giovedì 27 settembre 2012

A volte la tortura funziona


La Peterson Green Spigot che sto torturando sperando di farne una pipa.
Era disgustosa con la miscela di toscano e virginia che sto usando ultimamente per i rodaggi (e non solo). Quindi ho deciso di bruciarci dentro un tabacco dolciastro che mi preoccupava dover prima o poi fumare, dopo averlo comprato vai a sapere perché. I difetti dei due per ora si stanno controbilanciando: riesco a sopportare entrambi.



Uno dei problemi che un fumatore di pipa sensato non dovrebbe mai avere è l'accumularsi di una piccola (o grande) batteria di pipe dalle qualità ancora incerte, mezze rodate, mezze no, assaggiate, posate, riassaggiate dopo qualche tempo, affiancate  da nuovi acquisti e rimaste in un limbo in cui non si è né una delle pipe "maledette", che a tutti prima o poi capiterà di possedere, né una compagna fidata, abituale.
Col tempo mi è diventato sempre più chiaro che io, purtroppo, non sono un fumatore sensato. Benché in punto di principio abbia un'idea esatta di quanto dovrebbe essere espansa la mia rastrelliera per rispondere ai miei canoni, quelli secondo cui è bello possedere pipe con le quali si è in grado di avere confidenza intima e ricordi comuni, non sono assolutamente in grado di essere all'altezza delle mie convinzioni. Ogni tanto mi piace comprare una pipa e sono ormai arrivato al punto in cui, a meno di incrementare in modo esponenziale la quantità di tabacco che sono in grado di bruciare, non sarò mai più in grado di avere con tutte le mie pipe quella frequentazione abituale che impedisce di lasciare a metà un rodaggio. Ci sono diverse ragioni che possono spiegare questo comportamento di ben scarsa gentlemanship. Ma il fatto è che una pipa poco fumata non diventerà mai una grande pipa, e se non lo diventa, affrontando la dura concorrenza di consorelle più navigate e soddisfacenti, rimarrà una pipa poco fumata, in una spirale di insoddisfazione reciproca che rischia di degenerare e che quindi è assolutamente meglio evitare.
Della presenza di questa piccola ma crescente legione di pipe insoddisfatte della mia cooperazione, ho cominciato a prendere coscienza ultimamente, ragion per cui ho deciso di trovare un rimedio radicale: la coabitazione forzata fino agli estremi della tortura. Si tratta di scegliere una pipa, portarsela in giro dalla mattina alla sera e fumarla una, due, tre, quattro volte al giorno, avendo solo cura di tenerla sempre ben pulita. Fumarla e rifumarla agli estremi limiti della sopportazione reciproca, fino al momento in cui uno dei due cede di schianto. Normalmente, è la pipa che dopo aver opposto crescente resistenza improvvisamente si "apre" e comincia a cantare. A quel punto si può rallentare il ritmo, posarla sulla rastrelliera e dargli un altro paio di fumate ad intervalli di un giorno o due, prima di concederle il meritato riposo, dopo il quale la sua capacità di richiamo sarà considerevolmente aumentata.
Non so bene quali siano i fenomeni fisici che permettono di arrivare in una settimana laddove anni di fumatine intermittenti non riuscerebbero a portare, fatto sta che succede e quindi ci ho lavorato un po' di immaginazione. Penso che le cattive prestazioni di una pipa siano dovute essenzialmente a una eccessiva quantità di resine o linfe disseccate che rendono la radica "immatura", oppure alla presenza di qualche vernice o colorante  che contamina il legno. Anche in una buona pipa, quantità infinitesimali e fisiologiche delle due componenti devono essere distrutte nel corso delle prime fumate, prima che la pipa cominci ad essere realmente buona. Fumare ininterrottamente, forzando calore, umidità, residui di combustione tra le fibre rappresenta forse una variante o un prolungamento delle cure col calore (e talvolta con componenti come l'olio) usate dai fabbricanti per far maturare le proprie radiche. Succederebbe comunque, ma la tortura funziona di più. E' un fatto che mi sento di passare come tale.
Giorno dopo giorno, mentre procedo, annuso sempre l'esterno del fornello mentre fumo, e lo sento sprigionare le cose più strane. A volte un acido nicotinico, a volte qualche traccia dell'aroma di un tabacco che ho fumato cinque giorni fa, a volte odori strani di vernice imprigionati nella radica e che il calore e la dilatazione hanno permesso di liberare.
E' una strada impervia. Ma porta dove si vuole arrivare.
Impegnarsi un po' per rendere la propria nuova pipa una buona pipa, è il minimo che le si deve, dopo averla prelevata dal suo confortevole riposo, sulla scaffale di un negozio. Ed è uno sforzo il più delle volte ricambiato.

Attenzione:
Mi è stato fatto giustamente notare che la tortura è una pratica rischiosa, se a condurla è un fumature non ancora completamente padrone della tecnica necessaria per fumare senza pericoli per la propria lingua. Prolungate sessioni con una pipa sempre più umida e un tabacco sbagliato possono portare alla cottura delle mucose di tutto il cavo orale.
Se la lingua comincia a pizzicare, anche il fumatore più stagionato farà meglio a lasciar perdere e a lasciare momentaneamente partita vinta alla sua pipa riottosa. Nessun problema: prima o poi ci sarà la rivincita. Come tabacco, meglio scegliere quelli asciutti, sobri, poco aromatici: Trinciato Comune, Toscano Garibaldi puro o in miscela sono l'ideale. Con le miscele al latakia ci andrei piano, a questo livello di ossessione possono disgustare. Il Black Ambrosia della foto (che ho adottato per disperazione in questa occasione) è una scelta spericolata. Ma ancora peggio sono i tabacchi che oltre che dolci sono pesantemente aromatizzati. In aggiunta al rischio di nausearsi c'è quello di appestare la pipa, invece che salvarla.

domenica 23 settembre 2012

Le Savinelli di Achille (e di mio padre)

Il desiderio di apprezzare una bella pipa fa parte del mio lessico familiare. Per anni, andando a chiacchierare nello studio di mio padre, mi è capitato anche di parlare di pipe, per sentire cosa pensava lui di ciò che era bello o no. Perché una forma era ben disegnata e perché un'altra mancava di grazia. Ancora prima, quando ogni tabaccaio decente aveva la sua piccola o grande esposizione di pipe, qualsiasi passeggiata per qualsiasi città italiana era un pellegrinaggio con numerose fermate, una per vetrina. Ognuna delle quali studiata e commentata. 

Se c'è una cosa che ho capito è che cosa a mio padre piaceva in una pipa.

Non amava le Autograph, né le freehand in genere. Gli piacevano invece le pipe classiche ma con un twist personale e vagamente modernistico. I suoi primi acquisti giovanili erano state danesi proprio di questo tipo, ad esempio la Kriswill che ha quasi consumato. Ma col tempo, a parte le sue preziose (e quindi poche) Dunhill, era diventato un appassionato del design Savinelli. E specificamente di quelle forme che Achille Jr. aveva creato combinando shape immortali con cannelli leggermente angolati, sottili e geometrici: schiacciati, ovali, triangolari o persino di forma curiosissima (un ovale sopra e sotto con due brevi lati a fianco) come nella 816 KS. La Punto Oro era il suo punto di riferimento, la Giubileo un lusso raro quasi proibito, la Silver (specialmente sabbiata) una bella pipa dall'eccellente rapporto qualità prezzo. Non aveva nulla al di sotto (l'unica "extra" l'aveva regalata a me, da usare se mai mi fosse successo di capitare a casa senza pipa). Non ha avuto per molti anni nessuna altra pipa italiana. Per lui il design era tutto e non c'era nulla che gli piacesse come le Savinelli che gli piacevano di più.

Oggi quasi tutte le forme più personali di Savinelli sono cadute dal catalogo a causa del mai abbastanza deprecato filtro, ormai presente su tutte le pipe. La sua presenza intrusiva e inutile obbliga a cannelli di sezione importante e uccide la creatività del designer. Quando mi fermo di fronte alla vetrina di Via Orefici, vedo ben poche pipe che sarebbero piaciute anche a mio padre. Le forme si sono intozzite e omologate e le più strambe verette (che mio padre aborriva) sono arrivate persino a contaminare le serie alte con il loro cattivo gusto (orribile, ad esempio, la Onda).

C'è ancora la 101. La robusta "maigret" che io acquistai in Giubileo e che lui ha sempre trovato fosse la mia pipa più bella. Ma delle sue Savinelli, alcune delle quali ho fotografato oggi prendendole dalla rastrelliera dove stanno ancora, credo non sia rimasto praticamente nulla.

Peccato. Io non cesserò di sperare che Savinelli si ravveda. Ma finché non lo farà non ne acquisterò più una.



 
Savinelli Punto Oro 811 KS, cannello ovale schiacciato, con spigolo e mezza sella. Deliziosa.

Savinelli Punto Oro Sabbiata 811 KS, la stessa forma in finitura sabbiata


Savinelli Punto Oro 123. Una pot con cannello triangolare.

Savinelli Silver Sabbiata 130 KS, chimney con cannello ovale "a spigolo"

Savinelli Punto Oro 816 KS, una billiard che definirei "deco". Il cannello è vagamente rettangolare, la parte superiore e inferiore sono bombate e le due faccette laterali piatte.


Savinelli Punto Oro Sabbiata 413 KS, una bent dublin / zulu di dimensioni importanti e canello ovale. Non l'ho ancora ripulita.