martedì 10 ottobre 2017

Elogio dell'imperfezione


La Dunhill 4124 di mio padre. La pipa sbilenca e caratteriale che mi fece innamorare delle square panel.










-

"Per essere perfetta le mancava solo un difetto".

Quando ancora collezionavo su un quadernetto grandi massime che per la loro struttura o per la loro intrinseca verità avrebbero dovuto ispirarmi nel mio lavoro di titolista, questa frase (di Karl Kraus) la piazzai al posto d'onore. O quantomeno la scrissi abbastanza calcata da restare incisa nella memoria anche ora che il quadernetto è da lungo tempo perduto.
E' bella nella sua struttura ma soprattutto contiene una grande verità, perlomeno una verità che è vera per me. Benché la ricerca della perfezione sia doverosa, la cialtronaggine irritante, nulla che vale si ottenga senza fatica, senza desiderio, senza cercare ossessivamente di migliorarsi, la perfezione è qualcosa di profondamente diverso dall'assenza di difetti formali. Non la puoi verificare con un compasso o con un computer. E se la prova strumentale riesce, se tutto è a posto, centrato, misurato, perfetto, è quasi certo che quello che hai davanti è qualcosa che non parla, non canta, non dice niente. Un assolo perfetto. Un quadro perfetto. Una donna perfetta. Ogni cosa, ogni nota, ogni pennellata, ogni dettaglio, proporzione, angolo al suo posto. Difficile immaginare qualcosa di più misero e di più mediocre di una "perfezione" così.
Tutto questo non l'avevo ancora messo bene a fuoco quando mio padre un giorno tornò da Noli portandosi questa panel. La prima panel che avessi mai visto. Una pipa quadrata. Mi ricordava alcune storie a fumetti ambientate in un mondo quadrato, con uova quadrate, teste quadrate. Io ero un ragazzo, la pipa non la fumavo. Ma mio padre mi parlava spesso di pipe. Mi mostrava le forme, mi spiegava perché alcune erano belle e altre no. Perché amava le Dunhill, che non avevano il bocchino orribile che lui definiva "ciucciato" tipico delle Savinelli (che pure per il resto apprezzava. Pensava che spesso fossero disegnate anche meglio). Le Dunhill avevano questo bocchino dritto, tirato. Non erano sempre e necessariamente più belle ma la loro superiorità era evidente. Costavano anche in modo irragionevole e per questo se ne permetteva poche. E poi aveva questa idea che qualcosa di raro, di prezioso, di assoluto, non andasse inflazionato. Di pipe non ne aveva tante quante ne guardava e di Dunhill tanto meno. Non ne comprava in modo compulsivo come fanno molti di noi e io per primo. Non le ordinava online e non solo perché i computer erano di là da venire. Non si metteva in casa cose che gli piacessero a metà, per un quarto, per un dettaglio, come curiosità. Quando sceglieva una pipa pensava e ripensava,  la rigirava in mano all'infinito, tornava a vederla, soppesava il suo grado di affinità, nel dubbio non la comprava. Si tratteneva credo apposta con una temperanza zen che aveva per alcune cose sì e per altre no. Per le pipe, sì. Perché alle pipe ci teneva molto.
Così un giorno tornò a casa trionfante con questa pipa. Le Dunhill che aveva erano dei mezzi cimeli, me le mostrava con orgoglio ma erano parte di un mondo in cui io ancora non esistevo, o stavo in un passeggino e avevo tutt'altri interessi. Questa era una Dunhill nuova, o meglio seminuova, presa da Noli d'occasione ma quasi infumata. Una pipa che l'aveva catturato, che gli aveva fatto fare dopo molto tempo questa follia. Non aveva mille panel. Ne aveva una sola, questa. Una cosa che amava di questa pipa quadrata era la sua personalità. Mi faceva vedere il fianco sinistro dove la sabbiatura si era mangiata un po' una faccia. Diceva che sembrava modellata con una ditata. Era un misto eccitante di perfezione e di imperfezione. Un bocchino geometrico, con angoli taglienti, tirato con precisione ossessiva, completava una testa dove non c'era una linea che fosse davvero parallela all'altra. Guardava la sua pipa e ci vedeva una potente scultura cubista, una pipa che avrebbe potuto fare Braque.
Quella pipa ipnotizzava anche me e la sua ossessione sarebbe nel tempo diventata la mia ossessione per le panel. La sera quando la fumava la guardavo e le sue linee vagamente scalene chiamavano il mio sguardo attirandolo in un gorgo. Più tardi, quando la pipa più o meno di nascosto cominciai a fumarla pure io, mi capitò anche di aspettare che se ne andasse a letto, dopo il film, per caricarmela e tirare qualche boccata, con il suo tabacco. Io avevo le mie pipette mediocri. Ma quella era la Dunhill. E col terrore che mio padre riapparisse improvvisamente dalla porta del salotto, godetti insieme a lei più di un momento di piacere clandestino.
Se avessi una pipa che mi rappresenta, se dovessi avere soltanto uno shape, quella forma sarebbe certamente la panel. E non c'è nessun dubbio che questa monomania sia nata in me ammirando all'infinito quella pipa.
Ho cercato di ricomprarmela mille volte senza riuscirci mai. Ho comprato panel di Dunhill e di altri in quantità, alcune belle, altre bellissime. Ma nessuna come questa, e non credo che il suo fascino sia solo nel fatto che era la panel di mio padre. 
A forza di guardare e spesso comprare panel ho imparato almeno una cosa, che è valida per tutte le pipe ma lo è particolarmente per questo shape, che attira verso il disastro il pipemaker privo di talento. Anzitutto la sua perfezione ideale è del tutto indefinibile. Gli angoli "giusti" non sono quelli che ti aspetteresti. Se la metti davvero in squadra e fai una testa perfettamente a 90 gradi, se prendi le misure di una panel bellissima e tenti di riprodurle uguali uguali, qualcosa ti sfuggirà sempre. Ci sono tanti modi di fare una panel fascinosa. Un po' più grande, un po' più piccola, un po' più slanciata o un po' più maschia e muscolata. Alta giusta o tendente alla pot. Entro certi limiti le idee valide possono essere molte. Ma per farla deve esserci un tagliatore di radica che di personalità abbia la sua. Può essere Gilli, può essere Bill Taylor, può essere Les Wood o un italiano emergente tra i pochi che stimo (e non tutti quelli che stimo sanno fare una bella panel). Insomma, per fare una bella quadrata ci vuole un artigiano con le palle.
Ci vuole perché la perfezione perfetta è terribilmente noiosa e per fare una panel occorre un uomo libero dall'ansia di trovare conferme. Capace di uscire da quella prigione quadrata e fare qualcosa di più, e non di meno di una forma geometricamente perfetta. La scelta della finitura può aiutare un po'. La superficie ideale della panel, secondo me, è quella sabbiata. La sabbiatura di per sé introduce quel pizzico di imponderabile, quella tensione tra quadratura e irrazionale che può soffiare l'anima dentro un oggetto. Si mangia un po' un angolo, scava col suo ditone una faccia liscia.
Penso che il ditone che scavò la panel di mio padre sia stato quello di dio, o meglio quello di Bill Taylor, che parlando di pipe è un po' la stessa cosa. Quando la sua panel uscì dalla fabbrica di Dunhill, Taylor lavorava ancora in prima linea e non credo che nessun altro avrebbe potuto fare e ancora di più autorizzare e marcare come Dunhill, a prezzo di lusso, una pipa che davvero ha ben poco di formalmente perfetto. Guardando la pipa con gli occhi dell'uggioso acquirente da internet di oggi, che apre il suo pacco con il terrore di essere stato gabbato, o del mediocre artigianello con riga, cad e compasso, c'è da restare allucinati. Negli angoli delle quattro facce della testa non se ne trova uno uguale. Il cannello è più rastremato da un lato che dall'altro, e nessun delle due linee è dritta (non solo per colpa della sabbiatura). La faccia superiore del cannello pende un po' da una parte in una sezione che non ha nulla di perfettamente quadrato. La testa in confronto all'insieme bocchino/cannello tende anche impercettibilmente al piccolo.
Nulla di tutto questo è stato chiaramente voluto. E' uscito così, dalla lima di un uomo per cui la forma e la radica non erano nemici, fonti di ansia, pieni di trappole e di pericoli da disinnescare, ma erano un mezzo di espressione, a cui dare forma senza paura. Un autore, per cui il carattere di un oggetto era tutto e la verifica numerologica nulla. Un uomo che sapeva dove andare, in modo così deciso che anche il caso ha partecipato un po' alla sua creazione. 
Penso davvero che pochi, se non Bill Taylor, avrebbero osato mettere nelle mani del rappresentante una pipa così, convinti che non sarebbe tornata indietro e che qualcuno vedendola se ne sarebbe innamorato. Credo che tra le pipe che ho avuto in mano questa sia quella che spinge al grado più estremo la proporzione di imperfezione che la vera perfezione deve contenere.
Mio padre che con le sue ditone spingeva, scavava, strisciava, e alle volte chiamava il caso, l'acqua, il colore a cooperare con lui, quella pipa la capì al volo.
Più modestamente, mi illudo di averla capita anch'io.





mercoledì 6 gennaio 2016

ADFL


Ho frequentato molti forum di pipa. Non ho una alta opinione della loro utilità ma penso il peggiore sia senz'altro ADFL. Oltretutto, una specie di trappola in cui una volta che sei iscritto è quasi impossibile disiscriversi, a meno di cancellare il tuo account alla piattaforma che gestisce la maggior parte dei forum online. Alla fine ho deciso di farlo. A conti fatti, meglio essere fuori da tutto che dentro ADFL.

martedì 17 novembre 2015

Due menti pericolose


Le due Ashton appena arrivate da Jim Craig 

Essere menti organizzate e ordinate ha certamente i suoi vantaggi. Talvolta anche non esserlo, però, dà le sue soddisfazioni
Tra le menti meno organizzate, da sempre, i pipemakers inglesi hanno un ruolo di rilievo. Ashton in particolare, fondata dal compianto Bill Taylor è sempre stata una pipa amabile per chi in un manufatto cerca anche l'impronta caratteriale e umana del creatore. Per chi, guardando una foratura o una sabbiatura può provare a indovinare lo stato d'animo, e magari talvolta anche la quantità di whisky che aveva bevuto quel giorno il suo autore.
Da quando Bill Taylor è morto (ma probabilmente anche da parecchio prima), le operazioni di Ashton sono condotte da Jim Craig. Questi cambi di mano sono sempre delicati. Al tempo in cui avvenne il cambio della guardia ci fu ampia discussione tra gli appassionati, che confrontavano le Ashton "Taylor" con le Ashton "Craig", armati del più grande scetticismo, con tutta la capacità di spaccare il capello di cui noi malati di questo oggetto siamo capaci.
Personalmente sono sempre stato dalla parte di Jim Craig, anche perché sapevo che molte delle Ashton che avevamo sempre incondizionatamente ammirato erano già fatte da lui. Possiedo diverse Ashton "Taylor" ma non ho mai avuto alcuna remora anche ad acquistare le "Craig", che mi hanno totalmente soddisfatto e, seppur in brevi scambi elettroepistolari, mi hanno fatto scoprire una persona di grande correttezza e competenza.
Da poco più di anno sono entratto in contatto con Jim Craig anche su Facebook. Lo vedo a pesca  in mari tropicali, indossare cappelli che invidio, fare scherzi piuttosto bizzarri e irripetibili a suo nipote. In breve ho capito che il sangue Ashton continua a non essere acqua, anche perché (sempre a giudicare dalle foto) frequentemente corroborato da gin tonic.
Non so se la conversazione che abbiamo avuto via chat quando gli ho ordinato queste pipe sia avvenuta in uno stato di particolare euforia per me, per lui o forse per entrambi. Fatto sta che avevo l'intenzione di ordinare una pipa simile a una che avevo già, una apple XX in finitura brindle. Però in un altro shape e con un cumberland di colore diverso. Qualche settimana dopo stavo pagando due pipe e  rileggendo la mia conversazione con Craig era francamente difficile capire che shape avessi ordinato. Nelle mie intenzioni, erano però due brindle con cumberland "nuvoloso" ma in due colori diversi, nessuno dei quali verde oliva (che avevo già). 
Aprendo il pacchetto ho invece scoperto di essere il fortunato possessore di due Pebble Grain (un grading leggermente più alto), sabbiate in modo spettacolare, commovente, esattamente dello shape che avevo ordinato (come ho accertato, decodificando alla fine la contorta chat), ma con lo stesso identico bocchino che già possiedo, e peraltro amo. Un tactical cumberland verde oliva, che richiama il mimetismo dei corazzati destinati a operare nelle piane e nelle foreste dell'Europa Centrale. Il vizio delle microvariazioni mi insegue, a dispetto della mia razionale intenzione di allontanarmene un po'.
La totale incapacità organizzativa, il disordine espositivo e il caso mi hanno regalato una sorpresa e un paio di pipe ancora più attraenti di quelle che avevo immaginato. Se qualcuno cercasse di separarmi da questa nuova coppia di Ashton da duello, il cui fornello emana il promettente odore d'olio che mi aspetto da ogni nuova Ashton, me ne difenderei con la violenza, se necessario a bottigliate.

venerdì 6 novembre 2015

Mezzogiorno di fuoco



La coppia di pot panel di Simone Gilli

Non riuscirò mai a diventare una persona ordinata. Tra le conseguenze negativo del caos in cui vivo, solo parzialmente moderato dalle intemperanze della mia signora e del miei colleghi, c'è perdere un po' tutto. Biglietti di concerti, d'aereo, presentazioni, una burriera di porcellana sparita dal frigorifero. Spesso, ahimé, anche pipe. Avevo una volta una pot panel Di Mauro Gilli. Una grande pipa. Mi accompagnò in numerosi viaggi riuscendo miracolosamente a sopravvivere. Poi, dopo una sera passata da un amico ben conosciuto nel nostro ambiente, non la trovai più. Dopo più di un anno dalla dipartita, ormai rassegnato all'idea che non sarebbe più saltata fuori dalle tasche di nessun cappotto né dagli anfratti di nessuna borsa, decisi di far uscire dal male un po' di bene.
Per riuscirci mi hanno aiutato due cose. La prima è stata la presa di coscienza che il cumberland blu e la testa nera della mia pot panel dispersa, per quanto belli, erano i colori di una delle squadre di football minori di Milano. Non so come non abbia realizzato questo fatto al momento in cui la ordinai. Non che la questione cromatica sia mai riuscita a creare una corrente di diffidenza tra me e la mia pipa. Ma, avendola persa, questo era certamente uno spazio per un ripensamento. 
L'altro spazio è nato dal mio amore per le microvariazioni. Non c'è niente di più bello che sperimentare tutte le possibilità di una cosa che si ama, godendo di quanto leggerissimi accenti, piccoli cambi di prospettiva, permettano di vedere tutto in un'ottica totalmente diversa. Entrare nel mondo del cambiamento microscopico apre di colpo un nuovo orizzonte, non meno infinito e affascinante dell'esplorazione negli spazi siderali. Ma secondo me -che nell'infinito vero sguazzo con un po' di angoscia- di ancora maggiore soddisfazione. 
Ho decine di esemplari delle mie pipe preferite. Di panel, di billiard, di chimney. Avevo scoperto la pot panel odinando una coppia di panel da Gilli, a cui mi è difficilissimo ordinare una pipa sola alla volta. Pensavo fosse una microvariazione della panel, ma quanto mi ero sbagliato!
Nella sua non brevissima vita al mio fianco, quella pot panel, con la sua testa bassa ma soprattutto spessa, in confronto al camino, ha rivelato di essere una pipa totalmente diversa nel carattere dalla panel vera e propria. Che è una pipa austera, di bellezza classica e modernista. La pot-panel è diversa come una pot lo è da una billiard. Ma la sua diversità è esaltata. Al quadrato.
E così, se prima avevo una sola pot panel e ora non ne avevo più nessuna, la cosa da fare era chiara. Ordinarne almeno due. L'idea di partenza era elementare: chiedere a Simone Gilli (che dopo un lungo apprendistato con lo zio oggi svolge autonomamente molto lavoro di purissima scuola Gilli) una replica perfetta (colore del cumberland a parte) della mia vecchia, e affiancarle una sorella simile ma diversa. La mia vecchia pot panel, infatti, è un po' diversa dalle ultime Gilli dello stesso shape. E' di collo un po' più sottile, di proporzioni leggerissimamente diverse. Avendo perso quella, ero certo di rivolere quella. Simone mi ha rapidamente convinto del contrario. Rifare il vecchio modello era assolutamente possibile, ma la nuova per una lunga serie di ragioni era decisamente più bella. Ci avevano lavorato parecchio e questa era la loro conclusione. I Gilli non parlano maiu a casaccio e se una cosa è migliore per Mauro e Simone è molto probabile che lo sia anche per me, se non alla prima quantomeno a una seconda più attenta analisi. Mentre le parole di Simone fluivano dalla cornetta, in una di quelle telefonate che amo prolungare talvolta oziosamente, la mia certezza iniziale si squagliò inesorabilmente e ordinai due "nuove" pot-panel  in versione contemporanea. Il risultato è lì da vedere. Per la nera (o meglio marrone scura) ho ordinato un cumberland un po' più notturno del classico rosso. Per la color tanshell, dopo diverso tempo, sono tornato alla semplice inarrivabile bellezza della migliore ebanite nera che il denaro possa comprare.
Un'altra coppia di pipe. Un'altra coppia da duello per la quale mi sono fatto anche fare un cofanetto, ricavato da una vecchia scatola di Partagas 8-9-8. Entrambe curate a olio. Entrambe pronte a sparare il loro colpo migliore. Ogni volta che faccio saltare il moschettone del cofanetto mi ammirano entrambe incastonate in seta azzurra. Quale farà fuoco per prima?
Quasi mai lo so in anticipo. Ogni volta è un breve momento di suspence, che mi ricompensa mille e mille volte per i danni causati dallla mia incorreggibile fesseria.

giovedì 22 ottobre 2015

Non avrai altra busta




L'unico e inimitabile Dunhill Rotator.  


Anche grazie  alla  pipa, io e mio padre abbiamo avuto molto tempo per parlare. Per un bel po’ di anni, ogni domenica, subito dopo pranzo, ci ritiravamo nel suo studio. Lui al  suo tavolo, io nella poltrona degli ospiti sotto il cavalletto. Tiravamo fuori le nostre pipe. Lui generalmente caricava la sua col mio tabacco, sapendo che fumavo bene e che poteva assaggiare qualcosa di interessante senza il rischio di buttare soldi e tempo, investendo nell’ignoto. Per il momento lo fumava. Poi, semmai, gliene avrei procurato dell’altro. Quasi mai parlavamo di noi. Si discuteva perlopiù di eventi storici piuttosto oscuri. Magari gli raccontavo di qualcosa che avevo letto ultimamente. Allora uscivano mappe, periodici in ungherese pieni di orecchie e di  post it segnalibro,  foto in bianco e nero, libri, vecchi diari… A volte la discussione procedeva incrementalmente, scavando per anelli concentrici la questione. Altre volte avevamo posizioni contrapposte: io più internazionalista, aperto alle ragioni della Corona Imperiale, austriacante, fondamentalmente labanzo; lui indipendentista senza compromessi, focosamente curuzzo. In uno di questi momenti, per fargli caricare la pipa tirai fuori dalla tasca della giacca un oggetto da poco, che mi ero appena procurato. Era una busta portatabacco in tela gommata giallognola. Un oggetto molto pratico, ripiegabile, che teneva al suo interno una quantità di tabacco rispettabile, senza ingombrare e senza farlo seccare. Costava molto poco, forse me l’avevano addirittura  regalato insieme a qualche acquisto massiccio di qualcosa. Nonostante la sua modesta, quasi misera, apparenza lo portavo nella tasca interna con la certezza di avere acquistato qualcosa di razionale, utile e ben fatto.
Mio padre, che il tabacco lo teneva perlopiù in vecchie scatole o buste ciancicate che ne avevano contenuti altri, e su cui c’era scritto a pennarello cosa contenevano adesso, lo prese in mano come si potrebbe prendere un calzino sporco appena uscito da uno scarpone. “Hai comprato quest’affare?”. Lo teneva per un angolo e, pendendo tra le sue dita, il mio portatabacco giallastro appariva  veramente disgustoso. Balbettai qualcosa cercando di trovare qualche giustificazione al mio comportamento.

“Adesso sei fregato”

La sentenza calò come una mazzata. Non solo la busta gommosa era stata condannata, ma avrebbe rappresentato una maledizione perenne che mi sarei trascinato dietro per sempre. Cercai di capire meglio quali fossero le caratteristiche malefiche di quella busta, che io evidentemente avevo trascurato totalmente, nella mia inesperienza. “Quante buste portatabacco puoi avere?” mi chiese, e lì cominciai a capire. Effettivamente, si possono avere decine di pipe, di scatole di tabacco. Ma la busta portatabacco, oggetto di utilità non proprio strettissima, è un piccolo accessorio personale, una minuscola gratificazione che si può scegliere o meno di concedersi, ma resta qualcosa di piuttosto intimo e unico. Anche quella busta gommosa lo era. I tabacchi che possono andarci dentro sono infiniti, la busta –maledizione- è una.  Aveva in faccia quel mezzo sorriso a presa per il culo che conoscevo così bene. “Una. E tu adesso hai questa. Non potrai mai averne una veramente bella”. Era molto meglio non avere niente che avere una busta come quella, ad occupare l’unico slot sensatamente concesso alla busta portatabacco. Provai a controbattere qualcosa, e non saprei dire cosa visto che la sua ragione era schiacciante.
Così cominciai a odiare la mia busta. Trovai persino che il tabacco lì dentro prendesse un sentore di piscio di gatto. Poco tempo dopo, grazie al cielo, la persi. E' difficile capire come si possa perdere onestamente e sinceramente una busta portatabacco. Comunque mi riuscì.

Memore della dura lezione, potendo grazie a un colpo di fortuna comprare di nuovo la mia prima, e per sempre unica, busta decisi che dovesse essere la più bella, la più morbida, la più sobria, ben fatta busta del mondo. Una che non solo funzionasse meglio di qualsiasi altra busta ma fosse una gioia per gli occhi e per le dita. Una busta che sarei stato sempre più felice di trarre dalla tasca anno dopo anno, invecchiando con lei. Quando l’esigenza è questa, non sono i pochi euro in più o in meno a contare, ma solo ed esclusivamente la soddisfazione che si trae dal proprio investimento.
Un minimo di ricerca e insistenti analisi dei principali negozi mi rivelarono quello che avrei dovuto sapere da prima. Non esiste al mondo una busta così semplicemente perfetta come la Dunhill rotator. Sulla sensatezza del prezzo di una pipa Dunhill si può discutere, ma quando si parla di pelletteria la differenza balza alle dita: è palpabile. Ci sono molte marche quasi altrettanto buone, ma sono sempre un micron troppo spesse, o troppo sottili, o troppo molli, o troppo coriacee.  Una busta Dunhill sta su quel confine sottilissimo dove la morbidezza produce brividi di piacere al contatto, celando però un po’ di nerbo e di consistenza. La rotator di tutte le buste Dunhill è la più geniale: si piega semplicemente in tre, senza zip né orrendi bottoncini. Pulita, essenziale, funzionale, bellissima: “sleek”, come direbbero gli inglesi. Il tabacco va nel tascone dietro ed emerge poco a poco nel taschino davanti, man mano che ti serve. Puoi portarne anche un buon 20 grammi, se devi stare via qualche giorno, sapendo che il tabacco resterà fresco sorprendentemente a lungo. A meno che tu la dimentichi mezza piena in un cassetto, farai sempre prima a finire la scorta che a seccarla.
Soprattutto è un piacere averla, usarla, persino pensarci.
La vita è una. La  busta anche. E’ stupido sprecare la propria unica occasione scegliendo in partenza la mediocrità.

(in realtà oggi di buste ne ho due, l'altra ingegneristicamente diversa la uso per  flake. E' piuttosto buona, quasi buona come la Rotator. Ma non è la Rotator)
 


martedì 6 ottobre 2015

Rav Benamozegh e le Dunhill

La gioia della microvariazione. Due Dunhill Red Bark LBS (Large Billiard Slender): una con vera argento (1973), l'altra (1972) trovata recentemente a Berlino da Der Pfeifelanden.  

Diceva Rav Benamozegh, Maestro livornese, che nella Torah si può trovare tutto. Il saggio troverà la saggezza, il poeta troverà la poesia, il matematico troverà la logica, lo spirituale troverà il trascendente, il materialista troverà le leggi dell'economia, il filosofo la filosofia. E anche lo stolto troverà nella Torah esattamente quello che cerca: un sacco di scempiaggini.

Recentemente mi sono reso conto che, molto più modestamente, qualcosa del genere è vero anche per le pipe di Alfred Dunhill. Sono pipe magnifiche e multiformi. Ma sono anche prismi potenti, attraverso i quali chi le possiede riflette verso il mondo qualcosa di se stesso, e che dalla sua Dunhill uscirà illuminato e amplificato.  Per qualcuno sarà il buon gusto, per qualcuno l'esperienza, per chi la cultura, l'intelligenza, la semplicità (l'importante è fumare bene), il razionalismo, l'opulenza, persino -chi l'avrebbe mai detto- l'anticonformismo. Tutto si può leggere in una Dunhill. Delle volte, anche la scempiaggine di cui l'ha riempita lo stolto.

martedì 14 aprile 2015

Zero calories



Samuel Gawith Chocolate Plug. Da plug al fornello in tre semplici passi: 1) taglio del plug a fettine abbastanza sottili 2) sfregamento di qualche fetta, diciamo un paio o forse tre, tra i plami delle mani fino a ottenere una specie di pallozza oblunga 3) la pallozza viene aperta e resa vaporosa prima del caricamento La pipa è una Radice aerobilliard square panel.





Negli ultimi mesi ho riscoperto una passione feroce per la bicicletta, ho percorso varie migliaia di chilometri in su e in giù prima in piano (molto piano), poi in piano (ma un po' più forte), poi cominciando ad azzardare qualche salita. Il passaggio da pipatore-poltronista puro a pipatore-quasiciclista mi ha divertito molto e ha fatto sì che abbia messo un po' sotto controllo anche l'alimentazione. E' stato tutto piuttosto semplice e indolore, tranne che per il cioccolato, di cui pian piano sono diventato inspiegabilmente e improvvisamente schiavo, dopo averlo ignorato per gran parte della mia vita.
A forza di ingozzarmi di cioccolato, per quanti chilometri mettessi sotto le ruote, non c'era più verso di trattenere l'ago della bilancia da un movimento che stava diventando inverso a quello desiderato. Per non compromettere le mie prestazioni sportive e per liberarmi degli eccessi più incoffessabili, mi è venuta in aiuto questo grosso tavolettone di Samuel Gawith Chocolate Plug, che avevo preso a Praga qualche mese fa, sfidando a piedi una tormenta di neve durante una pausa di lavoro. Non ci sono molti altri posti per acquistarlo, e per acquistare una vasta gamma di Gawith normalmente disponibili solo in flake, se non la lunga transumanza verso il  negozio di etrafika, piuttosto fuorimano, e piuttosto in salita, per chi sta in basso, in centro, nella zona più battuta da turisti e ospiti d'affari.
Del chocolate flake  ricordavo poco. Lo fumai un paio di volte, forse un po' secco, e mi lasciò un ricordo positivo ma non indelebile. Il plug, acquistato per curiosità e calorosa raccomandazione di un goloso tabaccaio-pipatore  ceko che ha tutta l'aria di intendersene molto, è rimasto tra i tabacchi che non ho mai collocato nel caveau e ingombrano i pochi spazi di casa mia. Sacrificio necessario perché non essendo conservato sottovuoto, ogni tanto richiede un po' di supervisione, almeno finché non lo metterò in Bormioli. Insieme ad altri suoi simili blocchettoni,  ogni tanto mi attirava, andavo a palpeggiarlo, ad odorarlo, ne tenevo sotto controllo l'umidità, ne pregustavo le delizie. Controllo dopo controllo, questo virginia scurissimo, spruzzato di latakia e profumato di cacao ha cominciato ad attirarmi almeno quanto le tavolette di cioccolato vero e proprio che stavo accumulando in cucina, e quel che è peggio consumando senza ragionevolezza. Così mi sono risolto ad aprirlo, ed è stata una scelta assolutamente azzeccata.
Il chocolate plug (o la sua versione in flake), si dice, non sa di cioccolato. Ma, viene sottolineato con puntiglio burocratico, di cacao. Sarà. Visto che i miei cioccolati preferiti vanno dal 70% di cacao al 99%, la differenza tra i due concetti, per me, resta inavvertibile. Secondo me, il chocolate flake sa (la cosa potrà sorprendere) di cioccolato e il tocco di latakia, comunque ben avvertibile, lo rende uno di quei folli cioccolati che vanno per la maggiore adesso, con sale, con peperoncino, con rosmarino. Mi piacciono tutti, e questo con latakia certo non meno degli altri. E' cioccolatosa la consistenza del virginia, il suo colore, il fondo dolceamaro. Da quando ho aperto la mia tavoletta di chocolate flake e le sue fette hanno cominciato a trovare la strada di diverse pipe,  la mia immaginazione e il mio desiderio corrono decisamente meno verso le tavolette in carta d'oro e d'argento e invece con ossessiva insistenza al grosso  vaso a molla in cui tengo il tabacco alla mano che sto fumando in questo momento.
Il chocolate plug rispetto al flake ha in più sicuramente la presentazione. Questa barra spettacolare che sembra appena uscita dalle cure del maitre chocolatier. Ma anche il flake andrà considerato, quando la scimmia cioccolatosa ricomincerà ad urlare, e io sarò troppo stanco o troppo lontano dal cucuzzolo praghese, unico luogo al mondo dove ho mai trovato disponibilità di questa specialità, tutta piacere peccaminoso e zero calorie.

mercoledì 8 aprile 2015

Scubettare




Questo, anche se non sembra, è un flake scubettato. Un bulk di Medium Virginia Flake (conosciuto in latta come Golden Glow) lasciato a maturare una decina d'anni sotto vuoto e diventato un flake ammappazzato, è stato tagliato per traverso alle sue fibre, creando una cascata di cubetti da 1-2 mm di diametro: la forma più pratica di trasporto e caricamento dei flake.

Se avete fette di flake più normali, tagliatele semplicemente a strisce di 1-2mm per traverso, e infilatele nel vostro portatabacco, i cubetti verrano fuori da soli.

Ci si chiede molto spesso, tra appassionati di pipa, come si faccia a fumare tabacchi dall'apparenza così singolare come i flake. Finché non se n'è venuti a capo, l'interrogativo è tormentoso. Si pensa che la risposta sia nella scienza, nella tecnica, in metodi arcani, quando invece la soluzione sta semplicemente nell'abitudine.
Ad ogni modo ci sono sistemi attraverso i quali fumar flake risulta più facile che con altri. Folle, masochistico, illogico e antistorico, il cosiddetto "metodo macbaren", studiato -io credo- dall'importante casa danese per rendere odiosa la vita ai fumatori di tabacchi di altre marche (ché i macbaren, essendo flake piuttosto annacquati, si riescono a fumare persino torturandoli in quel modo). Agghiacciante e inutile, se non dannoso, è il passaggio nel cosiddetto "grinder", strumento aberrante per chi fuma tabacco e non so quanto utile, nonostante il successo di vendite, per i fumatori di sostanze che la legge per ora continua a scoraggiare. Posso dirlo, per aver spaccato un paio di quelle trappole cercando di avere ragione di un plug.
I flake di marche serie, come i Samuel Gawith, normalmente si fumano semplicemente sfregando una fetta tra i palmi delle mani e caricando, dopo aver aperto e resa vaporosa la pallozza così formata. Si possono ogivare un po' tra le dita, strappucchiare... elemento comune tra tutti questi trattamenti è quello di essere più agevole se fatto a due mani. Sarebbe sempre utile avere due mani libere. Succede però che, quando ci si trova lontani da casa, lontani dalla propria scrivania o dal tavolo da caffè, una delle due mani serva a reggere la pipa, mentre l'altra dovrebbe lavorare da sola il flake, reggere la busta portatabacco e chissà cos'altro, determinando un ingorgo funzionale.

E' una delle ragioni per cui pochissimi fumatori (almeno tra quelli dotati di un numero di braccia standard, e privi di abilità paranormali) porta i suoi i flake in libera uscita. A casa, con tavolinetto, vassoietto, posacenere, fiammiferi e calma olimpica, il flake si può tentare. In trasferta, invece, si rinuncia, il che è un peccato, considerando che il flake per le sue qualità di combustione a bassa temperatura è particolarmente adatto agli ambienti ventosi e all'aria aperta in generale, dove tabacchi più fiammeggianti si consumano con eccessiva rapidità, se non addirittura inceneriscono la pipa che tenta di contenerli.



Quando si hanno alla mano nettari del genere, la scelta della pipa merita un po' di attenzione in più. Questa è una Dunhill 50 F/T, più o meno una gruppo 2 army mount (non ricordo se sia stampigliata gruppo 2 né di che anno sia). Una minuscola curva, quindi singolare.

Lo scubettamento dei flake sembra rispondere in modo perfetto a tutti i problemi che tormentano chi ama i flake, ma ancora ci combatte. Lo scubettato si carica per caduta, con giusto un po' di polverino sopra, ad agevolare la prima combustione. E' facile, non servono tutorial su youtube per apprenderne i misteri. Una volta acceso, fuma preservando tutte le caratteristiche del taglio in flake, non come il poltiglio grinderato che non è più nulla, se non il triste ricordo del tabacco che fu. Soprattutto, si trasporta comodamente, si carica con una mano, con noncuranza, anche facendo altro e persino guardando altrove. Lo scubettato mantiene l'unido quasi come la fetta originaria.

Lo scubettamento è forse il metodo perfetto per fumare flake.
Non sorprende che, in questo mondo imperfetto, sia così poco diffuso.

martedì 31 marzo 2015

Lettera aperta a un pipemaker esordiente.


Carissimo pipemaker esordiente, speranza e dannazione del nostro hobby, so che non è facile parlarti, oggi sei invasato da questa passione. E gli appassionati non sono ascoltatori molto facili. Ma penso che in qualche modo occorra cominciare a comunicare.



Il mondo è diventato più veloce, più diretto. Tu non hai hai più l'ombrello di figure paterne e autentici "guardiani della porta", gente che occorra sedurre, convincere e da cui ottenere a torto o a ragione l'approvazione, prima di passare al livello successivo. Quello in cui le tue pipe sono autorizzate ad arrivare a me, che magari le comprerò o magari no.
Non hai maestri che ti fanno spazzare i trucioli, e intanto ti guardano, ti pesano umanamente e professionalmente magari con feroce ingiustizia. Non hai commercianti che storcono la bocca, ti umiliano, ti corrompono nella tua purezza, pretendono di pagarti in noccioline e ti mettono alla sferza insegnandoti quant'è difficile il mondo. Non c'è il filtro umano che dai mille e mille aspiranti e cantinari selezioni chi ha la costanza e la testardaggine, se non il talento, di diventare un vero artigiano. Di fronte a te c'è il mare aperto ti facebook e di internet. Quel mare sono io, e tutti gli appassionati come me, che le pipe le comprano. E nel nostro mare è bello tuffarsi, diguazzare senza intermediari, senza perdere tempo, senza lasciare che altri si godano i frutti economici della tua fatica, così, liberamente, senza freni, senza limiti. Ci si può tuffare anche dopo aver mangiato il gelato, come viene, come piace. E' facile. Si guadagna anche qualche soldino. Ed è per questo che tu, con ogni probabilità, affogherai.

Stai ben sicuro che fare pipe, e venderle, passato il primo momento di entusiasmo, resterà difficile come è sempre stato. Dei mille e mille entusiasti che partono, uno arriverà. Non novecentocinquanta. Il grande rischio è che se non ti avrà fermato per tempo il tuo maestro, quello che ti mette a guardare e a fare poco altro che il galoppino non pagato, se dopo non ti avrà fermato il tabaccaio o il distributore, a un certo tardivo punto ti fermi la banale considerazione che, ora che le pipe sono diventate un mezzo lavoro, qualsiasi modo di impiegare il tuo tempo, dall'imbiancare pareti a lavare le macchine, è più redditizio di quello che stai facendo. E nel frattempo avrai perso solo un sacco di tempo e un sacco di soldi, per fare una cosa di cui -in fondo- in sé, non ti è mai interessato nulla.

Non avendo gente che ti facesse lavorare gratis, sei partito con l'idea che tutto sommato vendere una pipa a 120 euro non sia così complicato. Che cos' hai in meno di chi lo fa da dieci anni? L'hai fatta, l'hai messa su facebook, ti hanno detto tutti che è meravigliosa, uno l'ha pure comprata. Evvai. Eri già in business.

Che te ne renda conto o no, hai confuso due concetti che non vanno confusi: uno è che ti piace fare pipe, l'altro è che con le pipe guadagnare, se non facile, è quantomeno abbastanza possibile. E' un errore che rischia di dare risposte drammaticamente sbagliate a diverse domande. Se tu ti fossi tolto dalla testa che con le pipe si può guadagnare subito, easy, se avessi piegato la schiena giorno e notte senza ricavarne nulla se non scapaccioni ed esperienza, avresti prima di tutto messo alla prova l'idea, seducente nei primi quindici minuti, ma non così scontata quando i minuti diventano anni, che fare pipe sia la cosa che vuoi davvero fare, che sia una passione a cui dedicare la vita. E se non avessi cominciato a metterti subito in tasca qualche sesterzio non ti saresti fatto anche l'idea drammaticamente sbagliata che guadagnare facendo pipe sia una cosa abbastanza alla portata di tutti, persino tua.


Non ti rendi conto che tutte le probabilità sono contro di te. In qualunque lavoro semi-artistico, così affascinante dal di fuori, il ruolo di chi cerca di spezzarti la schiena e rimandarti a casa il prima possibile, è fondamentale. E' quello di selezionare più velocemente dal molto che parte il pochissimo che arriverà, non a fare quel lavoro in modo geniale, ma semplicemente a farlo (con risultati economici tutti da vedere). Selezionare velocemente, quindi duramente, per risparmiare tempo a se stessi (gli istruttori) e, del tutto involontariamente, anche ai candidati i quali -se non arriveranno da nessuna parte- è meglio che prendano il prima possibile una nuova strada.

I pochi soldini che entrano (senza bilanciare le spese del tornio cinese, dei punzoni, delle materie prime, di tutto il microbusiness che ti stai prematuramente organizzando), i complimenti ingenui di chi vede i tuoi manufatti, non ti aiutano. Perché se non c'è nessuno che ti fa sputare sangue, ti frusta e ti seleziona, se il mare in cui diguazzi non ha bagnini che cerchino di buttarti fuori a pedate nel sedere, il cerbero di te stesso devi essere tu, ed è più difficile. Molto più difficile. Non più facile. Occorre guardarsi in faccia spietatamente e non tutti ne sono capaci, quindi mi permetto di suggerirti qualche test.

Il primo è questo: se stai VENDENDO pipe dopo pochi mesi che hai cominciando a grattare radica, stai sicuramente sbagliando tutto: qualunque fosse il tuo obiettivo ti stai creando un problema. Stai rovinando un divertimento non commerciale (se l'intenzione era quella, allora le pipe dovevi regalarle agli amici). Ma anche se l'idea è stata da principio quella del semi-professionismo, il poco denaro che entra è droga che ti rallenterà e ostacolerà la tua carriera di pipemaker. I soldi che chiedi (se non sono proprio un minimo rimborso spese) sono una mancanza di rispetto verso chi il tuo lavoro lo sa fare per davvero, e che vede il suo listino-prezzi (appena un po' limato) essere applicato agli ingenui lavoretti di uno che sta facendo si e no i primi passi. Questo dà l'idea di avere a che fare con uno che non ha capito molto, e che probabilmente non capirà mai molto. Probabilmente è anche una idea esatta (e questo è il vero problema).

Il secondo pessimo segnale è che tu abbia speso molti più soldi in torni cinesi, punzoni, scatolette, sacchetti, cuvette, che in pipe belle, libri sulla pipa, viaggi di pipa, e tutto quanto riguarda la CONOSCENZA della cosa che secondo te è la tua passione. Nessuno scrittore è mai andato molto lontano spendendo più in penne che in libri. E lo stesso è per un lavoro che come primo ingrediente dovrebbe avere la passione, e che non potrà mai funzionare senza una bruciante necessità di sapere tutto quello che c'è da sapere sulla pipa, e non solo e soltanto sull'utensileria meccanica, il marketing o quant'altro.

Cerca anche di ricordare che chiunque sta facendo del suo meglio per romperti le scatole, per scoraggiarti, per renderti la vita difficile, per farti sentire una nullità, per farti mollare, per farti scoppiare, sia che lo faccia per innata bontà che per innata stronzaggine, sia che capisca molto di pipe che niente, sta oggettivamente facendoti un favore. Sta testando la tua resistenza e la tua feroce motivazione a fare davvero qualcosa che non si può assolutamente fare senza volontà (e che avrà bisogno anche di molto altro).

Rispetta chi lavora da tanto tempo e cerca di guadagnare il loro rispetto. Forse (ma non necessariamente) ti insegneranno qualcosa che avresti impiegato molto più tempo ad imparare da solo. Non cercare di guadagnare subito, rifiuta i soldi anche se ti li offrono. Se "loro", i pipemaker veri, mettono le loro pipe a 100 euro la lezione che devi trarre è che tu NON puoi farlo, non ne hai il diritto e non ti conviene nemmeno (e non che anche tu puoi fare una pipa quasi simile, che si può vendere allo stesso prezzo o quasi a qualche amico). Fare pipe e fare una pipa sono concetti parenti, ma non sono la stessa cosa. Una pipa vale anche per effetto di quello che valgono le altre pipe che si sono fatte e si faranno con lo stesso nome. Non basta azzeccarne una, non devi sbagliarne nessuna (o quasi). Quindi per ora soffri, investi, imponiti anche sacrifici non necessari, se non ci pensa qualcun altro a bastonarti. Tutto questo ti servirà a formare il carattere e a imparare cose che ti serviranno se mai sarai uno dei pochissimi individui che avendo cominciato a sforacchiare radica scopriranno di avere le doti per farne un lavoro.

Oppure ti servirà a smettere prima, avendo buttato meno tempo e soldi.
Perché tu smetterai: non lo dico io, lo dice la statistica.