Mio padre aveva molte belle pipe, ma ce n'era una che mi piaceva più di tutte ed era la Dunhill Shell Square Panel, che anche lui fumava un po' più spesso di tante altre. Mi spiegò perché piaceva a lui ed erano le stesse ragioni per cui quella pipa continuava ad attirare anche il mio occhio nel suo cerchio magnetico. Era una Dunhill, per cominciare, e questo ne faceva per definizione una gran pipa, da prendere sul serio. Ma poi il fatto che una billiard avesse le facce quadrate, eppur rimanendo slanciata ed elegante, ti faceva pensare a quei manifesti un po' cubisti di Cassandre... Aveva qualcosa di indefinibilmente artistico e avanguardistico, però retro'. Un cortocircuito estetico, che però (non dimentichiamolo) era una Dunhill.
La Shell aggiungeva anche la superficie rocciosa a tutto questo. E la Shell di mio padre era sabbiata in modo che una delle superfici fosse anche leggermente incavata, come se una ditata avesse portato via un po' di materiale, una nota scalena che rendeva (e rende) quella pipa, a tutt'oggi la vera capostipite della mia piccola ossessione per le square panels.
Da quando cominciai a comprare le prime pipe serie, cercai una square panel. Setacciai il catalogo Savinelli, che avrei potuto permettermi. Andai anche a vederle in Via Orefici. Ma purtroppo le square panel di Savinelli mancavano totalmente delle proporzioni magnetiche della square panel di mio padre. Che a quel punto, ogni tanto, mi era capitato di fumare di nascosto, innamorandomene ancora di più.
Quando vidi questa pipa sotto il tavolo di vetro in cui Noli a Milano tiene l'usato Dunhill pensai di toccare il cielo con un dito. Non era una Shell... però era una Root! Aveva qualcosa in meno di quella di mio padre. Ma anche, per la miseria, qualcosa in più! Restava il fatto che benché il mio budget si fosse leggermente allargato rispetto alle prime paghette da fame, continuavo a non potermi permettere una pipa del genere. Di tutto ciò parlai a mio padre con tale entusiasmo da matto, che alla prima festa quella pipa me la ritrovai in un pacchetto (un fatto notevole, considerato che lui non si era mai permesso la spesa di una Dunhill Root Briar).
Fortunatamente, vista la mia reazione quando non la ritrovai più sotto il vetro, Noli mi avvertì di chi avesse requisito la square panel. E così anziché farmi prendere dalla depressione, passai un paio di mesi a pregustarmela, sapendo che prima o poi sarebbe arrivata. E ricordo come fosse adesso il momento in cui la vidi e l'incredulità con cui continuavo a guardarla nel taxi che mi riportò a casa quella sera...
Da allora ho approfondito le conoscenze tecniche sul fornello pannellato, imparando che è un esercizio artigianale piuttosto difficile che merita di essere apprezzato anche sotto quell'aspetto. E soprattutto ho aggiunto qualche nuova square panel al mucchio di pipe che tengo in giro per casa: tre Ashton, un'altra Dunhill (shell, ma diversa da quella di mio padre), una splendida Sasieni nel suo astuccio, una Mark Tinsky... alcune belle, alcune così così. Ma nessuna come questa. Una pipa che mi fa ancora e sempre impazzire tutte le volte che la guardo e che la fumo.
ne ho anch'io una simile presa su ebay nuova a 40
RispondiEliminaeuro si tratta però di una savinelli
Pallanza
Un piacevolissimo blog questo tuo, Antonio; interessantissimo questo tuo blog Antonio, e, perché no, istruttivo, per tutti coloro, me anzitutto, che in questo campo non hanno un'esperienza e una competenza pari alla tua. Ma questi tuoi scritti hanno un che di valore aggiunto, che li arricchisce e li rende, a mio avviso, quasi delle piccole pagine di letteratura: la pipa come una lente, tramite cui osservare il sé e l'altro, ricordare, ricapitolare proustianamente degli affetti...
RispondiEliminaSimone U.
Grazie mille, la pipa è proprio così. Un prisma attraverso cui, alle volte, si vede anche un po' di mondo.
RispondiEliminaCiao, Tonibaruch. Potresti postare la fantomatica shell di tuo padre?
RispondiEliminaGrazie.
Antonio
(ps: ma siamo omonimi?)