martedì 29 gennaio 2013

La Venere di Milo

Dunhill LBS Red Bark del 1973. Una grande pipa (e non solo una pipa grande)


Ci sono oggetti che riassumono in sé i canoni della bellezza classica. Dunhill è specializzata in questo tipo di pipe ma alcune Dunhll sono più Dunhill delle altre e questa LBS del 1973, che ho incrociato un giorno da Noli, lo è in modo difficile da eguagliare (almeno secondo me).
La guardo, la uso, e sembra riassumere in sé la quintessenza della pipa. Rossa, con banda argento. Proporzioni perfette, curve misurate e tutte al posto giusto. Unico tratto leggermente eccentrico, il fatto che sia sabbiata anziché liscia in questo colore. E' infatti una Red Bark, finitura che amo, anche perché è stata quella della mia prima Dunhill. E'  un po' più difficile da trovare della altre, perché le Red Bark, chissà perché, non si fanno più.

Ma a parte tutto questo, più che una pipa potrebbe essere "la pipa".

Non c'è molto altro da aggiungere. Un post su una pipa così potrebbe esistere anche senza parole (e in effetti in principio è uscito proprio così).


La banda argento ha il marchio AD. 



Le stampigliature dicono LBS (Large Billiard Slender) del 1973. La LBS è una versione un po' più slanciata della billiard grande e cicciuta che è una delle forme simbolo di Dunhill. Un po' meno comune, è sempre marcata gruppo 4, pur essendo significativamente più grossa di una normale gruppo 4

martedì 22 gennaio 2013

Il coglione



Ci sono due pipe che mio padre voleva sempre vedere, ogni volta che veniva a pranzo a casa mia. Una era la Savinelli "Giubileo d'Oro Occhio di Pernice" shape 101(la chubby billiard , detta anche "Maigret", che era una delle mie forme predilette di qualche anno fa). Trovava che quella fosse la mia pipa più bella.

L'altra era questa, che stava all'estremo opposto dell'apprezzamento estetico. Tanto che, poco affettuosamente, l'aveva soprannominata "il coglione".

E' una raindrop molto massiccia di Julius Vesz, pipemaker fuggito come mio padre dall'Ungheria del 1956, ma approdato a Toronto. Pare che una volta in Canada, Vesz sia in qualche modo incappato in un magazzino (la leggenda dice un garage pieno) di radica ultracentenaria, l'abbia acquistato e su questo straordinario tesoro, abbia deciso di fondare la sua nuova vita nel Nuovo Mondo. Vesz ha il negozio/laboratorio nella galleria di uno dei più lussuosi hotel di Toronto. In Nord America, le sue pipe sono poco meno che mitologiche e questa fu acquistata da un mio amico americano direttamente dalle mani di Julius nel 1976, durante un viaggio al nord. A quei tempi, come riporta la stampigliatura, la pipa veniva venduta alla cifra stratosferica di 600 dollari canadesi. Era un grado 4, altissimo, dei tempi in cui la produzione di Vesz non si era ancora differenziata in "hand made" (radica normale, sbozzata al tornio e finita a mano) e "hand cut" (radica centenaria, fatta a mano dal principio alla fine), com'è oggi. Non ricordo esattamente i termini dello scambio col mio amico americano e tantomeno quello che ho dovuto dare in cambio. E sicuramente è meglio così.

Ad ogni modo, né la storia comune né il valore collezionistico contribuirono a far apprezzare da mio padre la mia Julius Vesz, che anzi diventò il laughing stock della mia rastrelliera. La pipa, in verità, fuma tanto bene quanto può fumare una radica. E' dolce, pulita, analitica. Con un peso di circa un etto e le dimensioni di una palla da tennis, non si può dire che sia una piuma da passeggiata. Ma in poltrona e caricata con una mezza scatola di qualche Virginia, regala bellissimi momenti. E' levigata, calda, setosa: un piacere da tenere in mano. Per averla, c'è voluto uno stipendio quasi intero di un redattore del New York Times.

Eppure niente. Mio padre l'ha distrutta. La guardo, cerco di ricordarmi quanto sia unica e straordinaria. Ma non riesco più a vederci nient'altro che un grosso coglione...





La stampigliatura del tempo prevedeva sia il grado che il prezzo in dollari canadesi.
Credo che l'inflazione seguita alla crisi petrolifera del 1973 abbia poi fatto giustizia di questa pratica. Qui il "400" era già stato ri-stampigliato in "600".


L'anno di produzione: 1976



Due ulteriori angolazioni della pipa

martedì 15 gennaio 2013

McClelland Blackwoods

Lo splendido melange rosso-nerastro del McClelland Blackwoods


I tempi cambiano. Quando iniziai a fumare la pipa a metà degli anni '80, sul nostro territorio era abbastanza agevole acquistare (come sempre, a caro prezzo) alcuni dei migliori blend di latakia del mondo. Per il fumatore di Virginia, invece, erano tempi abbastanza grami. Grami tra virgolette, perché altre a pochi Virginia da battaglia, si potevano ancora avere un paio di prodotti straordinari che rimarrano per sempre nell'Olimpo. Ma i tempi di Gawith e della notevolissima scelta di flakes e di combinazioni di virginia che si possono oggi acquistare da un buon tabaccaio era ancora molto di là da venire.

Eppure, nemmeno oggi, in un tempo in cui ormai si può avere facilmente quasi tutto, è facile trovare uno stoved virginia sul nostro mercato. Lo stoved è quel virginia, appunto, stufato. Un giorno, in un cottage di tronchi di un qualche territorio americano (mi spiace non poter essere più preciso), qualcuno deve avere scoperto che passando il suo tabacco in un padellone di ferro e abbrustolendolo un po' sulla stufa, il risultato era più dolce, meno aggressivo del virginia di partenza. Era una operazione ben più estrema della cottura al forno che fa alzare a qualcuno il sopracciglio. Ma funzionò.
Oggi di Virginia nerastri se ne trovano un bel po', soprattutto in miscela. Ma quasi mai sono stoved e quasi sempre sono cavendish: un procedimento più complesso ma forse più facilmente industrializzabile che oltre a cottura e pressione, prevede anche l'uso di qualche ingrediente catalizzatore di reazioni chimiche misteriose (l'ingrediente potrebbe anche essere, ed è a lungo stato, del semplice rum).
Io dei cavendish non sono molto appassionato, anche perché in quelli attuali si caccia veramente di tutto.  Alcuni Virginia neri cavendizzati sono anche discreti, come il Black Virginia di Rattray's. Ma il vero stoved può essere ancora meglio, e il Blackwoods ne è la prova.
La linea di cui fa parte fu inventata da un distributore americano, Levin Pipes, che fece produrre da McClelland quasi tutti i tabacchi per cui la Casa è rimasta famosa (mentre il povero Levin è caduto nell'oblio). Generosamente, Levin non si deve essere opposto all'uso degli stessi nomi e delle stesse ricette anche dopo la sua dipartita commerciale. Ed è così che ci rimane lo straordinario patrrimonio di blend di virginia e di orientali che ha fatto di McClelland un mito tanto lontano quanto meritevole di essere scoperto.
Tra questi, il Blackwoods virginia stufato e spadellato misto ai ricchi splendidi Virginia rossi a cui il produttore americano sembra avere accesso illimitato. Il risultato di questa mescolanza già splendida a vedersi è una dolcezza scura, morbida, voluttuosa, che si gode con lo stesso splendido senso di colpa di quando ci si infila in bocca una fetta intera di panpepato. Fumare tabacchi come il Black Virginia di Rattray's può dare una prima idea di dove sia situato il piacere dello stoved. In linea di massima, se la cosa non piace, non vale la pena di destinare ad uno stoved parte della misera franchigia consentita al fumatore errante che attraversa il confine svizzero.
Ma se l'idea comincia a stuzzicare, un altro tabacco come il Blackwoods, qui da noi, non si potrà trovare. E secondo me, invece, vale proprio la pena di trovarlo.






Non accontentandosi di essere un tabacco eccentrico il mio Blackwoods viene da una lattina prodotto una quindicina d'anni fa (o forse più) in esclusiva per Levin Pipes, notevole distributore americano che dopo aver creato e fatto produrre alcuni dei più straordinari tabacchi ancora oggi esistenti,  ha cessato di esistere. La Persenal Reserve serie di Mc Clelland, fortunatamente, continua ad esistere a testimonianzia del gusto e della lungimiranza di Mr. Levin.





martedì 8 gennaio 2013

Restaurare una pipa



Come spiegato in altro post, ero da tempo a caccia di una Kriswill Bernadotte di uno shape simile a questo:





Da quando mi ci sono messo ne ho incrociata qualcuna, ma per una ragione o per l'altra, troppo cara, troppo nuova (spesso le due cose vanno insieme), troppo difficile (venditori che non spediscono in Italia), non avevo ancora trovato quella giusta. Alla fine dell'estate l'occasione si è presentata in Germania e le due cose che mi hanno interessato sono state che la pipa non era proprio una replica identica di quella che, comunque, avevo già. Bocchino un po' più dritto, finitura liscia anziché sabbiata, probabilmente qualche anno di meno. Con 41 euro e una spedizione continentale, la cosa si poteva fare.
La pipa era in condizioni più che discrete, con tutte le marcature al loro posto, l'ebanite solo leggermente ingiallita. Ma anche con un paio di segni che mi disturbavano un po', come se fosse caduta. Non essendo un oggetto particolarmente prezioso, l'ho usata come cavia per esercitare le mie scarse abilità di restauratore.



La pipa si presentava così:


Discreto l'aspetto generale. 

Bocchino integro ma sporco e un po' ingiallito, che mi ha fatto risparmiare una trentina di euro.


Segni di maltrattamento, più che di di uso intensivo

Fornello un po' incrostato ma nemmeno troppo, easy.  

Nomenclatura: a posto.  

Prima fase: il bocchino:

Il bocchino smontato rivelava un inner tube. E' il genere di inserto che stacco subito e getto via "con esecrazione" (cit. Peppe Ramazzotti) dalle mie pipe. Fortunatamente non per tutti è così e questo garantisce la preservazione di un cannello ragionevolmente inodore anche se il proprietario è uno sporcaccione, il che evita brutte avventure di disinfestazione come quelle che mi è capitata con questa pipa
Era un'invenzione comoda finché gli scovolini non esistevano. Ora che esistono, è sufficiente usarli.

Il primo passaggio lo faccio sempre con alcool, sfrego il bocchino all'esterno togliendo già il grosso dell'ingiallimento e con scovolino ruvido curo bene l'interno, finché tutte le tracce di catrame se ne sono andate. Lo stesso faccio nel cannello, che normalmente è sempre più rognoso (ma non quando il precedente proprietario usava l'inner tube!).
Sempre con alcool e una pezzuola tolgo le incrostazioni di catrame dal rim. In questo caso la pipa è una naturale chiara e si può agire senza eccessiva prudenza. Con pipe colorate bisogna fare molta attenzione perché l'alcool attacca e squaglia la finitura della pipa.


Il bocchino va in una soluzione di acqua e bicarbonato, che porta in superficie lo zolfo (l'ingiallimento del bocchino), lo scioglie e facilita la sua rimozione. In questo caso ho immerso il bocchino con inner tube inserito, contando sull'effetto emolliente dell'acqua prima di strappare definitivamente il tubetto, che appariva incollato dal catrame in modo piuttosto robusto.
Io uso bicarbonato, che è dolce e innocuo. Un grande riparatore mi ha consigliato la soda caustica molto diluita. Attenzione in questo caso a sciacquare bene e al fatto che sia davvero diluita, se non si vuole vedere sparire anche il bocchino, insieme allo zolfo che lo ricopre...
In ogni caso il bagnetto dura circa 12 ore.

Dopo il bagnetto non resta che usare la ruota abrasiva (con attenzione) oppure (come io preferisco sia per pigrizia, visto che lavoro in appartamento e non in un garage), un po' di carta abrasiva sottolissima 1000 o 1200. Si lavora su bocchino bagnato, il che consente di portare via lo zolfo con facilità, senza consumare eccessivamente l'ebanite sana. Lavorando su bocchino asciutto, l'usura è molto maggiore e si ottengono i deprecabili risultati di troppe pipe restaurate "professionalmente".
Non avendo tre mani, non ho fatto foto di me che carteggio.

Fase due: la testa:

Oltre che un po' massacrata di lato, la testa presentava una bruciatura sul bordo superiore, una cosa che odio.

Dettaglio della bruciatura. Non è drammatica ma abbassare la testa fino al punto di eliminarla mi sembrava eccessivo. Ho optato per la via mediana: un leggerissimo impercettibile abbassamento, e un colpetto di carta sul rimanente della bruciatura.

La prima operazione importante, nel caso di pipe naturali (non colorate) è sempre una bella pulizia con spazzolino e sapone di marsiglia. E' una operazione molto soft, che restituisce alla pipa una sorprendente freschezza, eliminando strati di sporco a volte insospettabili e restituendo un colore molto vicino a quello della pipa nuova.  Molti sostenono che la radica non vada mai toccata dall'acqua. Io penso sia una sciocchezza: ho cominciato a farlo con le Savinelli corallo, che si sporcano in modo indicibile. E pur essendo porose non hanno mai minimamente sofferto. Oggi quando serve lo faccio con tutte e praticamente sempre con una pipa che sto restaurando, a meno che sia quasi infumata. Con le pipe colorate bisogna stare molto più attenti perché possono perdere colore. Il colore è un caso difficileda trattare in generale e delle volte occorre scegliere se tenere la pipa un po' danneggiata ma originale oppure gettare il cuore oltre l'ostacolo anche a costo di perdere un po' di originalità. Con sabbiate e rusticate i passaggi successivi sono comunque impossibili e si va direttamente alla lucidatura, una volta che la pipa è ben asciutta.


Abbassamento per eliminare la piccola bruciatura: si appoggia la carta (molto sottile) su un piano e dolcemente si sfrega la pipa, solo così si conservano i bordi taglienti del fornello.

Questa è una operazione che si può fare con facilità solo su pipe naturali. Con pipe colorate occorrerebbe ritrovare nel pezzo "corretto" una improbabile tinta originale, oppure ritingere tutta la pipa, una orrida operazione anti-filologica che mi fa preferire di gran lunga le leggere bruciature quando ci sono. Siccome so che a un venditore professionale la tentazione di eliminare le bruciature viene, osservo sempre con grande attenzione le pipe usate che mi sembrano troppo belle e tendo a preferire l'acquisto di pipe malconce che mi devo sistemare io, piuttosto che sborsare cifre maggiorate per vecchie pipe sistematissime e lucidissime, che hanno perso quasi ogni traccia delle loro sembianze originali.

Va detto che anche le pipe naturali quasi sempre hanno una leggera tintura. Sul rim la correzione successiva si può trascurare: ci penserà l'uso a scurire di nuovo il tutto. In questo caso invece ho fatto una cosa che non faccio quasi mai: scartavetrare con attenzione anche i fianchi della pipa per eliminare i segnetti che si vedono sopra. Erano più sporco che altro, ma facendolo ho comunque riportato la radica al vivo creando una chiazza chiara, come prevedevo. 

Non essendo un grande artigiano, correggerla è stata per me una operazione di un certo impegno, che ho realizzato con un pennellino, del vino e del caffé. La radica assorbe poco e quindi poco a poco, talvolta mettendo il caffé in modo localizzato, talvolta spennellando tutta la testa per non creare bordi e aloni ho sistemato il colore perfettamente. Era una correzione molto leggera. Con una pipa chiara ma solo leggermente più colorata non mi sarei assolutamente arrischiato.


Pulito il cannello, il bocchino, eliminata la bruciatura e il segno di caduta, si può lucidare il bocchino con Sidol o con una pezzuola umida tamponata nella cenere, o col dentifricio, a seconda dei gusti. La testa se è liscia si può lucidare con carnauba (io lo evito) oppure semplicemente col panno siliconato (ne ho comprato uno Dunhill vent'anni fa e fa ancora il suo lavoro).

Il risultato della mia piccola operazione di resturo è stato ai miei occhi pienamente soddisfacente. Aggiungo che la pipa fuma benissimo ed è leggera come una piuma. E' una di quelle che tengo più frequentemente alla mano, anche perché una pipa restaurata va un po' fumata per riacquisire la patina che fatalmente un po' si perde.





La mia Kriswill, nelle sua attuali condizioni d'uso.





martedì 1 gennaio 2013

Bosun cut plug


Bosun Cut Plug, un robusto broken flake contente un 30% di foglia Fire cured e un robusto scent di Kendal, con chiodi di garofano e geranio.

Il Bosun cut plug è uno di quei tabacchi che a lungo mi sono risultati incomprensibili e infumabili. Faceva parte del sampler Gawith & Hoggarth che acquistai da Synjeco ai tempi in cui cominciò l'importazione di questa marca, che supponevo simile alla cugina Samuel Gawith. Non lo era, e la mezza busta di Bosun che fumai con sofferenza fu una delle maggiori responsabili del confino di tutta la scatola ad uno dei recessi più oscuri del mio magazzino di tabacchi, dove è rimasta dimenticata, con nota di demerito. Come molti tabacchi della casa, il Bosun è un violento virginia rafforzato da una robusta percentuale di "fire cured leaf", che suppongo essere burley o virginia. In ogni caso un pugno nello stomaco per il delicato fumatore di virginia chiari e di mixtures mild che ero una dozzina d'anni fa.  Quasi a voler aggiungere scherno allo scorno, nel Bosun è presenta anche una robusta aromatizzazione fiorita (anche se di fiori alquanto massicci, come il geranio).
Penso che i dodici anni abbondanti di attesa abbiano un po' dissolto i profumi aggiuntivi, sia quello tipico di Kendal (il celebre "Kendal Scent" che firma in modo inconfondibile tutta la produzione di Gawith & Hoggart) che i fiori e il garofano. Forse la forza si è un po' arrotondata. Soprattutto devo essermi arrotondato e irrobustito io. Ad ogni modo, il terribile Bosun è stato una delle soprese di quest'estate. La mezza busta superstite me la sono fumata con gusto sotto l'ombrellone alternando le pipette da flake che mi ero portato supponendo di fumarci cose ben più delicate. 
Forse è stata la brezza di mare a domarlo, facendogli ritrovare note salmastre familiari a un tabacco che immagino concepito anche per una rude utenza marinara. Forse no. Ad ogni modo il Bosun Cut Plug è un tabacco che potrebbe piacere a chiama Condor, St. Bruno e simili. Ovvero quei tabacchi ruvidi e popolari, ma che si sforzano di apparire gentili. E che lo sono davvero, quando si fumano con lo spirito e l'attitudine giusta.


La busta, con l'errata nomenclatura, risale a un tempo in cui il fabbricante era ancora un nuovo arrivato in terra elvetica.