendo all'interno dell'UE,  è permesso portare a casa fino a un chilo di tabacco a testa. I luoghi che frequento per rifornirmi sono essenzialmente due. Il primo è Baker Street, in via Celetna, a metà strada tra Starometske Namesti (la piazza dell'orologio) e Piazza della Repubblica. E' un discreto negozio, dove vengono esposte con una certa pompa delle pipe che però secondo me sono generalmente molto mediocri. Peterson, Chacom, qualche Ser Jacopo, parecchie Jirsa (l'eroe locale). Ci sono accessori, sigari, tabacco (non moltissimo, ma sufficiente a una incursione media).

Il secondo indirizzo è un negozio improbabile che vende varia accessoristica da fricchettoni, alcolici costosissimi da yuppie, sigari, sigarette, paccottiglia turistica e un sacco di tabacco da pipa. Generalmente è il posto dove faccio la spesa io. Si chiama Kingdom of Pipes e si trova in via Stepanska, una traversa di Piazza San Venceslao.

La terza opzione, per chi va di fretta ma ha programmi chiari, è ordinare online e farsi spedire al proprio albergo. In questo caso l'indirizzo buono è www.etrafika.cz

Da flp, prendo l'indirizzo dello Stanislaw Pipe Shop, da cui devo essere passato qualche volta, ma senza rimanere colpito dall'aspetto esterno, ingiustamente modesto. A quanto pare mi sono perso qualcosa. Un indirizzo per la prossima volta. 

Josef Sudek: Vicar's Lane

martedì 30 ottobre 2012

Dark Plug Gawith & Hoggarth

La fine del mio Dark Plug

Una decina d'anni fa, quando la produzione di Gawith & Hoggarth si rese disponibile in Svizzera, un po' alla volta, e prima ancora di poterli assaggiare, acquistai 50 grammi di ogni tabacco in produzione, pronto a scoprire meraviglie paragonabili a quelle della ditta cugina, la soprafffina Samuel Gawith.

Purtroppo, al momento dell'assaggio non mi ritrovai praticamente con nessuno. Alcuni erano "soapy" in modo che trovavo disgustoso, altri troppo forti, in tutti dominava uno strano aroma, che trovavo estremamente sgradevole. Avrei scoperto in seguito che il profumino di Kendal è un trademark della casa, un voluto segno di riconoscimento che spinge i suoi amanti quasi alla dipendenza. Non me, comunque. Non allora e con molta moderazione oggi.

Il tempo è passato, e il mio sampler è rimasto dimenticato finché qualche mese fa ho deciso di tentare una seconda avventura, scoprendo che i miei gusti si erano seppur minimamente evoluti. Con i soapy, perlomeno in dosi moderate, adesso mi diverto. E i virginia rafforzati con fire cured leaf e con kentucky, forse perché adesso li reggo meglio di un tempo, mi risultano fumabili e talvolta persino gradevoli. Il Dark flake o dark plug nella sua forma a cubetto è un po' lo Schwarzenegger dei Virginia rafforzati. La sua botta è considerata temibile da fumatori ben più abili ad incassare di quanto lo sia io. A me, stranamente, non risulta così impervio. In fatto di tabacchi ognuno ha la sua reattività.

In questa categoria riconoscibili dal tag "virginia rafforzati" entrano molti dei tabacchi che sono stati popolari in Inghilterra. Solidi, talvolta brutali. Un modo di fumare Virginia più da working classes che non da gentry. E lì sta il loro fascino. Il mio amico Gaetano, col quale mi scambio tavolta qualche tabacco e che mi ha fatto omaggio di una busta di St.Bruno, li ha paragonati a una birra scura. Il paragone ci sta tutto.

In questo caso, il Dark Plug si può accostare ad una birra scura addizionata ad una dose robusta di gin.




lunedì 29 ottobre 2012

Les pipes de Maigret

Un delizioso speciale della TV Svizzera, in cui Simenon parla delle sue pipe. Io non so il francese e ci capisco ben poco, ma col tempo, magari... Mi piacerebbe soprattutto capire se quello che maneggia all'inizio dell'intervista è Royal Yacht Dunhill (come mi pare) o Dunhill Elizabethan. Se avete l'occhio più aguzzo del mio, fatemi sapere.

Aggiornemento 12/1/2013
Sull'argomento, segnalo anche questo post del sito italiano simenon-simenon
Pare proprio che il tabacco fosse il Royal Yacht

martedì 23 ottobre 2012

Schurch 128. La certezza che viene dalla Svizzera

Schurch 128, uno dei non molti sopravvissuti tra le English Mixtures che amavo qualche anno fa. Questo barattolo viene dal 2001. E' il più vecchio. Ma lo Schurch a quei tempi lo fumavo già da molto tempo.



Dando un'occhiata al mio caveau scopro che quasi tutti i Virginia che fumavo 10-12 anni fa, quando iniziai ad accumulare la mia scorta, sono ancora alive and kicking, Lo stesso purtroppo non vale per le miscele al Latakia, soprattutto a causa della scomparsa dei "miei" Dunhill (rimpiango di non aver messo via qualche scatola di Balkan Sobranie, ma non sono mai stato un fumatore massiccio della marca che altri fumavano quasi in esclusiva).

Per la verità i Dunhill ci sono ancora ma ormai si fanno in Germania e ne leggo note così tristi che non ho più avuto il coraggio di aprirne uno. Così restano in riserva le mie ultime scatole dei tempi Murray's (a leggere le proteste dei vecchissimi appassionati, già molto deludenti rispetto alle ricette classiche mescolate a Londra), che sono quelli che ho fumato per lunghi anni, senza mai tenere che sarebbero scomparsi. Invece...

I Gawith, per me, sono già cose che fanno parte di un tempo recente, quando scoprii il gusto di andare a caccia dell'insolito (ai tempi in cui li provai, andandomeli a prendere in Svizzera, in Italia erano di là da venire ma io ero già un fumatore "evoluto"). E poi sono miscele inglesi tutte un po' particolari.

Lo Schurch 128 invece no. Lui sì che viene dai vecchi tempi. Anche lui lo compravo in Svizzera ma per scoprirlo mi bastò leggere i libri di Bozzini. Internet non so se esistesse da qualche parte, ma certo non nel mio orizzonte prevedibile. Avevo tre o quattro pipe decenti, i primi soldi guadagnati con una borsa di studio, e il sabato mattina andavo a Chiasso oppure a Lugano per vedere di rintracciare sugli scaffali o nei vasoni che mi avevano affascinato per iscritto, quelle lontane meraviglie illustrate da poco attendibili foto in bianco e nero. La Svizzera era davvero (ed è, ma sono cresciuto io) il paese dei balocchi.

Quando entrai da Dubini io non so perché volevo lo Schurch 129 ma lui aveva lì il 128, me lo raccomandò come quello che piaceva a tutti e così presi un etto o due di quello lì. Lo Schurch 128 non è mai stata una miscela flamboyant. Piace a chi ama il latakia in dosi robuste ma ha un fondo dolce che talvolta mi ha fatto pensare al cavendish (non credo però che ce ne sia, e nelle ricette su Internet non è menzionato). Non è aranciato, com'era il 965 di una volta, ma regala secondo me sensazioni simili. E' morbidoso, piacione. Hans Schurch è il decano dei microblender, si dice che sia cieco e misceli le sue meraviglie fidando sul tatto e sull'olfatto, ipersviluppati, come accade a chi perde uno dei sensi più importanti, E' svizzero, e forse per via di questo fatto, lo Schurch per antonomasia (ovvero, appunto, il 128) mi ricorda a volte il gusto di un grosso boccone di cioccolato fondente, ma non troppo amaro.

Insomma lo Schurch è lo Schurch. E ora che le altre colonne di quel modo di fumare si sono sgretolate, resta una delle poche certezze quando si vuole fumare un tabacco bello pieno di latakia ma buono, senza pasticci, senza porcherie nascoste a fare peso, senza latakia sintetico, senza burley aromatizzato a qualcos'altro, senza kentucky amaro infrattato a fare corpo. Insomma una cosa buona come ai vecchi tempi.

martedì 16 ottobre 2012

Samuel Gawith Squadron Leader: le delizie della mixture mild


Una netta predominanza di toni chiari è la chiave visiva della mixture mild, in questo caso ad alto tasso di Virginia biondi

Per molti anni "tabacco da pipa" è stato per me sinonimo di mixture inglese al latakia. Ho fumato, come tutti, il Balkan, sia quello bianco che quello nero e non li trovavo per niente male. Fumavo anche tutti i Dunhill disponibili e ad un certo punto scoprii che nonostante gli avvertimenti di Bozzini, che indicava nel "mild" un tabacco facile a pizzicare, la mixture che mi piaceva di più era proprio la Standard Mixture Mild di Dunhill. Quando mi capitò di andare in Inghilterra, riportai a casa qualche scatola di Sullivan's Powell gentleman mixture. Una diversa interpretazione del mild, molto più orientale. E anche quella svanì velocissimamente. Non l'avrei mai più ritrovata (se non su ebay, dove fortunatamente ho perso ultimamente un'asta arrivata a livelli stratosferici. Devo astenermi dal partecipare in futuro a simili roulette russe sul filo dei ricordi).

Oggi è molto difficile trovare sul mercato una decente mixture mild, credo perché zavorrare di latakia a dosi industriali permette di infilare nell'intruglio un po' di tutto, tenendo bassi i costi. Almeno una grande mild però c'è, ed è lo Squadron Leader di Samuel Gawith. La miscela fu originariamente prodotta per accontentare i gusti di un caposquadriglia del corpo di spedizione aerea inglese della Prima Guerra Mondiale (dettaglio di cui mio padre si innamorò, ponendo immediatamente lo Squadron Leader al posto d'onore della sua riserva di tabacchi). Io ci avevo messo le mani molti anni prima che Gawith arrivasse in Italia, su suggerimento di amici collezionisti americani e grazie alle recensioni della rivista americana che allora era la Bibbia del fumatore maniacale. Da quel momento i viaggi per Chiasso e Lugano si moltiplicarono man mano che le scorte andavano in fumo.

Oggi, fortunamente, lo Squadron Leader si può comprare a prezzi convenienti in confezioni da 250gr da qualsiasi tabaccaio ben fornito.

Lo Squadron Leader è tuttora una delle mie misture inglesi preferite, grazie a una mildness che è fatta soprattutto di dolcissimi virginia chiari. E come un Virginia lo Squadron Leader va fumato. Lentamente, a fil di fumo. Pena incorrere non tanto nella maledizione di Bozzini (la lingua di vitello che tocca a chi fuma mild con eccessivo entusiasmo), ché lo Squadron Leader molto pizzicoso non è; quanto nella perdita del suo gusto. Quando mi innamorai dello Squadron, trovavo lo Skiff (suo contraltare più turco e un po' più latakiato) poco soddisfacente. Oggi non so più quale dei due mi piaccia di più. Ma certamente è allo Squadron che torno quando voglio un flashback gustativo di quel tempo e di quei momenti in cui scoprii che per una pipata come si deve vale davvero la pena di fare un miglio un più.




Dettaglio della illustrazione della scatola, a cui secondo me è dovuta una parte del successo della miscela. Mi sono permesso di trascurare di inquadrare le minacce di morte imposte dal legislatore.

domenica 14 ottobre 2012

La fregola


Canadese extralunga di Mauro Gilli, lunga 17 cm, altezza 49mm, foro da 21, peso 46 grammi .
Bocchino in metacrilato madreperlato.


Conosco Mauro Gilli da molti anni.
Ieri, con una gita improvvisata insieme a mio cugino Andrea, desideroso di regalarsi una pipa custom, sono tornato a trovare Mauro e Simone.  Abbiamo visitato il laboratorio delle meraviglie. E' stato divertentissimo: abbiamo visto pipe, materiali di bellezza commovente (cumberland color miele, verde, blu...) e abbiamo immaginato insieme un po' di cose che non vedo l'ora di vedere realizzate. Ma nell'attesa di scrivere qualcosa di più articolato e di avere fra le mani le pipe che per ora sono solo sulla carta, su qualcosa di concreto dovevo pur mettere le mani e me ne sono venuto a casa con questa singolare bellezza, che anticipa un po' l'accento dandy di quelle che devono ancora arrivare.



 La canadese extra lunga è marcata due stelle

Il dente, spigoloso, ad angolo vivo, di Mauro Gilli. Da solo vale più di molte altre pipe.

giovedì 11 ottobre 2012

Andrea Gigliucci. Un cuore danese a Scarlino.

Circa un anno fa cercando, se non sbaglio, qualcuno che mi vendesse degli abbozzi di radica per degli esperimenti di sabbiatura che stavo facendo insieme a mio cugino, sono arrivato per le vie dell'ipertesto al sito di Andrea Gigliucci un artigiano della pipa di Scarlino che non avevo mai sentito nominare prima. I siti dei nuovi "maestri della pipa" sono spesso inutilmente pomposi oppure dilettanteschi, se non talvolta le due cose insieme. Generalmente mi inducono a cliccare via il più velocemente possibile. Quello di Gigliucci invece era diverso: bella foto, grafica di buon gusto, un racconto di sé sincero, senza le solite chiacchiere a vanvera in inglese maccheronico. Prima di tutto, il sito di una persona intelligente: mi ha subito incuriosito. 
Gigliucci, con grande onestà, si raccontava come un nuovo arrivato nel mondo della pipa. Un restauratore che da qualche tempo, visto che amava fumare la pipa, si era deciso a  unire due passioni e realizzare dei modelli suoi. Ancora più della storia mi interessarono le pipe. C'era una bellissima curva molto snella e flessuosa, che mi faceva pensare a una reinterpretazione leggera e nordica del famoso sassofono di Radice/Ascorti. Purtroppo l'aveva già venduta. Ma mi piacevano altrettanto una serie di bulldog un po' cubiste e scalene, veramente strane, quasi inquietanti nella loro finitura nera rusticata che ricordava la pietra appena sbozzata di una scultura in progress. Le guardai e riguardai per qualche giorno, tornando sul sito, finché a un certo punto mi sentii chiamare da una delle tre o quattro disponibili. Era una pipa abbastanza strana per me, ma più la guardavo più mi piaceva. Un  giorno mi decisi a prendere il telefono e chiamare Gigliucci, per accertarmi che la mia Dark Hull Bulldog fosse sempre là al suo posto, e per capire come ordinarla. In quella telefonata, avrei scoperto due cose interessanti:  la prima era che Gigliucci era incredibilmente uno dei primi lettori del mio blog (a quei tempi ai primissimi post). La seconda, che io ero il primo ad acquistare una pipa di questo tipo. 

Evidentemente, il Destino si era messo pesantemente al lavoro.



 La mia prima Gigliucci. Una Dark Hull rusticata bulldog. Gigliucci è un appassionato velista, e il nome del modello nasce dalla somiglianza tra  la "chiglia" di questa strana bulldog e quella di una barca. 

Su "Fumare la Pipa" ho raccolto diversi pareri positivi sul mio nuovo acquisto e ho scoperto di non essere stato l'unico a notare i primi passi di Gigliucci, né il primo in assoluto dei presenti a possedere una sua pipa (in realtà, ero il terzo). Tra la mia prima telefonata con lui e quello che lessi su flp, scoprii che Gigliucci aveva studiato, per così dire, con Massimo Musicò ed era già stato presentato a Cagli l'anno precedente. Una sua limitata gamma era visibile ed acquistabile nel negozio di Roma, nel quale però non ero ancora mai stato (pur avendone letto infinite meraviglie). Tutto ciò mi fece piacere. Ma ancor più mi piacque come fumava la mia pipa. 
Me la sentivo bene in mano, la rusticatura mi divertiva: sembrava eseguita con furore nel corso di un raptus. Ma soprattutto la pipa aveva un che di magico nel modo in cui trattava alcuni tabacchi. Era l'unica in cui riuscivo a fumare l'HH Vintage Syrian trovandolo quasi buono. Anche il "gusto drugstore" di una busta di 7 Seas acquistata per amor di scienza, risultava tutto sommato godibile. Preoccupato di un possibile contrappasso, ci bruciai qualcuno dei miei Virginia preferiti, temendo che il risultato si invertisse e che le capacità stregonesche della pipa agissero in questo caso a mio danno. Nonostante la capienza abbondante, non proprio classicamente da flake, anche i Virginia ne uscirono bene. Da allora la Dark Skull Bulldog l'ho fumata molte volte, senza riuscire ancora a dedicarla a nessun tipo di tabacco talmente riesce bene con tutti. E' una delle mie pipe-jolly migliori.

Con l'avvicinarsi dell'estate, approfittando del fatto che Scarlino è quasi di passaggio sul tragitto per l'Isola d'Elba, ci siamo messi d'accordo per la visita che fino a quel momento era rimasta solo nell'aria. La cosa si faceva pressante anche perché nel frattempo Gigliucci aveva realizzato alcune divagazioni sul tema della Dan Reformed Chimney, tra cui ne avevo identificata immediatamente una che sarebbe diventata la mia seconda pipa firmata da lui.

 Gigliucci liscia, una rielaborazione a partire dalla Dan Reformed Chimney

Mia moglie ricorda sempre con piacere le sue (e talvolta nostre) vacanze nei dintorni di Follonica. Così la convinsi senza fatica che una deviazione per Scarlino si rendeva necessaria e una volta giunti lì, Gigliucci ci condusse nel suo antro fiabesco. Senza alcun dubbio, il più bel laboratorio tra quelli che abbia visto (vale la pena visitarlo virtualmente sul suo sito). Ho trovato un giovane uomo colto e appassionato, quasi ossessionato dalla ricerca. Un uomo preparato e  intelligente, che insieme ai suoi strumenti, ai ciocchi, alle pipe abbozzate e finite ha uno scaffale di stampe di vecchi cataloghi sui quali studia ed estrae ispirazione per le proprie elaborazioni. Come succede da Becker & Musicò, il classico è presente e si riflette, rinnovandosi, nelle pipe che nascono non tanto seguendo i capricci della radica (un modo di fare pipe che personalmente mi lascia indifferente), ma anzi cercando di spingere nel legno adatto il frutto della propria visione del momento. Nel caso di Gigliucci, ogni pipa nasce da abbozzi grezzi, prima sgrossati e poi lavorati con l'uso di pochi strumenti essenziali. Molti sono gli stessi che si troverebbero in un laboratorio danese. Forse con l'eccezione del segaossi da macelleria, che Gigliucci ha riadattato a strumento per plasmare il dente del bocchino (una delle mie fissazioni, tra l'altro). Un'altra innovazione che mi ha fatto immensamente piacere è stato il passaggio di Gigliucci dal bocchino in metacrilato (pur ben fatto, come sulla mia bulldog) all'ebanite tedesca tornita dalla barra e tagliata a mano. Un passaggio credo suggerito dalla frequentazione con Massimo Musicò, un artigiano con cui condivido la convinzione che il bocchino rappresenti la metà del valore di una pipa.

I classici intorno ai quali Gigliucci lavora mi sono sentimentalmente cari, perché sono gli stessi che ho visto, ormai consunti e fumati fino alla resistenza estrema, nelle mani di mio padre. Le sue prime pipe degli anni '60: forme danesi allora moderniste alcune delle quali disegnate dal Conte Bernadotte. Una pipa come la sua prima Kriswill la cercavo da un po' di tempo, e avevo anche consultato qualche collezionista tra quelli che frequentano flp (l'ho poi trovata poche settimane fa su ebay, in versione liscia). Al momento in cui entrai nel laboratorio di Gigliucci, la ricerca era ancora in corso.

La Kriswill sabbiata che fu una delle prime pipe serie di mio padre. E' la forma a cui si ispira la Gigliucci che ho comprato io.

 Si può quindi immaginare quale sia stata la mia sorpresa quando in mezzi agli strumenti e alla segatura, sul banco di Gigliucci ho visto il catalogo Kriswill aperto proprio sulla pagina che ritraeva la pipa che mi era sfuggita fino a quel momento. Una pagina di questo catalogo Kriswill 1970, che mi ero già studiato con attenzione.
 Tra le ultime realizzazioni di Gigliucci c'era già pronto il frutto della ricerca partita da quella vecchia pagina. Totalmente diversa dalla pipa che avevo visto tante volte. Ma anche chiaramente imparentata: una specie di nipote maremmana della principessa danese che continuava a sfuggirmi. Una pipa che mia mogli gradì immediatamente, facilitandomi il compito di non scegliere quale delle due dovessi acquistare, tra la pipa per cui ero arrivato fin lì e quella mi aveva così piacevolmente sorpreso.

Gigliucci sabbiata, una personalissima rielaborazione, a partire dalle forme della vecchia Kriswill che avevo inutilmente cercato.

In generale, devo ammettere di essere piuttosto frigido verso le creazioni più estrose ed azzardate della "scuola danese". Non amo in modo particolare le pipe a serpente, a chiocciola, a lumaca, che ricordano un'ascia vichinga o un disco volante. Pipe magari in sé bellissime, per chi è in grado di apprezzarle, ma che a mio avviso hanno rovinato con il loro esempio non pochi artigiani. Sono invece sempre stato affascinato dagli esordi della pipa danese: quelle pipe industriali ma innovative che hanno a lungo ispirato anche le migliori creazioni di Achille Savinelli.
Il mio vero genere, forse, sarebbe ancora più classico. Ma di questa reinterpretazione modernista sento profondamente l'attrazione, non solo affettiva. Scoprire nel laboratorio di Gigliucci un uomo che si arrovella con gusto intorno a questo delicatissimo equilibrio tra classicità e design, tra forma e funzione, senza mai dimenticare che una pipa è una pipa e non una scultura da soprammobile, mi ha fatto immensamente piacere.

Ero arrivato fin lì per la reformed. Ma non avrei potuto uscire senza la nipotina della Kriswill Bernadotte. E così è stato.

Gigliucci sta crescendo nella stima di molti appassionati. Oggi le sue pipe si possono acquistare a Roma da Becker & Musico (per cui realizza anche le Foundation riconoscibili dalla sigla AG) ma anche a Bologna e a Follonica. In questi mesi  si è parlato parecchio di lui tra gli appassionati che frequentano flp e che hanno visto per la seconda volta a Cagli le creazioni toscodanesi di Scarlino. Gigliucci è stato definito il più promettente artigiano della nuova generazione. Un uomo che unisce l'inventiva e il gusto a una invidiabile capacità tecnica. Io non ho nessun dubbio che sia realmente così.



 
Mio padre in una foto scherzosa del 1971, con la sua Kriswill Bernadotte.


martedì 9 ottobre 2012

Una questione di culottage



La schiuma che possiedo da diversi anni. L'ho fumata saltuariarmente così appariva "prima della cura".



La stessa schiuma, dopo un mese di uso abbastanza intensivo, con una o due fumate quasi tutti i giorni.

Culottare la propria pipa in schiuma è sempre stata un'occupazione importante nella vita di un gentleman. Un lavoro che talvolta era in grado di riempire un'esistenza intera.  Io non ho ricevuto dalla sorte il dono di un castello e di una vita esclusivamente dedicata alla degustazione di piaceri assortiti. Ma ho comunque avuto (e ho) diverse pipe in schiuma. Preso da altre occupazioni, oltre a quella di culottarle, non le ho mai affrontate con la dedizione necessaria ad ottenere una bella colorazione uniforme. Anche perché, tutto sommato, continuo ad avere una spiccata preferenza per la radica.
Anche la schiuma comunque ha i suoi spazi ed è un grande materiale per fumare quei tabacchi che mi piacciono poco: troppo aspri, troppo spigolosi, troppo forti. La funzione ammortizzante della schiuma di mare ha un effetto senz'altro benefico sulle foglie riottose e così ultimamente, complice qualche scorta da smaltire, mi sono ritrovato abbastanza spesso con la mia vecchia schiumetta tra le mani.

Sia per provarne le doti di resistenza che per cercare di capire quanto si debba fumare in questi strumenti per ottenere dei principi di colorazione gradevoli, l'ho sottoposta ad una prova-shock: un mese di fumate quasi ininterrotte. Ogni giorno l'ho accesa una volta, ma preferibilmente due, e ci ho fumato tabacchi piuttosto robusti: semois, miscela di toscano e virginia, St. Bruno, qualche miscela al latakia tanto per gradire. Ho trovato che entrambi i miti che circondano la schiuma sono relativamente veri. La schiuma non è proprio senza memoria. Ma ne ha comunque molta meno della radica. Se in una radica corposa continuo a sentire gli effluvi del toscano anche dopo tre o quattro fornelli di miscela al latakia, nella schiuma la dissolvenza si accorcia di circa la metà. E poi sì, la schiuma è davvero instancabile. Anche dopo trenta giorni di fumate ininterrotte, continua a fare il suo lavoro senza appesantirsi nel gusto e nella capacità di ardere il suo combustibile (sintomi che denunciano di solito la "stanchezza" di una pipa in radica),

Tutto sommato mi sono divertito e sto progettando di allargare di nuovo la mia riserva di pipe a qualche schiuma, dopo aver ceduto a mani migliori delle mie quasi tutte quelle che avevo.





sabato 6 ottobre 2012

Considerazioni etiche su una pipa in ginepro morta alla prima fumata.

La pipa in ginepro Paronelli, che mi ha tentato col suo incredibile profumo resinoso

Ieri, visitando il museo della pipa di Gavirate, gestito dal giovane Paronelli (di cui parlerò in un futuro post), oltre ad essere rimasto ammirato dalla passione e dalle innumerevoli curiosità esposte, mi sono anche lasciato tentare da una pipa in ginepro sardo, un'essenza a cui pensavo da un po' e che dal vivo mi ha attratto con i suoi profumi incredibili, da cui mi aspettavo meraviglie in congiunzione con tabacchi naturali.
Il prezzo di 110 euro era abbastanza pesante nella gamma Paronelli, ma la forma curiosissima che mi ricordava la Skater di Charatan e poi di Upshall, mi ha convinto all'ennesimo tradimento dei miei propositi di non aggiungere, per il momento, ulteriori pipe alla mia già stracarica rastrelliera.


La stessa pipa, crepata irrimediabilmente alla prima fumata

La crepa parte dal nodo

Non mi intendo molto di ginepro ma vedendone dal vivo per la prima volta una, ho avuto un'impressione, come dire... di fragilità. Il legno non era molto spesso e c'erano un paio di nodi evidenti per cui nel retrobottega dei miei pensieri ho pensato al rischio di una possibile bruciatura. Ho chiesto al giovane Paronelli cosa sarebbe successo nel caso si fosse bruciata e lui onestamente mi ha avvertito che il rischio c'era e che sarei dovuto stare attento a fumare molto piano fino alla formazione della crosta protettiva, che mi avrebbe garantito in seguito. Non ho approfondito molto di più, forse perché non volevo negarmi il piacere di provare quella pipa, e ho sborsato con un po' di fatica i 110 euro richiesti. La sera ho caricato la mia pipa con una miscela di Toscano Garibaldi e virginia ribbon mcclelland, che mi ha trasportato in un nirvana balsamico. Forse anche troppo resinoso, come logico nella prima fumata a legno ancora nudo. La pipa sudava resina dalle fibre e dai nodi ma teneva bene. Ho fumato con grande attenzione, attento a non scaldare, fino alla fine. E la pipa è sopravvissuta indenne, pronta a una seconda carica. O almeno così credevo.

Grande infatti è stata la delusione quando stamattima sono tornato a rimirare la mia pipa e l'ho trovata spaccata da una crepa passante. Evidentemente, raffreddandosi, la struttura non ha retto al trauma. Non mi aspettavo molto, ma ho scritto a Paronelli per informarlo dell'incidente, per chiedergli se ci fosse qualche garanzia che copriva un evidente problema del materiale ed eventualmente si potesse fare qualcosa, magari almeno cerchiare la pipa.

Mi è stato risposto che purtroppo, come potevo evincere anche dalle aste su ebay, le essenze alternative non sono garantite. Né loro né Spanu (che fornisce il materiale e che è un po' il pioniere delle essenze alternative) possono garantire dei materiali che sono molto a rischio-fumatore. Si è offerto però di mettere nella pipa un fornello in radica, operazione che però non mi interessa per niente, visto che ho comprato questa pipa per il gusto di fumare nel ginepro. Capisco il punto, anche se il problema non mi era, devo dire, chiarissimo nel momento in cui ho acquistato. A posteriori non penso di avere formalmente nulla da pretendere. Resta però qualche considerazione di etica commerciale, a mio avviso ineludibile.

Come può un fabbricante mettere serenamente sul mercato dei prodotti che lui per primo sa essere fragili ed esposti al rischio di rottura, come se fossero delle pipe normali? Paronelli garantisce a vita i difetti di materiali e di lavorazione per le pipe in radica, esattamente come Dunhill. Ma non le essenze alternative, che però costano quanto e più della radica. Ha un senso?

Se compro una pipa a rischio fuma e getta, che sia una pannocchietta o una pipa di ceramica, so benissimo che la sua fragilità è a mio rischio. Ma spendo poco, o pochissimo. E se la pipa si rompe, bon, me ne compro un'altra senza troppi pensieri. 

In alternativa, se si vogliono fabbricare e vendere pipe belle ma che si sanno essere fragili,  occorrerebbe incorporare nel prezzo una specie di rischio assicurativo. La pipa forse costerà un po' di più, ma in caso di incidenti dovuti con ogni evidenza al materiale, si potrà sostituire esattamente come succede con una pipa di radica.

Se tutto ciò è economicamente impossibile,  perché il materiale è veramente fragilissimo, allora il ginepro e le altre essenze si lasciano agli hobbisti che intagliano con piacere dai loro legni e se li fanno scoppiare in faccia come meglio credono. Ma non si firmano pipe del genere con il proprio nome, la propria marca, perdipiù ammonendo contro il rischio di imitazioni e contraffazioni. Ma che marca è una che vende a prezzo piuttosto considerevole delle cose che sa essere facilissime a rompersi, e si rifuta di garantirle? Non basta dire "occhio che se si rompe sono affari tuoi". Ammesso che sia stato detto, esiste una responsabilità di produrre cose che possano resistere almeno ad un uso ragionevole. E io forse non sarò abile in molte altre cose, ma una pipa -quantomeno- credo di saperla fumare come si deve.

Se pensate a una pipa in essenze strane, informatevi bene su cosa copre la garanzia. E se non copre niente, siate almeno ben certi che il prezzo non sia quello di una pipa "normale". O più.

Questa secondo me è la morale della storia.

giovedì 4 ottobre 2012

Le mia prima Dunhill (e le ragioni più sbagliate per comprarne una)



Vale quello che costa? L'eterno dilemma del puntino bianco.


C'è un thread di "fumare la pipa" che mi causa spesso acuti mal di capo. Si chiama "una Dunhill per provare" e generalmente raccoglie le esperienze di chi ha trovato una Dunhill a prezzo ultrascontato (nuova in qualche tabaccaio che ha gettato la spugna oppure straziata in qualche mercatino delle pulci) e ha deciso di comprarla per vedere se quelle carissime pipe col puntino sono veramente così meravigliose come le si dipinge. Se, diciamo, una volta accese, sprigionino qualche inimmaginabile magia che valga il loro prezzo.

Quasi invariabilmente, dopo qualche frettolosa fumata, talvolta con agghiaccianti caroselli di tabacchi, il risultato di questa prova è che no, in una Dunhill non c’è proprio nulla di speciale: fuma esattamente come una pipa normale. Grande è allora la delusione del tester. Ne consegue che chi le acquista, più o meno, è solo un fanatico un po' toccato che si è fatto abbindolare. Altrettanto invariabilmente, e a mio avviso con totale mancanza di logica, chi trancia giudizi di questo genere, tende a mostrarsi poco disposto a scambiare la sua pipa truffaldina con una di quelle splendide ed oneste pipe che sostiene di apprezzare (io di solito ci provo a salvare la malcapitata pipa da una immeritata prigionia).

Tutto ciò nasce da un enorme fraintendimento, diffuso sia tra chi idolatra che tra chi odia questo marchio. Una Dunhill in effetti non è nient'altro che una pipa normale. Semplicemente, è una pipa che da più di cento anni ha seguito una politica di eccellenza senza compromessi. Nei giorni buoni e in quelli cattivi, sempre. Non accettare assolutamente mai scorciatoie e vie di mezzo per un po' di fatturato in più, è una scelta quasi eroica (chi conduce una qualsiasi attività economica potrà condividere il senso di ammirazione meglio di chiunque altro). Il risultato è semplicemente che Dunhill è la normalissima pipa contro cui qualsiasi altra deve confrontarsi. Si è buoni o meno buoni rispetto a quanto vicini si riesce ad essere all'ideale di Alfred Dunhill, fisicamente rappresentato da tutte le pipe col suo marchio messe sul mercato in qualsiasi tempo. Dunhill rappresenta il gold standard di tutti gli shape classici e di tutto ciò che una pipa deve essere per essere il meglio. Quello che Dunhill offre è la assoluta garanzia, qualunque sia il finissaggio, l'anno di produzione, la dimensione, di aver provato ad essere la migliore pipa umanamente possibile (magari non sempre riuscendoci). Nulla di più, nulla di meno di questo.

Una Dunhill, presa singolarmente, non è necessariamente migliore di una pipa di qualsiasi altra buona marca. E di buone marche ce ne sono (e ce ne sono state) tante. Dunhill è semplicemente una garanzia di qualità che non conosce eccezioni. Per averne una come deve essere non devi conoscere molto, non devi essere un abile collezionista che si destreggia tra produzioni di eccellenza e cadute commerciali. Basta che sia una Dunhill: una qualunque. E' l'unica marca di pipe di questo livello che non abbia mai dovuto ammainare la sua bandiera. Qualcuno sente l'attrazione per l'ossessiva propensione alla perfezione e al successo commerciale che ha donato alla storia della pipa una meravigliosa pietra di paragone. Qualcuno invece si preoccupa semplicemente di comprare una pipa: la migliore possibile al migliore prezzo possibile. Il che è altrettanto legittimo. Ma non condurrà quasi mai al puntino bianco.

Ancora diverso è comprare al miglior prezzo possibile una pipa che fumi bene. In questo caso, puntare a Dunhill è come scegliere una Rolls Royce per trainare una roulotte.





La mia prima Dunhill. Una Red Bark 142 F/T del 1973. Ai suoi tempi, come oggi, un sacrificio economico non indifferente, che merita di essere fatto per le ragioni giuste. O anche non essere fatto per nulla.



Quando ho comprato la mia prima Dunhill tutto questo, fortunatamente, lo sapevo già. Tra le pipe di mio padre qualche Dunhill c'era. Erano quelle più preziose ma non certo le uniche che rispettasse. Di nascosto, quando già avevo qualche pipa passabile, mi fumai la sua liverpool e la sua square panel. Ne sentii il fascino e rimasi ammirato dalla rassicurante durezza dell'ebanite (che avrei scoperto anni dopo essere la migliore ebanite tedesca) e dalla fattura del bocchino. Ma a parte questo non ebbi nessuna particolare rivelazione mistica. 

Quindi, il giorno in cui, appena incassato uno dei primi stipendi che mi avevano elevato oltre la soglia della fame, decisi di ripiombare almeno per un po' nell'indigenza per acquistare la mia prima Dunhill, sapevo che quasi tutto quello che potevo attendermi era lì davanti ai miei occhi. Prima di tutto quel bocchino lucente e tagliato a mano, i cui lati si rastremano dritti come un fuso. Bello come solo un bocchino fatto su misura può essere. Così diverso dal terminale molliccio della mia Savinelli Punto Oro (un'altra dublin rossa, ma liscia), la cui forma tradiva l'ebanite stampata (e pure, in quel caso, da quattro soldi).


Lo shape è il 142. Ovvero la Dublin un po' robusta che ai tempi in cui l'acquistai mi era particolarmente caro. Solo col tempo ho capito di non essere molto bravo a fumare nelle dublin.


Poi  una forma dublin assolutamente autorevole. Non troppo esile, col fornello leggermente inclinato in avanti. Non troppo sottile, non troppo spessa. Esattamente giusta. Una bella sabbiatura (che avrei potuto comunque trovare anche altrove). Una finitura singolare, che sarebbe rimasta fino a pochissimo tempo fa la mia unica Red Bark (forse per il desiderio di non privare la mia prima Dunhill della sua singolarità). Insomma una pipa assolutamente perfetta e allo stesso tempo assolutamente normale.

La rivelazione mistica che non aspettavo non è effettivamente arrivata. Ho semplicemente goduto di una pipa che ricordo di aver fumato in alcuni momenti che forse anche per questo sono rimasti importanti. La fumai per esempio seduto per terra, ascoltando un disco di Art Pepper, nella nostra nuova casa, ancora priva di mobili (ma non di uno stereo e di un posacenere). Ha sempre fumato come deve fumare un'ottima pipa: bene. Senza nessun problema di nessun tipo. Avrei successivamente scoperto che la forma dublin che a quei tempi mi affascinava non è proprio l'ideale per il mio modo di fumare, ma questo sarebbe successo molte Dunhill dopo (di Dunhill ne ho comprate molte, non ne ho mai data via una, e non ho mai nemmeno desiderato farlo).

Una Dunhill offre il senso rassicurante di possedere ed usare un oggetto discreto e semplicemente perfetto. Una pipa ideale, che non  ha nulla di vistoso eppure non può essere fatta meglio di così e per questo costa cara. Se questo interessa, investire in una Dunhill ha un grande senso.

Non ha invece senso comprare una Dunhill solo perché costa poco. Magari aspettandosi di svelare acutamente, con due fumate in croce, l'inganno del puntino bianco.  Una Dunhill non regalerà mai nulla a chi non ha intenzione di apprezzarla. Per quanto poco la si possa pagare, saranno sempre e solo soldi buttati. 

Tutto si può trovare in una Dunhill. L'uomo paziente ci troverà la ricompensa dovuta a chi sa aspettare. L'uomo sensibile, una pipa da ascoltare perché viene da un mondo perduto. Lo scienziato, uno strumento robusto, versatile ed analitico. Il risparmiatore, un buon investimento.

E anche lo stolto troverà ciò che cerca: un bel po' di soldi spesi per la ragione sbagliata.

martedì 2 ottobre 2012

Kendal plug, o del piacere di affettare


Se non ricordo male, questo è un plug da 250 gr, che ho successivamente tagliato in tre pezzi


Fumare nella pipa regala molti divertimenti. A patto di avere un po' di voglia e un po' di tempo da perdere, uno dei massimi è quello di fumare i plug. I plug sono in sostanza lo stesso cake da cui provengono le fette regolari del flake, ma tagliati in grossi pezzi, in modo che ognuno si regoli come vuole, in base all'estro del momento sul taglio che ha voglia di infilare nella sua pipa.
Tagliato sottilissimo, il plug permette di ottenere uno "shag", ovvero un taglio a capelli d'angelo e di facilissima combustibilità, anche dai virginia più ignifughi. A fette più larghe, replica il gusto del flake. A fette ancora più larghe, tagliate incrociate, permette di provare la carica puramente gravitazionale del cube cut. Onestamente, non la soluzione più semplice, specialmente se già col flake si ha qualche problema di combustibilità.
Tra i miei plug preferiti, non sorprendentemente, c'è la versione in blocco del Best Brown Flake di Samuel Gawith. E' il protagonista di questo post.
Mai come in questo caso la medietà conduce all'eccellenza assoluta. Non troppo scuro, non troppo chiaro, non troppo dolce, non troppo piccante. Esattamente giusto. Tutto ciò che il Best Brown è nella comodo presentazione in fette, il Kendal Plug riproduce nell'appassionante versione intera.
Anche a causa di disavventure ad altri occorse, raccomando una certa cautela a chi avesse la fortuna di vivere in paesi in cui sia possibile ordinare tabacco online. Pare che in certi casi qualche irresponsabile abbia strappato il plug in malo modo, spedendo invece di un blocchetto dei pezzi scomposti e probabilmente strappati per il lungo. Ordinando la confezione intera da 250 gr, oppure i dadini da una cinquantina di grammi confezionati uno a uno da Gawith il problema non rischia di presentarsi. Ma mai come in questo caso, l'occhio dell'acquirente ha una sua importanza.
Un plug strappato a brani, ahimé perde molto del piacere visivo del plug. Anche se probabilmente poco o nulla del piacere di fumarlo, specialmente in un caso come questo, nel quale il contenuto è uniforme tra i vari strati (ben peggio sarebbe per quei plug a sandwich che racchiudono un cuore di virginia tra due strati esterni di  Kentucky o di Fire cured, o viceversa).
Buon plug a tutti.

lunedì 1 ottobre 2012

Un quasi-commonwealth casareccio

 Protagonisti, in ordine di apparizione: Virginia Eastern Carolina Belt (47,5%), Latakia di Cipro (47,5%), Perique (5%)

E' da un bel pezzo che non mi diverto più a giocare al piccolo miscelatore, perlomeno da quando ho scoperto che altri sanno farlo di gran lunga meglio di me. Ciò non toglie che parte della mia dispensa sia composta da tabacchi di base che avevo acquistato appunto per divertirmi a mescolarli, e che prima o poi debba pure decidermi a fumarli.
In ciò mi aiuta la convinzione che alcune delle mie pipe debbano ancora passare per l'indispensabile periodo della maturazione. Un momento nel quale delle pipe alle prime armi, stressate da un numero eccessivo di fumate non darebbero comunque il meglio di sé. Per questa operazione, quando possibile, uso una miscela fatta in casa di Virginia Mysore Torben Dansk con Toscano Garibaldi tagliato a rondelle e in gran parte successivamente sbriciolate. Funziona bene e rende bene anche in schiuma. Ma per quelle pipe da mettere in cura con latakia non ho al momento un'alternativa economicamente e logicamente sensata, visto che è improponibile sacrificare allo scopo nessuna delle miscele che ho conservato fino a oggi, né mi sembra sensato comprarne di mediocri.
Ho pensato così che un difetto della full mixture al latakia, che appiattisce un po' tutto quello che ci si mette dentro, sotto il peso del pesante affumicato, potrebbe dopotutto tornare a mio vantaggio.

Il Virginia che possiedo (un Eastern Carolina Belt acquistato a suo tenpo da Dubini) non è per niente male. Ignoro però i segreti necessari alla combinazione di gradi diversi della foglia americana, senza i quali è difficile ottenere una delle miscele mild che sono il mio genere preferito. E così, durante una notte quasi insonne, mi è venuto in mente che una delle cose che potrei replicare con le migliori possibilità di non-insuccesso è una versione casalinga del Commonwealth: ricetta elementare di 50/50 latakia e virginia. Forse il latakia migliore sarebbe quello siriano. Ma io ho quello di Cipro, e tutto sommato non mi sembra di quella variante untuosa e uniformemente nerastra capace di ammazzare tutto. Ad ogni modo, per arricchire un po' la paletta ho inserito nell'intruglio un 5% di Perique, che male non fa mai, specialmente nelle mixtures molto full.

Sarà un fumare accettabile? La speranza ce l'ho ma riuscirò a saperlo solo tra circa una settimana, quando riaprirò il barattolo dove ho messo a riposare la mia creazione, per farle finalmente affrontare la prova del fuoco.


 Come appare il mio quasi-Commonwealth fatto in casa.


 40 grammi di prodotto finito. Alla pipa l'ardua sentenza.