martedì 12 febbraio 2013

Fornelli da flake 3: Dublin, Zulu, fornelli conici

Dall'alto: Dublin: Castello Old Antiquari KK (20 x 45) , Zulu 1: Savinelli Giubileo d'Oro 4004 (19 x 43) , Zulu 2: Dunhill "Patent" Shell 102/I (1949) (19 x 44)


Leggera, piccolina, di poco volume. La classica pipa a fornello conico sembrerebbe essere l'ideale per il Virginia in flake: un tipo di tabacco che per questioni volumetriche predilige la pipa piccola.
Purtroppo l'espansività, caratteristica peculiare del flake, congiura per rendere ancora più complicato un tipo di fornello che, benché pieno di fascino, è tutt'altro che facile da fumare e crea problemi anche con la più classica delle miscele in ribbon.
Personalmente, ho sempre trovato la Dublin in tutte le sue varianti di medio formato, una pipa molto attraente. Agli inizi del mio idillio con la pipa ne ho comprate diverse e c'è voluto del tempo per capire che le mie difficoltà non erano dovute soltanto alla scarsa abilità, ma anche alla bizzosità del fornello conico, che tende a concentrare verso il fondo dosi esponenzialmente crescenti di umidità. In aggiunta a questo, un cono concentra sul fondo anche la pressione. Esercitando sulla cima della carica la stessa dose di forza che si eserciterebbe con una billiard, la geometria porta a una moltiplicazione di pressione giù in basso, il che iinsieme all'umidità, rende ai più (e certamente, per lungo tempo, a me) impossibile fumare l'ultimo terzo di fornello. E questo, sempre che l'eccesso di pressione non abbia reso infumabili anche i primi due terzi.
A tutto ciò, il flake aggiunge un terzo fattore: l'espansione. Caricare un flake è sempre un esercizio di autodisciplina. Occorre tenere conto del fatto che il tabacco così come viene disposto nel fornello non ha ancora raggiunto il suo stato "di marcia". Scaldandosi, il flake si aprirà e si espanderà, il che rende vitale lasciargli lo spazio e l'aria sufficienti a non soffocare.
Molte cattive fumate con i flake sono dovute all'abitudine di pressarli, dopo averli spezzettati, più o meno come un normale tabacco in ribbon. Una tentazione che conduce automaticamente all'impaccamento di tutta la carica, una volta raggiunta la temperatura di esercizio.
Nel fornello conico, che tende ad impaccare anche un ribbon, i risultati con un flake possono essere tali da indurre il malcapitato ad abbandonare per sempre la curiosità del tabacco pressato.

Caricare un flake ripiegato in una pipa così, secondo me, non può che condurre al disastro. Il cilindro tenderà a schiacciarsi nella parte terminale producendo un tappo impenetrabile, immediatamente dopo l'accensione. Caricando il flake in forma broken, invece, e lasciandolo semplicemente cadere, cominciando dai pezzi più grandi, come ho cercato di spiegare in questo post, sarà la fisica stessa a domare il temibile cono. 
A patto di evitare anche la minima pressione, la gravità porterà meno tabacco dove lo spazio del fornello è minore, il che a sua volta porterà a minore espansione. Una volta compreso il meccanismo, un flake spezzettato, lasciato semplicemente cadere, sarà più facile da caricare di un ribbon, che sulle pareti del fornello si incapriccia sempre un po' ed è quasi impossibile lasciare semplicemente gravitare nella sua sede come il fornello conico richiederebbe.
Sopra il flake caricato a pezzi, basterà uno strato di tabacco sminuzzato più finemente, e appena appena sistemato con ditate leggerissime, per fornire la miccia di cui la carica necessita, per lasciare lentamente esplodere tutto il suo piacere.

Non c'è nulla di complicato nel fumare flake in un piccolo fornello conico, una volta che si è capito come fare. Ci si può riuscire anche in coni abbastanza estremi come quello della Castello fotografata qui sopra: una pipa che tende a punire con l'insuccesso quasi ogni tentativo con le mixtures "normali". Penetrato il mistero, il flake in bulldog, rhodesian o zulu, si trova nel suo ambiente ideale. Poche pipe come queste, generalmente corte e tascabili, di aspetto rustico e nello stesso tempo leggere, sono fatte per essere tenute saldamente tra i denti mentre si passeggia all'aperto. Ed è proprio all'aperto che la lenta combustione del flake è maggiormente raccomandata. Una leggera brezza, ravvivando leggermente la brace, rende semmai più agevole fumare anche certi pressati che passano per essere ignifughi, mentre una carica di shag (taglio fine), nelle stesse condizioni tenderebbe a surriscaldare, col rischio di bruciare, se non la pipa, quantomeno la lingua. 
Il fornello conico, per sua natura, riproduce in taglia ridotta e in fin dei conti con minori difficoltà, l'effetto che si avrebbe fumando il flake in chimney: una graduale concentrazione dei sapori, che permette al virginia di evolvere, trasformando il viaggio della brace dalla cima al fondo del fornello in un caleidoscopio di aromi e di sensazioni che non conosce noia.

Quello tra flake e fornello conico è un matrimonio tra due parti dotate di personalità diverse, a prima vista inconciliabili. Ma quando c'è po' di intelligenza, capacità di adattarsi e tenere conto dell'altro, è proprio dalle unioni così che nascono i matrimoni più solidi e più ricchi di soddisfazione.



Caricare un broken flake 
Fornelli da flake 1: La pot
Fornelli da flake 2: La prince 
Fornelli da flake 3: Dublin e zulu




mercoledì 6 febbraio 2013

Toscovirginia



Il Torben Dansk Sailor's Flake N°15 è il tipico rappresentante del flake di Virginia Bright tedesco. Non cattivo. Ma nemmeno straordinariamente buono. Forse leggermente dolcificato. Nulla di male a fumarselo da solo. Ma onestamente, con tutto quello che ho da parte, una serata passata con questo tabacco è un po' una serata buttata.  E' dunque il candidato ideale al "toscovirginia". La miscela 50/50 che fumo abbastanza spesso, se ho la lingua bruciata, se ho una schiuma o una pipa in marasca nei dintorni o semplicemente quando sono nello spirito giusto per uno dei pochi modi in cui mi piaccia fumare del kentucky.


L'altra componente del ToscoVirginia è il Toscano Garibaldi. Come toscano, non il mio preferito (se non talvolta di mattina presto). Ma in pipa forse l'unico toscano che trovi davvero gradevole per ora (insieme, forse, al Modigliani, di cui però ho fumato poche cariche). E' un ottimo sostituto del Comune: sensazioni simili ad un livello di qualità immensamente superiore.  Niente cartone pressato qui. Nel ToscoVirginia può entrare qualsiasi Virginia (meglio chiaro) con qualsiasi toscano. A seconda di ciò che entra, cambierà ciò che esce. Per me, quella presentata in questo post è una combinazione abbastanza ideale con componenti giusti e senza spreco di tabacchi preziosi per una miscela che ha più senso quando è economica.




Tutta la rimanenza della mia lattina di Sailor's flake. Come si vede dalla foto, per capire che tutto sommato potevo farne a meno ci ho messo circa quindici grammi.


Toscani q.b. per pareggiare i conti.

Il Toscano lo taglio a rondelle. E' la parte più noiosa.

Questo è il risultato.

Si mescola spezzando le rondelle. Ma mi piace che nella miscela restino riccioli di fascia.


Il Toscano in pipa mi ha sempre convinto poco. Ne leggevo quando cominciai, nei testi di Bozzini e di Ramazzotti. Ma per il mio gusto, la pipa e il toscano (ma potrei dire il sigaro) sono sempre rimasti due mondi inconciliabili. Per quanto godibili entrambi.

Da un paio d'anni a questa parte, nuove chiacchiere mi hanno portato a nuove esperienze e  ho cominciato a pasticciare un po' con l'idea di sposare Virginia e Kentucky. Di Virginia c'è l'imbarazzo. Kentucky ne ho provato in varie forme  ma alla fine trovo che tra quelle più semplici da reperire, più economiche e più qualitative ci sia il sigaro toscano, e specificamente il Toscano Garibaldi. Come sigaro, il Garibaldi è un po' spompato. In pipa invece per il mio gusto ha la giusta forza per attaccare pipe riottose, mal rodate, da resettare (terreno di elezione del kentucky), senza attaccare anche chi le fuma. Anche in schiuma il Kentucky è molto buono (come alla fine ho scoperto) e per quanto scorbutico sia, rispetta la lingua, delle volte un po' provata dal Virginia. Il Garibaldi è più o meno paragonabile al Comune, di cui rappresenta un'alternativa di qualità molto maggiore.

La forza è con lui. Main generale, quello che manca al Kentucky è un po' di gentilezza e di struttura, che si trova in abbondanza nel Virginia. Non avrei mai  provato a combinarli, se non avessi assaggiato il risultato in certi flake di Gawith & Hoggarth (dove il Kentucky però funziona da condimento). Ho provato a mescolarli in varie proporzioni ma alla fine mi pare che l'equilibrio giusto per quel che cerco di solito, sia una divisione salomonica: 50 e 50. La stessa cosa che fanno gli americani nelle loro miscele casual di Burley e Virginia o Samuel Gawith con Virginia e Latakia. Il risultato, per quanto mi riguarda, è buonissimo. Il Virginia si sente abbbastanza poco, ma il Kentucky si arrotanda e acquista dimensione. Non sempre ho voglia di fumare il ToscoVirginia ma quando sono dell'umore per farlo, fumo con grande soddisfazione, godendomelo in pieno.

E' uno dei rarissimi casi, forse l'unico che conosco, di miscela olistica. Ovvero una combinazione che non è tanto buona quanto il suo componente peggiore (risultato classico), ma persino più buona del suo componente migliore.





lunedì 4 febbraio 2013

Mac Baren Virginia no 1 (al cartoccio)



Una bella lattina da 100gr, acquistata in Rep. Ceka

Il Virginia No 1 è probabilmente l'unico Virginia puro del catalogo Mac Baren (c'è anche il Black Ambrosia, che però è un Virginia-Frankestein). I miei ricordi si riducevano a una busta che mi era stata regalata e che, benché un po' secchina (come spesso succede alle buste Mac Baren) avevo  trovato discreta, pur senza provare il desiderio irrefrenabile di urlare di piacere. Un virginietto da poco, ma che si lasciava fumare e che, anche a causa dell'evidente zuccheramento, si era dimostrato positivo nel rodaggio di un paio di pipe. 
Sapendo che i Mac in scatola sono nettamente superiori a quelli in busta, ho pensato di dargli una seconda chance nella confezione più nobile. Ma una volta in mio possesso non sono riuscito a vincere la tentazione di usare questo altro Mac Baren come cavia per il procedimento di cottura al forno, spiegato in questo post.

Il Golden Blend, che è un tabacco che detesto, passato al forno era diventato piuttosto buono. Cosa sarebbe successo ad un tabacco che invece mi piaciucchiava?

La risposta è deludente. La cottura al forno ha fatto in modo che il tabacco, una volta aperto abbia qualche elementto olfattivo comune, che credo derivi da una leggera caramelizzazione dello sciroppo d'acero aggiunto a dolcificare. Ma se nel  Golden Blend il tabacco sottostante aveva sviluppato un piacevole aroma di crosta di pane, qui mi è rimasto solo del fieno cotto. Il leggero piacere che il tabacco originale regalava, era probabilmente tutto nello sciroppo d'acero. 

Nel Virginia di questo Mac Baren, purtroppo, non pare esserci un granché da godere, il che mi spiega perché la casa si astenga, devo dire responsabilmente, dal produrne molti altri (mentre scrivo, mi viene alla mente un Virginia flake, che a meno di sussulti scientifici, mi asterrò dal provare).

Mac Baren è e resta regina di una leggera sofisticazione. Tonnellate di tabacco trasformate in qualcosa di fumabile, talvolta anche con un certo gusto, grazie al laboratorio, agli sciroppi, alla miscelazione di decine di foglie nella stessa scatola. Tra le formule più semplici, si salva con il Burley, tabacco da soma senza grandi pretese.

Ma tolti lustrini e magie, dove la qualità del tabacco regna senza trucchi e senza inganni, ovvero nell'Olimpo dei Virginia, rimane solo una povera e misera cosa.

Una specie di Gran Vin de Bourgogne Folonari.  Però con una discreta bottiglia.


Il contenuto si è leggermente scurito dopo l'infornamento, ma non molto.