venerdì 25 ottobre 2013

Non per soldi ma per denaro




"Non ha senso comprare una Dunhill solo perché costa poco", mi è capitato di scrivere altrove.

L'idea non è certo sbagliata. Ma credo che un po' tutti abbiamo scoperto che non sempre si è capaci di vivere all'altezza dei propri saldi principi. Io in ogni caso ci sono riuscito di rado.
Tra le mie molte debolezze c'è quella di incollare molto spesso il naso ad ebay. Da quando nello scorso millennio, dopo diverse peripezie, vinsi la mia prima asta (incoscientemente, una amber root gr 5 senza foto) ho continuato a godere del brivido di incappare nell'inaspettato, nella pipa introvabile. O quantomeno in una di quelle occasioni a cui non si può proprio dire no.
A volte succede che un venditore dimentichi di indicare qualche parametro essenziale, che sbagli la grafia, che posti nella categoria sbagliata. O semplicemente che tutti i lucci famelici del mondo si siano addormentati insieme, lasciando sguazzare fin quasi alla salvezza la tenera paperella.
Non c'è cosa più bella che alzarsi da soli all'ippodromo per gioire, unici in tutta la tribuna, dell'ultimo metro di un cavallo improbabile e assurdo, che taglia il traguardo per primo. Non c'è cosa più bella che emergere all'ultimo secondo di un'asta, colpendo con esattezza premeditata, là dove un mondo incompetente, distratto o sonnacchioso, per una volta si è dimenticato di guardare.
Certo, la ricerca di questo tipo di gratificazioni può rivelarsi una dipendenza costosa. Di solito ci sono solide ragioni che spingono un cavallo verso gli inferi del 30/1. O lasciano una pipa inosservata, senza puntate, a un quarto del suo valore (teorico). Il mondo, si sa, non è sicuramente fatto di geni. Ma è molto pericoloso affidarsi alla sicurezza che tutti gli altri siano completamente imbecilli.

Però, con circospezione, cercando di bilanciare l'entusiasmo con un po' di scetticismo, ogni tanto anch'io ho comprato una Dunhill solo perché costava poco. Una è questa.

Se non fosse stato per il prezzo io questa Dunhill del 1962 ispirata alle danesine dell'epoca, non credo l'avrei mai considerata. Una Dunhill è una Dunhill. Non mi sono mai troppo interessato alle loro incursioni nel freehand (che trovo in genere poco riuscite). Meno lontana, ma non certo vicino al cuore, è sempre stata l'interpretazione Dunhill di quel tipo di design che mi piace molto quando ha il giusto pedigree (la pipa industriale danese severa e razionalista degli anni '60), ma che col puntino bianco mi è sempre parso c'entrasse poco. In questo caso comunque il vento di Danimarca deve aver soffiato in modo particolarmente lieve, appiattendo il cannello in un ovale, che si restringe dinamicamente dalla testa al dente. Modernista ma senza velleità rivoluzionarie. Non proprio la mia cosa, ma nemmeno una pipa che si potesse ignorare, a metà del prezzo a cui di solito passa una gruppo 4. E così, facendomi per una volta luccio, ho messo la rossa paperella nellla lista delle prede.

La povera Bruyere, acquistata solo per convenienza, per un bel po' di tempo ha dovuto scontare la sua origine poco nobile. Pur priva di qualunque difetto, non l'avevo bramata. Non l'avevo ammirata. Non ci avevo pensato più e più volte, chiedendomi se fosse davvero il caso di investire di nuovo in una pipa. Non era frutto del travaglio interiore. Era solo stata acquisita per freddo calcolo e così si è trovata, senza colpa alcuna, ai margini della rastrelliera. Talmente poco considerata che le affidai un compito pericoloso e poco ambito: quello di pipa da trasferta. Una di quelle che possono cadere, essere dimenticate in un albergo, perdersi per sempre in una valigia alla deriva tra i nastri trasportatori di aeroporti ignoti. Pipe che bruciano tabacchi un po' di risulta, che si portano appresso anche perché non si ha più voglia di fumarli a casa. Pipe che però, con la loro operosa efficienza in compiti sgraditi alle loro colleghe più affermate, talvolta trovano il modo di riscattarsi.

Ci pensavo proprio stamattina, venendo in ufficio, in una mattina piacevole. Fumavo Embarcadero di Gregory Pease, godendomi il clima mite e le ultime risonanze del latakia provenienti dalla pipa, sotto la spessa struttura di virginia e orientali di questo notevole tabacco. L'avevo scelta proprio per questo. Una pipa ancora fresca di latakia per un virginia un po' arricchito che comincio a conoscere bene. E' una contaminazione che delle volte può essere piacevolissima, ma riesce bene solo nelle pipe con cui si ha maggiore confidenza. E questa è una pipa leggera, che col suo bocchino razionalista risulta particolarmente adatta ad accomodarsi in bocca. Buona, come una buona Dunhill può essere.

L'ho scelta solo per denaro. Eppure, un giorno, quasi senza che me ne accorgessi, deve essere scattato l'amore.



La mia Dunhill Bruyere 104 del 1962. Mentre il design nordico impazzava e la pipa danese viveva la sua fase di boom modernistico e austero, Dunhill si faceva anche un po' scandinava con modelli così.

mercoledì 9 ottobre 2013

Da dove inizio?

Andre Kertesz - la pipa di Mondrian, 1926


Questo potrebbe essere il post più inutile mai scritto. E' dedicato a un problema  teorico-pratico sul quale ogni fumatore di pipa ritiene di avere risposte infallibili. Ma  è un problema che chi legge queste righe ha con ogni probabilità già affrontato, scoprendo a sue spese quanto l'infallibilità della teoria sia fragile, di fronte al duro impatto della pratica.
La questione annosa è: "qual è il primo tabacco che dovrei fumare? Qual è il tabacco più adatto per un principiante? Mi consigli qualcosa di non troppo difficile, ma buono?"

Sarebbe sempre bene sapere qualcosa del campo in cui ci si muove, prima di chiedere consigli. E per un primo inquadramento, veramente preliminare, della materia, rimando a questo post. Resta il fatto che l'urgenza di provare quasi sempre precede il desiderio di sapere. E per questi casi occorre una risposta breve, che si sforzi di semplificare la questione invece di complicarla. 

La risposta in versione abbreviata, per me, è: Rattray's Red Rapparee.

E' una risposta non ortodossa, che nasce da una convinzione che ho maturato in qualche anno di attività sui forum, vedendo ciò che viene proposto e i suoi risultati statistici. Fondamentalmente, i fumatori che si ritengono esperti, ritengono anche che chiunque debba ripetere il loro percorso, incluse le sofferenze che sono state inflitte a loro quando altri esperti più vecchi di loro, anziché consigliare qualcosa di buono, hanno consigliato (con una ideale pacca sulla spalla) qualcosa di "buono per iniziare".  Purtroppo, la caratteristica che unisce un po' tutti i tabacchi "buoni per iniziare" è quella di essere piuttosto cattivi. Si va dalle miscele aromatizzate che il consigliere generalmente non ama (ma ritiene buone per il malcapitato novizio) ai tabacchi "neutri" come l'amphora marrone o l'allegro che, con la scusa di non offrire emozioni troppo estreme, finiscono per non offrirne nessuna (perlomeno a colui il quale, alle prime laboriose accensioni, avrà tutto il diritto  di chiedersi se valga la pena impegnarsi in quel modo per una ricompensa organolettica così modesta).

Chi comincia con la pipa non ha abitudini. Non fuma cinque volte al giorno. Non ha bisogno di un rifugio sereno, meglio se un po' noioso. Ha bisogno di emozione. Ha bisogno di un tabacco che sappia di qualcosa e che restituisca, in cambio della fatica, un po' di divertimento. Un "buon"aromatizzato potrebbe anche essere un'idea, per chi ama il genere-caramella. Sfortunatamente l'aromatizzato è pressato, intriso di sughi e di zuccheri estranei e a dispetto del suo profumo invitante da crudo è un tabacco difficile, che offre quello che promette solo a chi è in grado di fumarlo con una certa abilità. Diversamente, non brucia, non dà aroma, ustiona la lingua, crea tappi caramellati che rischiano di respingere per sempre  l'incauto novizio nel limbo dei non fumatori (o peggio).

Anche le English Mixture al latakia sanno di qualcosa. Sono il centro del mondo dei tabacchi da pipa "seri". Sono ricche, complesse. In sostanza, quando sono buone, sono veramente buone. Chiunque sia interessato a fumare nella pipa prima o poi ne proverà, delle volte (spesso) le amerà, talvolta finira altrove, perlopiù nel mondo dei cosiddetti "naturali". Eppure nessuno le consiglia mai a chi inizia perché si teme il loro effetto repulsivo. O semplicemente perché a quasi tutti è stato insegnato che il latakia e il suo penetrante profumo di affumicato sono un punto di arrivo. Prima si soffre, poi finalmente si arriva alla meta.

Ecco, io la penso diversamente. La English mixture non solo è buona ma è un tabacco relativamente "facile". Brucia la bocca molto meno dei tabacchi dolcificati. Il latakia e gli altri orientali agiscono da calmieratore della furia incendiaria del virginia. Una buona EM perdona anche qualche eccesso di riscaldamento. Domato l'incendio, la mixture torna a sapere di buono (mentre una pipa aromatizzata è rovinata una volta scaldata, da buttare). E poi è interessante. O almeno molti trovano che lo sia. Non necessariamente ti piace. Ma ti ricompensa comunque degli sforzi che stai facendo per dominare la dannata pipa. 
Perché soffrire? Perché infliggere a chi già deve combattere con i primi limiti tecnici tabacchi impossibili? Io non l'ho mai capito. E tranne rarissime ecccezioni ho sempre visto che chi comincia da una buona mixture raramente molla la pipa annoiato. Al massimo, se il latakia non è la sua cosa, passerà ad altro. E il Red Rapparee è buono, è una eccellente mixture media, né troppo latakiosa né troppo poco, fatta con ingredienti di qualità, adattissima a rappresentare il suo genere di riferimento.

Siamo davvero condannati a ripetere all'infinito gli stessi errori e ad infliggerli a chi viene dopo di noi? Forse no. Forse nella pipa e nel suo fumo capriccioso si può trovare anche una scintilla ribelle. 

Se stai cominciando con la pipa, vale la pena di farlo. Per me.